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I MILLE PONTI SULLO STRETTO Vista da qui, la storia infinita del ponte sullo stretto di Messina fa veramente sorridere. Da forse 30 anni e piu’ (anche se l’idea iniziale risale alla fine dell‘800), in Italia discettiamo sull’opportunita’ di costruire questo gioiello di architettura tecnologica o questo mostro di inaccettabile impatto ambientale, a seconda dei punti di vista, senza riuscire a definire se esso aggiunga o tolga qualcosa alle regioni interessate ed all’Italia intera e argomentando da entrambe le parti (piuttosto schierate ideologicamente, bisogna dire), sull’economicita’ e sulla finanziabilita’ dell’impresa. Partire da New York, in questo nostro viaggio sui ponti americani della est coast (e non solo), e’ fin troppo facile. Manhattan infatti, e’ un’isola ed il suo collegamento con gli altri quartieri di New York, il Bronx, Queens e la vecchia Brooklyn non puo’ avvenire altro che passando sopra o sotto l’East River attraverso tunnel, di scarso valore architettonico, ma per contro di difficile realizzazione dal punto di vista tecnico e non proprio ariosi al proprio interno. L’alternativa sono i ponti. E New York, come noto, ne e’ ricca. Si parte dal celeberrimo Brooklyn Bridge che piomba praticamente davanti alla City Hall, il municipio di New York, la sala di comando di questa immensa complicatissima macchina. All’apice di questo triangolo isoscele, il cui vertice superiore dovete immaginare dalla parte di Brooklyn, si diparte l’altro ponte, il Manhattan Bridge, che invece entra a Manhattan all’altezza della famosa Canal Street, il cuore di China Town ed una delle maggiori arterie trasversali della citta’, che va dal New Jersey attraverso l’Holland Tunnel, fino a Brooklyn, passando appunto sopra al Manhattan Bridge. Proseguendo verso nord e risalendo il corso del fiume su una barca immaginaria, si arriva al Williamsburg Bridge, un ponte sospeso che collega il Lower East Side (a Manhattan la bussola e’ ancora uno strumento essenziale) con Williamsburg, un quartiere di Brooklyn molto apprezzato dalle giovani coppie newyorkesi, in cerca di un’area economicamente piu’ accessibile di Manhattan ma non lontana dalla Downtown produttiva e glamour. Seguono poi, sempre verso nord, il Queensboro Bridge, arteria autostradale per chi e’ diretto verso il New England che oltre all’East River “salta” anche la Roosvelt Island, un po’ la locale Isola Tiberina ed il particolarissimo Wards Island Pedestrian Bridge, un ponte mobile percorribile solo a piedi, che attraverso la parte centrale che si alza e si riabbassa a mo’ di ascensore, permette il passaggio delle frequenti imbarcazioni. Inutile andare oltre nella descrizione dettagliata. Vi basti sapere che da questo punto (siamo ancora all’altezza di Central Park - 96ma strada), al punto di congiunzione del fiume orientale con l’occidentale Hudson River (215ma strada), che fascia Manhattan e la stessa New York ad ovest (dall’altra parte c’e’ il New Jersey), ci sono altri 13 ponti di varia architettura e dimensione! Sul versante ovest, a congiungere New York con “l’estero”, il New Jersey, solo il Washington Bridge, sull’intitolazione del quale non credo sia il caso di dare indicazioni. Mi piace solo sottolineare che, anche in questo caso, la tendenza degli americani a facilitare qualsiasi cosa, ha fatto attribuire a questo ponte il nome di “GW Bridge”, divenuto poi “GWB”, the “GW” (come diceva Danny De Vito in un suo film: “posso comprare una vocale?) e addirittura “The George”, che il livello culturale medio di queste parti potrebbe attribuire piu’ facilmente al cantante inglese Boy George che al primo presidente degli States. Lasciando New York, non si puo’ pero’ non citare il ponte intitolato a Giovanni da Verrazzano, fiorentino scopritore dell’isola di Manhattan intorno al 1528. Il Verrazzano Narrows Bridge o come dicono piu’ sbrigativamente da queste parti “The Verrazzano” congiunge Staten Island e Long Island, chiudendo la baia di New York. Proprio questo ponte, lungo 1600 metri a campata unica e quindi senza piloni immersi, puo’ far immaginare quale sarebbe l’aspetto dello Stretto di Messina se l’opera venisse costruita, anche se in questo caso la lunghezza necessaria a coprire la luce tra il continente e l’isola siciliana sarebbe quasi doppia. I cinefili tra voi, sapranno che anche questo luogo, come molti altri della Grande Mela (per esempio la scalinata della Grand Central Station ne “Gli Intoccabili”), lega la sua immagine ad alcune scene di film, tra i quali “La Febbre del Sabato Sera’, oltre ad andare in onda in mondovisione in occasione della Maratona di New York, essendo questa la tradizionale dislocazione della partenza della gara. Unico modo, tra l’altro, per non pagare le salatissime tariffe di ingresso alla citta’, perche’ ovviamente gli americani, sempre attenti al soldo, questi ponti se li ripagano ampiamente. Ma la grande dovizia di ponti non riguarda solo New York. Non serve infatti spostarsi fino alla west coast per trovare altri grandi testimonial di questa specifica branca ingegneristica. Ma almeno il celebre Golden Gate Bridge (lungo 2,7 Km, sempre piu’ vicini al famoso, quanto immaginario, ponte siculo) dovete consentirmi di ricordarlo, senonaltro perche’, costruito nel 1937, è istantaneamente diventato il simbolo di San Francisco. Tornando ad est, basta risalire la costa lungo il New England, la regione affacciata sull’Oceano Atlantico a nord di New York e formata dal Maine, dal New Hampshire, dal Massachusetts (lo stato della bellissima Boston), dal Vermont, dal Connecticut e dal Rhode Island, per incontrare un vero florilegio dell’arte pontiera. Scendendo da Boston, Massachusetz, verso sud, per esempio, senza che voi neanche lo realizziate cominciate ad attraversare una serie di paesi e calette e baie e glolfi, giu’ e giu’ attraverso Plymouth e poi fino a Cape Cod, una virgola di terra che si inoltra nell’oceano, finche’ non raggiungete un posto sperduto chiamato Fall River (ma io cascate non ne ho viste). Li inizia un percorso a tappe, saltando da un’isola all’altra del Rhode Island attraverso ponti quasi sempre sospesi, con angoli di curvatura (non so se si chiamino cosi’, ma spero di essermi spiegato) a volte impressionanti, con una lunga salita fino al vertice dell’arco ed una discesa altrettanto impressionante che vi mostra d’improvviso lo specchio d’acqua che state attraversando. E questo due, tre, quattro volte in un continuo salire e scendere fino a ritornare sulla terra ferma a Jamestown, essendovi lasciati alle spalle un arcipelago solcato da queste meravigliose strutture inventate dal genio umano. Se poi decideste di spostarvi da New York, ma verso il meridione questa volta (anche qui, per inciso, c’e’ un meridione, senza che questo assuma per forza una connotazione negativa), imboccando la Interstate 95 in direzione di Philadelphia e poi Washington, risultera’ difficile non attraversare il Delaware Memorial Bridge che attraversa l’omonimo fiume, collegando il New Jersey proprio al Delaware, ovviamente. Questo ponte, tra l’altro, e’ stato disegnato dallo stesso ingegnere, tal Othmar Ammann, che aveva progettato il Verrazano-Narrows Bridge di New York. Si potrebbe andare ancora avanti a lungo con questo percorso a balzi tra i ponti americani, ma penso di aver gia’ raggiunto il mio obiettivo. I ponti hanno una funzione indiscutibile, sul piano della mobilita’, ma anche un significato ed un senso piu’ trascendente. Ponti alti, bassi, mobili, girevoli, in ferro, in acciaio, sospesi a piu’ campate. Ponti come testimonianza di ardimento, di coraggio architettonico, di azzardo ingegneristico. Ponti tra le citta’, tra le civilta’, sfida contro il vuoto, contro il peso, contro il moto impetuoso delle acque. Ponti come voglia di tentare, come tentativo di unire, come anelito a collegare. Ponti tra stati, tra isole, tra culture. Perche’ non cerchiamo anche noi di vedere in quel ponte una sfida contro l’isolamento? Se facessimo in modo che il Ponte sullo Stretto di Messina rappresentasse la celebrazione dello spirito antimafia, invece di favorirne i traffici? Se ci battessimo non contro il ponte, ma contro il crimine che del ponte vuole appropriarsi, con lo stesso coraggio, lo stesso ardimento necessari a compiere l’impresa dal punto di vista architettonico? Non potrebbe forse questo servire a far sentire l’antica Trinacria un po’ meno isolata, un po’ piu’ vicina al continente, alla Patria, allo Stato? Magari potessimo chiamarlo anche noi “Sicily Memorial Liberation Bridge”. Buona notte, anzi buon giorno Fulvio
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