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Creato da: ElPesoDelAlma il 31/08/2007
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   Caro signor Duilio                        

Post n°9 pubblicato il 12 Gennaio 2008 da ElPesoDelAlma
 
Foto di ElPesoDelAlma

    Occupa un trafiletto nelle pagine della cronaca di Roma di “Repubblica” dell’ultimo scorcio del 2007, l’ultimo episodio nella storia di un “eroe italiano”, un giovanotto sessantasettenne di nome Duilio Paolozzi.
Duilio, come ricorda l’articolo, si ruppe la spina dorsale salvando un’anziana signora che voleva suicidarsi buttandosi dal terzo piano della sua abitazione. Prendendola al volo si procurò danni irreversibili alla spina dorsale e costringendolo da allora ad una vita su  una sedia a rotelle, varcando, come lui scrive,” la soglia di un mondo fino allora a me sconosciuto: quello dei disabili, degli handicappati” e, “per citare Dante” si è trovato “improvvisamente nel girone dei dannati”.
Strana la storia di questo concittadino che, quel giorni di dieci anni fa, costretto tra l’altro in carrozzella dall’ingessatura al piede sinistro per i postimi di un incidente di moto, non esitò dal tentare di salvare una vecchietta di 94 anni, la quale scavalcando il balcone della sua abitazione al terzo piano, tentava il suicidio.
Duilio era il factotum presso la casa di cura “Pastor Angelicus” appartenente all’ordine religioso della Santa Croce; la vecchietta era la nipote di Papa Pio XII.
Duilio, il cui nome esatto è Paoluzzi, da allora è stata un’icona della lotta per i diversamente abili: televisione, blog, sito internet…
A suo dire, oltre ai riconoscimenti, dalla società non ha ricevuto molto.
Veniamo ai nostri giorni.
Duilio vivrebbe discretamente con la sua “misera” pensione di 1.600 euro ma il combinato di due eventi, spunto di riflessione per la loro attualità, minerebbe la sua serena prosecuzione.
Il primo fatto, neanche tanto inusuale oggi a Roma, riguarda  la casa di cura presso cui lavorava e che, generosamente, gli aveva offerto residenza in una dependance oltre ad assicurargli vitto ed il pagamento delle utenze. Gli è stato “detto di lasciare l’abitazione al più presto in quanto l’istituto è stato venduto ad una società di costruzioni che intende edificare un residence di lusso”.
Il secondo riguarda le concessioni dei permessi di soggiorno. Costretto a sostituire il suo assistente indiano, ne trova uno disponibile, sempre indiano, senza permesso di soggiorno. Il punto adesso è che se non ha il permesso di soggiorno non può fargli il contratto di lavoro e senza il contratto di lavoro il Comune non gli dà l’aiuto economico necessario.
Conclusione: quella pensione, che tanto misera non era, dovendo pagare 1.000 euro l’assistente – come mi chiedo – e dovendo cercarsi un’abitazione, con i relativi oneri, misera lo diventa davvero.
Quante porte apre con il suo messaggio, signor Duilio. Quante battaglie dietro quelle porte.
La battaglia per la pari dignità dei diversamente abili, perché questa società, oltre che parlarne, attui politiche di sostegno concrete e praticabili. La battaglia per chiedere trasparenza al Comune riguardo l’assegnazione delle case di proprietà.
La battaglia perché ci sia chiarezza sulle operazioni immobiliari della Curia, senza neanche entrare in polemica sull’opportunità di vendere una casa di cura per lasciare il posto ad un residence di lusso.
La battaglia per i diritti degli extracomunitari che, regolarmente, risiedono in Italia e qui vogliono lavorare e vivere onestamente.  
Sono con Lei in tutte queste battaglie e con Lei nella Sua personale.
Peccato che, proseguendo nella sua lettera al Nostro Presidente, qualcosa  m’indigni.
Caro signor Duilio, come ho detto, condivido le sue battaglie e vorrei farle condividere, però una frase io l’avrei evitata.
Lei scrive: Come capisco il signor Welby che ha chiesto di poter morire in quanto riteneva inutile vivere una vita di sofferenza, io voglio continuare a vivere perché amo la vita che è un dono di Dio e credo di avere il diritto ad avere una vita degna di essere vissuta.
Caro Duilio, la battaglia di Piergiorgio era altro. Era altro e altro rappresenta per quanti in quella battaglia si sono riconosciuti e si riconoscono.
Piergiorgio, nella sua lettera al Presidente, ha rinnovato il suo amore per la vita. L’inutilità di una vita di sofferenza, come dice lei, non era legata ad una sopravvivenza economica, non era legato ad una negazione del dono della vita.
La lascio con le parole di Piergiorgio.
“Sua Santità, Benedetto XVI, ha detto che “di fronte alla pretesa, che spesso affiora, di eliminare la sofferenza, ricorrendo perfino all'eutanasia, occorre ribadire la dignità inviolabile della vita umana, dal concepimento al suo termine naturale”. Ma che cosa c’è di “naturale” in una sala di rianimazione? Che cosa c’è di naturale in un buco nella pancia e in una pompa che la riempie di grassi e proteine? Che cosa c’è di naturale in uno squarcio nella trachea e in una pompa che soffia l’aria nei polmoni? Che cosa c’è di naturale in un corpo tenuto biologicamente in funzione con l’ausilio di respiratori artificiali, alimentazione artificiale, idratazione artificiale, svuotamento intestinale artificiale, morte-artificialmente-rimandata? Io credo che si possa, per ragioni di fede o di potere, giocare con le parole, ma non credo che per le stesse ragioni si possa “giocare” con la vita e il dolore altrui.”
Con affetto.

 
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