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Ferrara e il suo editoriale. Milano, negate cure a donna sofferente

Post n°37 pubblicato il 17 Luglio 2008 da lunarossa.1974

 

Giuliano Ferrara, con un editoriale sul Foglio, tenta, con il suo verbo di scuotere animi sensibili travisando la realtà.

Dipingendola con colori funerei, parlando e sottolineando la morte per disidratazione e di fame.

Vorrebbe nell'immaginario, dipingere quel lettino di morte e concentrare le menti sulle smorfie di dolore di quella ragazza, che non possono esserci poiché:

Eluana è morta 16 anni fa!

Nessuno di noi, privati cittadini o uomini di chiesa o politici possiamo giudicare o condannare o lanciare anatemi sul caso di Eluana: i giudici, con la loro sentenza si son guardati bene dall'assolvere o condannare un desiderio frutto di una propria visione di vita e quindi una libertà decisionale individuale.

È proprio questo che la corte di Milano ha fatto, ha usato il buon senso e l'umana comprensione ma anche compassione.

Non è la sentenza in sé a preoccupare i cattolici, ma ciò che può determinare a breve termine; la strada spianata verso il diritto di scegliere l'eutanasia.

Non vogliono salvare Eluana, voglio evitare la loro sconfitta, vogliono evitare che i cittadini impugnino un diritto che determinerebbe la laicità della Nazione.

Quel che manca in tutte queste tragiche vicende è l'amore per la vita ma anche per gli esseri umani.

Quando ci s'innamora di un compagno o compagna, li si ama totalmente accettando anche i suoi difetti, di certo non ne facciamo strumento di guerra o di maledizioni.

Che sia io per l'eutanasia o per l'aborto o no, poco importa.

Ma non posso privare od obbligare un altro a far lo stesso solo sulla base della mia decisione, della mia opinione: applicherei una dittatura in questo modo.

Non sappiamo cosa sia giusto o meno.

Ci muoviamo sulle basi della educazione ricevuta, sulle nostre esperienze ed ideologie.

Potrebbe aver ragione Ferrara, o io che sono per la dolce morte.

Chi può dirlo con certezza matematica?

Lasciamo che sia chi si trova a vivere determinate situazioni a scegliere.

È la loro vita, non possiamo decidere per altri, soprattutto quando la decisione circonda una sola vita senza urtare o restringere le altrui libertà.

Dobbiamo allontanarci da falsi credi, tornare ad amare e difendere tutte le vite, fossero esse diverse dalla nostra.

La libertà individuale è un bene troppo prezioso per permettere ad altri d'intervenire prepotentemente.



L'editoriale:


Acqua per Eluana Englaro. Da domani, dai prossimi giorni sul sagrato del Duomo di Milano è decente ed è umano che vengano deposte bottiglie d’acqua. Non c’è da discutere, c’è solo da protestare la compassione. C’è solo da protestare. C’è solo da esercitare la libertà di contraddire calpestando quel simbolo di ragione che è la piazza sotto l’ombra di quel simbolo di fede che è la Cattedrale.



Piazza Duomo è un luogo elettivo della religione e del civismo. E’ il posto giusto. E’ il posto giusto per riunirsi intorno al pozzo della Samaritana, e alla sua acqua. A qualche chilometro da lì, a Lecco sul bordo del lago manzoniano, una donna viva sta per essere assetata e affamata dal nostro io collettivo, timoroso della morte e spregiatore della vita umana, dalla scienza impudente e dalla famiglia senza speranza. Non c’è da capire se la fede cristiana sia in grado di salvare senza o perfino contro gli imperativi dell’etica classica e borghese: c’è da agire. C’è da agire su di una piazza, su un sagrato, silenziosamente e solidalmente, secondo la vocazione laica dei cattolici e la cultura cristiana dei laici. Questo è l’etica: discernere il bene dal male (aguzzando la vista) e sforzarsi di fare il bene (attraverso l’ineluttabilità del peccato). Non con la curiosità di Eva e l’autorizzazione biblica di Adamo, beninteso, ma secondo la ragione e la parola, secondo il Logos che per i cristiani è una incarnazione personale, un fatto. Non fare agli altri quanto non vuoi sia fatto a te: dunque, non assetare. Fa’ agli altri quanto vorresti fosse fatto a te: dunque, da’ da bere agli assetati.


Molti nel mondo hanno sete e rischiano di morire. Ma nessuno come Eluana Englaro. Nessuno per sentenza di un giudice. Nessuno per evoluzione della cultura. Nessuno per disperata decisione paterna. Nessuno nel muto nome di una sua volontà precedente. Nessuno come campione umano per la statuizione di una legge di testamento cosiddetto biologico o di eutanasia. Nessuno come cavia ideologica di un passo ulteriore nella via della scristianizzazione radicale del mondo. Nessuno ha sete per un banale incidente filosofico divenuto religione civile universale, la religione della buona morte, la morte buona, capace secondo i modernisti di conferire dignità alla persona che la riceve nel suo letto o autonomia e libertà a chi la dà nel suo grembo. Nessuno nel mondo muore di sete per vanità e necrofilia secolarista. A Eluana Englaro, come avvenne per Terry Schiavo, potrebbe succedere.


Beniamino Andreatta è vissuto nove anni in un letto d’ospedale, a Bologna, chiuso ai contatti diretti e comprensibili con il resto del mondo ma non all’amore della sua famiglia e dei suoi amici. Quando si recò in città, il Capo dello Stato lo andò a trovare. Andò a trovare qualcuno. Non una tomba o una cosa, di cui si possa disporre. C’era un corpo caldo, che di lì a qualche giorno diventò freddo, poiché Andreatta poi morì. Giorgio Napolitano, che si fece venire dubbi clamorosi all’epoca dell’appello di Piergiorgio Welby in nome del diritto di morire, potrebbe farsi venire un dubbio anche questa volta. Di segno contrario. In nome del diritto di vivere. Potrebbe recarsi sul sagrato del Duomo e deporre anche lui una bottiglia d’acqua. Potrebbe invocare una moratoria contro una pena di morte legale, comminata a una sorella delle suore Misericordine con le cautele della tortura umanitaria, affinché le mucose non si secchino e il disagio della disidratazione sia limitato.


Dopo l'editoriale di Ferrara e le conclusioni che ognuno di voi avrà fatto, una nuova drammatica notizia arriva dalla civilissima Milano.

All'ospedale Niguarda di Milano un medico obiettore di coscienza ha rifiutato il proprio aiuto ad una donna sottoposta ad aborto terapeutico. La signora, un'ucraina di 30 anni, era in preda a forti dolori dopo l'intervento ma l'anestesista, una volta saputo che era appena stato fatto un aborto, ha rifiutato il proprio intervento. Per sedare i dolori della donna è intervenuto il primario di ostetricia.

"Il medico avrebbe dovuto intervenire", dice al quotidiano Repubblica il primario Maurizio Bini. E' stato lui a intervenire quando ha saputo del caos scatenatosi dopo la decisione dell'anestesista. Il marito della donna, un italiano, era inferocito per il trattamento ricevuto e aveva iniziato a minacciare di portare via la propria compagna. Il dottor Bini è intervenuto somministrando una forte dose di morfina alla signora: "Non è compito mio fare quella iniezione ma i medici abortisti nel mio reparto sono così pochi - dice il primario - che spesso mi capita di rimboccarmi le maniche e fare da solo".

Scuse fatte alla signora e al marito ma la polemica nell'ospedale non sembra essere finita. Secondo la Cgil, che per prima ha raccolto la denuncia del marito della donna, si è trattato di "omissione di assistenza" e ha sollecitato la direzione sanitaria ad aprire un'inchiesta. Il primario di ostetricia ha invece posto la questione al comitato etico del nosocomio. "Io sono dell'idea - dice Bini - che un medico non può rifiutare un antidolorifico ad una donna sottoposta ad aborto terapeutico alla 21.ma settimana".

Questa è l'umana comprensione??

Drammatica sequela di vicende che abbattono ogni diritto umano.

 
 
 
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