Creato da ParticuLaura il 15/06/2008

Una vita a caso

brandelli d'identita'

 

 

Post N° 33

Post n°33 pubblicato il 07 Ottobre 2008 da ParticuLaura
 

Carissima Laura, è il tuo blog che ti scrive. Qui tutto bene, ogni tanto qualcuno mi fa visita, alcuni lasciano un saluto. Ma te dove sei finita? E' una settimana che non ti fai viva! Inizio a sentirmi molto molto solo; non ti sarai mica dimenticata di me?
Sono triste...

Carissimo blog, come vedi non mi sono dimenticata di te. Mi dispiace di non averti dedicato il tempo dovuto, ma in questi giorni non sto molto bene, sia moralmente sia fisicamente.
Mi sono fatta uno strappo ad un muscolo della spalla e neanch'io so come...
Poi sono abbastanza demoralizzata, e la mia autostima è sotto lo zero.
A volte mi sembra di non farcela, come se gli ostacoli fossero insormontabili; ho avuto un'altra crisi bulimica, e perdo le speranze di uscirne ogni giorno di più.

Sento di avere molto da scrivere, forse troppo. Ma ancora non è il momento.

Saluti a tutti.

 
 
 

Credo

Post n°32 pubblicato il 30 Settembre 2008 da ParticuLaura
 

che forse potrei quasi scrivere ad occhi chiusi su questa tastiera, con soltanto due dita che vi scorrono sopra. Conosco a memoria la posizione dei tasti, l’ordine dei caratteri, la forma delle lettere. Tutto. Sono sentimentalmente legata a questa tastiera, forse anche più della mia Parker azzurra. Mi sembra di rivivere momenti delle mia esistenza, di fronte a questa scrivania.

Mi volto, e vedo l’Estate che si allontana all’Orizzonte, mentre io la seguo con lo sguardo dal finestrino della vita. Tante stagioni sono trascorse, ormai.

Penso.

E mi perdo nell’infinitezza dell’Universo, con l’odore di pioggia intriso nei capelli.

Osservo. Una mia fotografia stropicciata. Fisso negli occhi quella che ero, rivolgo lo sguardo a quella che sono.

"Che cosa ti aspettavi dalla vita, Laura?" Parlo con la mia immagine.

"A quell’età, non mi aspettavo niente dalla vita; mi importava che i miei amici e i miei genitori mi volessero bene." Mi risponde, con occhi ridenti.

Eh sì. E’ veramente vecchia, quella fotografia.

Bevo la mia camomilla. Come un’anziana signora, la sera prima di dormire. Peccato che siano le cinque; e che io non sia un’anziana signora.

"Io odiavo la camomilla." Mi parla ancora, quell’immagine.

"Infatti, a me non piace. La bevo solo perché fa bene e mi aiuta a rilassarmi." Le rispondo.

"E perché la bevi anche se non ti piace?"

Un brivido mi percorre la schiena. Freddo? No. Paura. Rimpianto. Dolorosa presa di coscienza. Non bevo la camomilla perché mi piace, ma perché qualcuno ha detto che fa bene. In quella camomilla mi sembra per un attimo di poter distinguere il riflesso della mia esistenza, che galleggia sulla superficie del liquido. ho passato una vita a bere camomilla, ed a fare tutta una serie di cose che non volevo fare, ma che semplicemente credevo fosse giusto fare. Quante volte mi sono detta: "non voglio, ma via, facciamolo lo stesso."? Quante volte l’ho detto, ma soprattutto quante volte ho fatto qualcosa senza volerlo veramente? Troppe. Mi sembra di aver gettato via metà della mia vita, in azioni che non mi hanno dato niente.

Impugno la tazza, e la rovescio nel piccolo vaso sul tavolino accanto a me.

Adesso basta.

Il silenzio è insopportabile. Esco in terrazza, inspiro il dolce odore di pioggia; e con languida consapevolezza rinasco.

 
 
 

Post N° 31

Post n°31 pubblicato il 26 Settembre 2008 da ParticuLaura
 

Immobile.
Mi abbandono a dolci note d’oblio.
Invano.
Ripenso.
Malinconica.
All’innocuo brusio
nelle classi d’estate
Alla vostre voci che
Annoiate
Facevate
Risuonare.

Penso. Inquieta.
Al ticchettio delle lancette
Incessante.
Implacabile divora il tempo.

Osservo le mie ferite.

Accarezzo cicatrici
come cimeli
di antichi musei,
notando

placida
che sono tutto, meno che antiche.
Quelle ferite.

Sfioro pagine ingiallite
Di storia ammassata
Impastata con polvere e nostalgia.
Animata da un'invisibile filo di nonsense.

"Dal momento in cui si nasce,
si inizia a morire."

Triste. Nevvero?

Ma avanza la cruda realtà
Precede con ampie falcate
nella nebbia gli occhi stanchi

E io sorrido.
Di quelle verità che nessuno vede più.
Sorrido.
Dei vostri crucci creati dal nulla.
Sorrido.
Delle vostre dolci illusioni. E delle mie.
Sorrido.
Di quell’impercettibile battito di ciglia
che è la nostra esistenza.

Nel rimpianto del trascorso.
Nell’incertezza dell’avvenire.

Io.

Trovo l’immeritato equilibrio.

Assaporo il dolce aroma della vita.

Socchiudo gli occhi. E penso.

.

.

 
 
 

Stamani

Post n°30 pubblicato il 21 Settembre 2008 da ParticuLaura
 

mi sono svegliata presto. Dopo una settimana in cui mi alzo alle 6.30, avrei sperato di dormire qualcosa in più, oggi. Ma va bene.
Ho sentito le campane della Chiesa suonare a festa, che annunciavano l’inizio della messa domenicale. Mi sono immaginata sorrisi, preghiere, sguardi pieni di fiducia di anime che entravano in chiesa, una dopo l’altra; si facevano il segno della croce, un piccolo inchino, e poi si abbandonavano ad unici momenti con il loro Dio. Ho pensato a loro, alla loro pelle che suda vita, ai loro piedi veloci e scalpitanti che si muovono verso il futuro. Poi verso la morte, poi la vita eterna. Ho pensato che io, a queste cose, non ci credo. Purtroppo.

Mi viene in mente una frase di Eugenio Scalfari:
        "Dio muore nel momento in cui scopriamo d’averlo inventato per sfuggire la paura."
Io l’ho scoperto, che Dio è un’invenzione dell’uomo; e, più o meno vera che sia questa affermazione, non posso fare niente per togliermela dalla testa. Non sono cristiana ma neppure atea, sono tutto e niente, abbraccio tutte e nessuna visione del mondo. Sono dalla parte della filosofia, dalla parte che osserva, studia, analizza senza schierarsi. Mi piace. Perché in questo modo riesco ad assaporare la vita, rimanendo affascinata dal Mondo e da coloro che osservo. Mi sento come su una piattaforma, a guardare con un sorriso ciò che si evolve intorno a me. Rimango estasiata dai processi della vita, dagli sguardi che incontro, dalle parole che scambio con persone completamente diverse tra di loro.

E riesco a rimanere affascinata anche qui, di fronte ad uno schermo, dai vostri blog, dai vostri profili; c’è chi non scrive niente, chi scrive tanto, chi allega qualche foto significativa… e io sorrido. Affettuosamente sorrido. Vorrei abbracciarvi tutti, guardarvi negli occhi. E magari l’avrò anche fatto, perché chissà, magari la mia migliore amica, il mio ex, la mia vicina di casa, forse si nascondono qui, dietro nick che sono tutto un mistero.
Forse sì, forse no… ma che importa?

Che importano le risposte, quando abbiamo tra le mani splendide e vertiginose domande?

Scaglie di vita               
                 si staccano
                                          Dal mondo
Non  resistono             
          cedono
                                                                      alla forza magnetica.

Disperde nell’universo                                                                         
               Getta lontano                                               
                        Avvoltola su se stesse.
Il tempo
                                           Indelebile.

Scaglie d’esistenza
               Vissuta                                                
                     Sfuggita
                            Sprecata.                                              

E nel fragore                 
                                       del silenzio
Nel nulla          
sembra quasi di udire
                                                          Gemiti di rimpianto
           e nostalgia.                        

 
 
 

Post N° 29

Post n°29 pubblicato il 16 Settembre 2008 da ParticuLaura
 

Vi osservo.

Silenziosa.

Aspetto che le nuvole scaraventino gocce sul suolo, una dopo l’altra.

Vi osservo.

Incontro i vostri sguardi. E tutto ciò che vedo è vita repressa.

Voi vivete un’altra vita. Omologata. Individualista.

Una vita di parole vuote, di forma senza sostanza.

Nei vostri sguardi vedo domande represse, talento represso, virtù repressa.

Voi, che coprite le vostre gambe con lo stesso modello.

Di jeans.

Guai a chi è diverso.

Chi è diverso, non ha diritto di essere.

E poi, le vostre scarpe. Scelte accuratamente, con i duecento euro della mamma in mano.

Voi, ragazzi della panchina.

Che di fronte ad un libro storcete la bocca.

Che trascorrete le giornate tra impennate di motorino

Gare di velocità

Baci e sesso.

Voi, ragazzi della panchina.

Che vomitate parole senza domandarvi mai

                                            Cosa

                                                   Come

                                           Perché.

Che andate a dormire con la testa stordita dall’alcol

I sensi inibiti dal sesso

Il vuoto offuscato dal chiasso delle vostre risate.

Voi, ragazzi della panchina.

Che camminate con fragorose note nel cervello

Che ignorate l’azzurro del cielo

Che calpestate i dolci suoni della natura.

Voi. Che date tutto per scontato. Persino la vostra esistenza.

Spegnete per un attimo i vostri apparecchi tecnologici,

abbandonate il pane di gomma con cui pretendete di nutrire la vostra anima.

Nelle vostre notti insonni, vi penserò, accarezzando il cuscino.

Nelle vostre notti insonni, voi che per dormire bombardate le orecchie con oblio musicato,

fermatevi un attimo.

Ritornate alla vostra arrugginita panchina.

Distendetevi sul metallo freddo, iniziate ad osservare la luna.

Chiudete gli occhi.

Assaporate quegli istanti di silenzio.

Inspirate il dolce aroma della notte.

La vostra anima vi sussurrerà.

Vi prenderà per mano, per non lasciarvi più.

Non troverete risposte.

Ma domande.

Le domande con cui siete nati, e con cui morirete.

Le riscoprirete. Le vivrete. E troverete un senso.

E poi, nei pomeriggi d’Estate,

andate pure a ridere sotto i vostri occhiali scuri,

ad incidere i vostri nomi con il pennarello

su quella panchina.

Consumate pure la vita, come una scodella di noccioline di fronte a un mojito.

Ma ogni tanto, fermatevi a guardare il cielo.

Perché un giorno dovrete dire addio a voi stessi.

Ed allora farete di tutto per vedere il cielo. Almeno per l’ultima volta.

 
 
 

Post N° 27

Post n°27 pubblicato il 13 Settembre 2008 da ParticuLaura
 

Ah. Finalmente. Finalmente quell’aria fresca, che entra dalle finestre smuovendo le tende ed accarezza la pelle. Finalmente il caldo soffocante lascia spazio al sottile vento di pioggia.
Eh, sì. L’estate è proprio finita. Le vacanze sono alle spalle, e ciò che rimane è un album di fotografie che si scolorirà con il passare degli anni.

E’ dura tornare alle attività quotidiane, ma a me in fondo non dispiace poi così tanto. Buon rientro a tutti.

Mi lasciate un salutino?

 
 
 

Dio è morto (terza e ultima parte)

Post n°26 pubblicato il 09 Settembre 2008 da ParticuLaura
 

"Ti sei domandata se Dio esista veramente o no, giusto?" Mi fermai per guardarlo negli occhi. "No, fammi parlare- continuò, con la paura che lo volessi interrompere- . Perché dovrebbe esistere…?" Non sapeva da dove cominciare. "Vedi, Laura. Io continuo a frequentare questo gruppo, ci conosciamo dai tempi della prima comunione. Vi voglio bene…ma ho deciso che da dopodomani, quando torneremo a Firenze, non parteciperò più ai nostri incontri. Anch’io mi sono posto la domanda che tu hai fatto ieri sera, davanti a tutti. Me la sto ponendo da troppo tempo, Laura… non so che fare... non sono più sicuro di quello in cui credo" Era teso, ma allo stesso tempo sembrava affranto, come se avesse perso ogni speranza. Era deluso e malinconico. "Continua" lo pregai. "Non so, non so come spiegarlo. Ho perso la fede, non credo più…" Aveva persino difficoltà a parlare, cosa alquanto strana per Francesco, abituato ad esprimersi in pubblico in qualità di rappresentante d’istituto. "non credo più...in Dio." "E cosa pensi che sia stato a farti…cambiare idea?" Chiesi io, vedendolo perso. Talvolta, sembrava quasi che stesse per affogare da un momento all’altro, in un oceano di dubbi e domande che non riusciva ad esternare. Per questa caratteristica, io e lui eravamo molto simili. "Beh, non so… ho letto molto negli ultimi tempi. Tanti libri di filosofi, studiosi, che forse mi hanno cambiato dentro." Finalmente cominciavo a capire. Comprendevo la sua sofferenza, poiché mi sembrava di provare il suo stesso stato d’animo. "Fra, anch’io è da molto che elaboro riflessioni riguardo a questo argomento… io credo che, insomma, tutto quello che ci è stato insegnato, sulla religione, intendo…ecco, non riesco più a reputarlo come verità. Questi valori, che fin dall’infanzia ci sono stati…inculcati, giorno dopo giorno; queste preghiere, nozioni, mi appaiono come vuote. Prive di sostanza. Mi sembrano soltanto parole, cose che eravamo costretti ad imparare, a ripetere, senza sapere." Il vento era cessato, e nel silenzio si riuscivano quasi a percepire gli aritmici battiti del suo cuore, accompagnati dal leggero sussurrare del mare. "E’ come se qualcuno ci avesse, in qualche modo, imposto una visione del mondo, escludendo tutte le altre. E’ per questo che sono sorte quelle mie domande. Forse sono frutto di impulsività, forse un giorno scoprirò che è diverso." Mi strinse la mano così forte da farmi sussultare. Durante il mio discorso, annuiva timidamente con il capo, come se in quel momento stesse analizzando ogni mia parola con attenzione. "Forse, un giorno –continuai- mi riavvicinerò alla religione come prima. Ma adesso, ho scoperto che vi sono talmente tanti punti di vista, che non voglio…non voglio fossilizzarmi solo sulla morale cattolica, e giudicare tutto secondo un’unica visione. Non so, probabilmente è sbagliato, tutto questo. Ma io ho dei seri dubbi sull’esistenza di Dio. Anzi. Sono come te. Non sono convinta che esista davvero."
Proseguimmo con la passeggiata. Ormai eravamo arrivati alla scogliera, e sui contorni degli scogli appariva il leggero bagliore delle luci di una città nascosta. Ad un certo punto mi strattonò violentemente per la mano, tanto che i nostri corpi si urtarono con forza. Feci una smorfia. Sentivo il suo aritmico respiro sul volto. Lo fissai, con l’aria interrogativa e stupita di chi non sa cosa aspettarsi. La luna navigava nelle lacrime dei suoi occhi. Una luna tremante, che scompariva ad ogni fugace battito di palpebre. "La devi smettere!!!" Urlò. Strinse il mio viso tra le mani, facendo pressione sulle tempie. "Basta! Non pensare a queste cose, capito?!" Pronunciò quelle parole con tanta violenza, ma io non avevo timore. Perché nella sua voce percepivo un dolore immenso, non quantificabile. "Dio esiste, è qui! No! Non svegliarti dall’incanto! Almeno tu, continua a vivere…" Allargò le mani, lasciandomi respirare. Mi guardò. Le sue pupille nuotavano nelle lacrime. Si allontanò da me senza voltarsi. Si piegò sulle ginocchia, portandosi le mani al volto "Scusa...scusami…" Sussurrò. Io gli corsi incontro. In quel momento mi accorsi di essere scalza. I miei piedi affondavano nella sabbia morbida, uno, due, tre passi; sentivo gli aghi di pino, le alghe, e chissà cos’altro, sotto la mia pelle. Ma non m’importava. Buttai il mio corpo sul suo, lo strinsi nelle braccia. Piangeva. "No, Laura, no! Sei ancora in tempo, non svegliarti…l’illusione! No…Va’ via, va’ dagli altri…Dio c’è, no, no, non allontanarti da lui… ti prego, non svegliarti dall’illusione. Non svegliarti dall’illusione!" continuava a mormorare parole. "Frà, stai tranquillo…è tutto a posto, va tutto bene…" ,gli mentivo. E piangevo con lui.

 
 
 

Dio è morto (parte 2)

Post n°25 pubblicato il 08 Settembre 2008 da ParticuLaura
 

"Ma, Laura…che stai dicendo?" Le onde s’infrangevano contro il bagnasciuga, e si trascinavano lo stridio che il sale provoca accarezzando i sassi della riva. Sembrava che tutti fossero avvolti da un particolare stupore, come se nessuno fosse preparato a quelle domande. "Niente…- dissi io- Facciamo come se non fosse successo niente." Ma invece tutti sapevamo che qualcosa era cambiato, quella sera.

There is a house in New Orleans
They call the Rising Sun
And it's been the ruin of many a poor boy
And God I know I'm one

Vincenzo impugnò vigorosamente la chitarra e se la pose sulle gambe; iniziò a suonare qualche accordo, accompagnando la melodia con il suo canto appassionato. Muoveva le dita sulle corde. Mi fissava. Vedevo la sua bocca aprirsi e chiudersi, potevo quasi percepire le sue corde vocali che si sforzavano. Ma non riuscivo ad udire alcun suono. Anche Luciana cominciò a socchiudere le labbra; pronunciava alcune parole, stringendosi nel suo pullover verde chiaro. Aveva le mani serrate tra le ginocchia e lo sguardo basso; fissava il calore del fuoco, come se questo le donasse la forza di resistere ancora. Caterina invece non fu in grado di sopportare il disagio della conversazione. Era seduta proprio di fronte a me, con le gambe incrociate; con un abile movimento si alzò in piedi, senza nemmeno poggiare le mani a terra. Si voltò, proseguì verso il mare, per scomparire nel buio.

My mother was a tailor
She sewed my new bluejeans
My father was a gamblin' man
Down in New Orleans

Scaglie di luna brillavano sulla superficie dell’acqua; il mare era calmo, quella sera. Ma non i nostri animi.
Riuscii a scorgere Caterina, con i pantaloni arrotolati fino alle ginocchia ed i piedi scalzi, che camminava lungo la riva. Di tanto in tanto faceva un giro su se stessa, per evitare che il vento le spettinasse troppo i capelli. Portava una sciarpa, attorno al collo; una di quelle sciarpe grigie, di cotone, che s’indossano anche d’estate sopra le magliette a maniche corte. Anch’io le adoravo, quelle sciarpe. Mi davano la sensazione di sentirmi protetta, con il collo accarezzato dalla stoffa sottile. Le portavo spesso, sul lungomare, ma anche al Piazzale, quando mi sembrava di poter abbracciare tutta la mia Firenze con un solo sguardo.

Now the only thing a gambler needs
Is a suitcase and trunk
And the only time he's satisfied
Is when he's on a drunk

Oh mother tell your children
Not to do what I have done
Spend your lives in sin and misery
In the House of the Rising Sun

Quella notte sembrò non finire mai. Mi ritrovai distesa nella tenda, insieme al respiro di Cristina e Luciana che fingevano di dormire. Le parole di quella canzone fecero da colonna sonora ad ogni mio singolo pensiero all’interno della mente. Per tutta la notte. Non riuscii mai a prender sonno. Più che altro pensavo a Francesco, alla sua espressione turbata, ai suoi occhi sfuggenti. Quella sera mi aveva davvero spaventata, con il suo atteggiamento. Decisi di uscire. Aprii silenziosamente la cerniera della tenda, fingendo di non svegliare chi fingeva di dormire. Era tutta una farsa. In quel momento, l’intera vita mi sembrò una farsa. Balenarono dubbi persino sulla verità di me stessa. Io, poi, esistevo davvero? Misi la testa fuori dal piccolo spiraglio che avevo aperto nella tenda. Un brezza fresca fece raggelare i muscoli del viso. Posi i piedi sulla sabbia. Era fredda. Come cenere. Mi venne in mente quando, da piccola, facevo finta che i granelli fossero in realtà polvere di stelle. Immaginavo che le stelle cadenti, una volta arrivate sulla terra, si riducessero a granelli sottili e si depositassero sul mare. Ad un certo punto mi fermai. C’era qualcuno. Qualcuno seduto sulla riva. Mi avvicinai. Era Francesco. Ero indecisa se chiamarlo, oppure sedermici accanto, come un’ombra silenziosa. Alla fine optai per la seconda scelta. Faceva freddo, ero in camicia da notte. Posai le ginocchia sulla sabbia dura del bagnasciuga. "Neanche tu riesci a dormire?" Sussurrai. Si voltò. Mi guardò negli occhi, regalandomi uno dei più belli sguardi che abbia mai incontrato in tutta la mia vita. "Evidentemente no" Sorrise. Io continuai. Ero curiosa. "Senti, Fra… mi dispiace, mi dispiace davvero, se quello che ho detto ieri sera…" Mi interruppe. "Non preoccuparti. Sono io che devo scusarmi, perché me ne sono andato via in quel modo." Gli posi le dita sul braccio. "Francesco. So che c’è qualcosa che non va. Non voglio farmi i fatti tuoi, ma, capisci…" mi prese la mano. Portò un dito alle mie labbra, come per pregarmi: "Zitta, non dire altro" Mi aveva già troncato il discorso due volte. Normalmente odio quando qualcuno non mi permette di parlare, ma quella volta non avvertii alcun fastidio. "Vieni" Mi disse in un orecchio. Sentii le sue labbra sulla mia pelle. Ci incamminammo lungo la riva, verso gli scogli; sapevo che stava per dirmi qualcosa di importante. Gli presi la mano, gliela strinsi forte, per infondergli coraggio. Riuscivo a capire come stesse soffrendo.

Continua...

 
 
 

Dio è morto (parte 1)

Post n°24 pubblicato il 06 Settembre 2008 da ParticuLaura
 

Voltati indietro. Basta anche solo un attimo. Che cosa vedi? Soltanto fumo. Denso fumo nero. La vita brucia. Quando si vive, brucia. E tutto quello che lascia sul suo percorso è fumo e cenere. Possiamo raccoglierla, questa cenere. Possiamo ritornare indietro ed inspirare l’odore di bruciato. Ma nessuno può far nascere altro fuoco dalla cenere. Corri il percorso della vita. E ciò che calpesti prende fuoco. Le fiamme si alzano sempre di più, finché non resta altro che fumo e cenere. Questi i miei ricordi. Questi i ricordi.

Era una notte di Settembre, quando il caldo dell’Estate viene mitigato da quella dolce brezza che sembra non morire mai. La brezza, no. Ma qualcuno quella notte ci lasciò. Ci lasciò in punta di piedi, senza emettere alcun gemito di dolore. Sotto un cielo di stelle tremanti, sotto la languida luce di una luna piena. Dio ci lasciò per sempre. Eravamo sulla spiaggia, con il rumore delle onde che trapana il cervello assonnato; seduti sulla sabbia ancora calda, attorno a qualche ceppo di legno infuocato, due coperte, un libro ed il fumo di sigaretta. Quella notte parlammo a lungo, guardandoci negli occhi illuminati dall’arancio del fuoco. Le parole uscivano dalla bocca, ma subito si dissolvevano nel vento, nel calore delle fiamme, nell’acqua dell’oceano. Quella notte parlammo di Lui, di come era nato, di cosa significava per noi. "Per me Dio è la vita", "per me è il creatore", "per me la luce che illumina il nostro cammino verso l’eternità". Ridevamo. Talvolta era come se il tempo si fermasse, dopo una domanda o una riflessione di qualcuno, un velo di silenzio si stendeva su di noi; ognuno faceva emergere i propri pensieri, andava a scavare negli anfratti della mente per scovare ciò che non spolverava da una vita. Parlammo dei Vangeli, della Bibbia, mentre Vincenzo di tanto in tanto sfoggiava un’ammirevole repertorio di citazioni sacre. Vincenzo era bruno, i capelli scuri gli ricadevano pesanti sulla fronte; aveva i tipici brufoli intorno alla bocca, di quando si hanno le prime esperienze con il rasoio e la schiuma da barba, senza saper ancora maneggiare quella lama sottile. Però leggeva. Dalla mattina alla sera, si riempiva la mente di parole, cercava di memorizzarle. Per fare colpo sulle ragazze, diceva. Ormai aveva vent’anni, ma si sentiva sempre insicuro di fronte a due occhi femminili. Il sapere gli dava sicurezza. Ed anche autostima che non aveva saputo guadagnarsi nella prima adolescenza. E poi pregava. Tutti, intorno a quel falò, avevano pregato quel giorno o avrebbero pregato prima di dormire. Erano felici. Si vedeva dagli occhi. Avevano fiducia nella vita, nel futuro, convinti che di loro sarebbe stato qualcosa di buono. Degno di eternità. Consapevoli che un giorno si sarebbero ritrovati ancora tutti insieme, accanto al Signore, ed avrebbero vissuto per sempre. Anch‘io ero felice.
Ma quella notte fu diversa.
Perché Lui mi lasciò.
Quella notte.
D'improvviso mi venne in mente una sciocchezza: l'uomo da sempre si pone quesiti riguardo al significato dell'esistenza, e la religione trova un senso ed una risposta a queste domande; l'uomo ha paura della morte, e la religione sconfigge questa paura con la speranza di una vita eterna; se un uomo fosse nato su un eremo, non avrebbe mai saputo che un certo Gesù è morto e risorto per noi, per cui Dio non può essere, senza ricordi di altri e soprattutto senza valori trasmessi da altri. Ed allora la mia domanda ruppe il silenzio:
"E se Dio non esistesse?"
Quelle parole risuonarono tra una risata ed una canzone intonata nel buio della notte. Vincenzo, Caterina e Luciana si voltarono verso di me. Li osservai ad uno ad uno. I loro occhi brillavano. "Ma...cosa dici?" Mi chiese Caterina con aria stupita. "Sì- continuai io- se Dio non esistesse?" Mi alzai in piedi, ed iniziai a camminare in cerchio, attorno ai loro corpi che si muovevano ora a destra ora a sinistra, per seguirmi con lo sguardo. " Non vi sembra che la religione sia qualcosa creato dal nostro inconscio per far fronte alle nostre più terribili paure e dubbi?" "Laura…la religione…Dio esiste, è in mezzo a noi; lo preghiamo, lo amiamo, e lui ci ama. L’hai detto anche tu, ricordi? Dio è il creatore di tutte le cose…ma questo tu lo sai meglio di me" Luciana sembrava non credesse ai propri occhi; continuava a socchiudere le palpebre, sperando che dinanzi a lei ci fosse qualcun altro, un’altra persona. Invece di me. Ma purtroppo ero io. Più convinta che mai. Quella era una cosa che mi logorava da tempo, e che avevo cercato di dissimulare tra le pieghe di canti, preghiere, incontri. Invano. Avevo provato a dimenticare, a convincere me stessa che non pensavo davvero una cosa del genere. Che Dio fosse una farsa, un ingegnoso anestetizzante architettato dal nostro inconscio per farci vivere in quella dolce sicurezza del bambino all’interno dell’utero femminile; in quella dolce sicurezza dove ci sentiamo protetti dal creatore, amati, confortati, guidati.

Francesco non si era nemmeno mai voltato a guardarmi. Era rimasto seduto, con lo sguardo fisso su un ceppo di legno infuocato. Ad un certo punto, impugnò una pietra e la scagliò dalla parte opposta del mare, oltre i cespugli di rovi; quel suo gesto mi fece sussultare. Lo fissai. Compresi subito che qualcosa era diverso. "Francesco…" Si voltò per un istante, riuscii ad incontrare i suoi occhi schivi; erano di un azzurro profondo, reso più vivo dal riflesso delle fiamme contro le sue pupille. I capelli biondi gli coprivano le sopracciglia aggrottare, dissimulavano la sua espressione affranta. "Io vado a dormire" Disse, con il tono di voce eccessivamente alto di chi vuol far sembrare agli altri di stare bene, mentre si vede benissimo che qualcosa non va. Si alzò di scatto, scavalcò le gambe distese di Luciana e si avviò verso la tenda. Io lo seguii con lo sguardo, fino a quando sentii chiudersi la cerniera del sacco a pelo. Mi voltai. Tutti mi fissavano; riuscivo quasi ad udire il fragore del loro respiro.

Continua...

 
 
 

sordo grido d'acciaio

Post n°23 pubblicato il 05 Settembre 2008 da ParticuLaura
 

La sua voce stridula risuona tra le pareti spente di questo palazzo. Non c’è muro che tenga. Tutto sembra trasparente, superfluo, inconsistente di fronte alla disperata richiesta d’aiuto. Pochi metri ci separano. Dieci centimetri di cemento. Un pavimento ingiallito. Solo il gelido suono di quei lamenti, neanche una frase esce da quella bocca. Solo lamenti. Lamenti inzuppati di odore di alcool. Non importa che cosa. Whisky, Cognac, birra, vino, vodka. Uno vale l’alto. la gola si corrode ad ogni sorso di più, implora pietà, implora un istante di respiro. Ma no. Il bicchiere si riempie e si svuota in meno di quindici secondi. E va giù. L’oblio va giù per l’esofago, raggiunge lo stomaco, pervade il fegato, l’intestino. Il corpo. E l’oblio lo vendono dappertutto. Anche nel supermercato dietro casa. Bastano pochi passi traballanti per raggiungere la mensola del negozio, dove l’oblio viene venduto in bottiglie di diversi colori. Questo, quest’altro. Anche quello. La mano tremante afferra il vecchio portafoglio di pelle marrone, un regalo che riporta a tempi trascorsi ormai. A quando era viva mamma. Con la sua morte poi, il buio totale. Il nulla. Nessun parente. Nessun figlio. Nessun marito o conoscente. Ed allora l’inutilità riprende vigore, s’insinua nelle viscere e pone là le sue prorompenti radici. Là, dove nemmeno il sole può più arrivare.
Una telefonata. E' lei. Tra un singhiozzo e l'altro, cerca di articolare qualche parola. Trova pretesti, scuse, anche solo per alzare la cornetta ed avere l'idea di voler bene a quacuno tanto da telefonargli. "Scusami cara...il numero del citofono...il codice per aprire il cancello..me lo sono dimenticato. Sai, devo uscire... senza il codice non posso rientrare dopo." Deve uscire. Con mezzo litro di cognac nello stomaco deve uscire. Con la vista annebbiata. Le mani tremanti. Deve uscire. Io le dico il codice, mentre gli occhi iniziano a riempirsi di lacrime. "19..00..32" "Come? Ah, grazie, grazie...se non ci fossi tu..." Non mi fa pena. Sento soltanto l'impulso di fare qualcosa. So che ogni telefonata è una scusa per scambiare due parole, so che oggi non uscirà di casa se non per comprare altre bottiglie di superalcolici, so che non vuole farsi curare, ma so anche che due mesi fa ha minacciato un'anziana del pianterreno con una pietra in mano. So che quella donna può essere pericolosa, purtroppo so che ha bisogno di contatto, di aiuto. Ma il ricovero non è obbligatorio. Deve essere lei a decidere di farsi curare, non posso prendere e portarla di peso in un centro di disintossicazione. Ma voglio fare qualcosa. Qualche tempo fa le ho telefonato. Per cinque giorni non ha fatto che chiamarmi in continuazione, suonare il campanello, aspettare che uscissi dal portone e fingere di incontrarmi per caso all'angolo della strada. MI ha reso la vita impossibile. Ma non posso accettare che lentamente si spenga giorno dopo giorno. Non so che cosa fare.
Scusate per questo sfogo personale. Del resto il blog è fatto apposta, no?

 
 
 

 
 

 

"…Nel sogno ha tutto un’altra consistenza; l’astratto si fonde con ciò che non è, il vero ed il falso appaiono in un’unica indivisibile essenza, non esistono barriere o cime da scalare; ti guardi intorno e vedi il mare, poi ti volti di nuovo, e senti i tuoi piedi affondare dolcemente nel bianco della neve; ti volti ancora, e stavolta stenti a respirare, il naso schiacciato sul petto del tuo peggior nemico, con le sue braccia che affettuosamente ti avvolgono.

Ma quando sei lì devi solo sperare. Concentrarti, e sperare che il vento non cambi direzione. Ma poi è sempre così, se gli stai simpatico soffia dalla tua parte, e se invece non gli piaci si volta di scatto ed inizia a correrti incontro…"

 

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"...Chiuse gli occhi ed inspirò l’odore della vita. Quando li riaprì, fu talmente estasiata da quello che aveva sentito, che iniziò a fare aritmici respiri, sempre più veloci e profondi, per poter inspirare ancora una volta quella dolce aroma. Quando l’aria usciva dai suoi polmoni, sembrava che questa fosse così impaziente di ritornarvi dentro, tanto da non poter attendere un istante di più...."

 

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