Creato da paoloalbert il 20/12/2009

CHIMICA sperimentale

Esperienze in home-lab: considerazioni di chimica sperimentale e altro

 

 

Sfondi d'autunno

Post n°133 pubblicato il 08 Ottobre 2011 da paoloalbert

Oggi, 8 ottobre, al tramonto.

Guardando verso ovest...


8 ottobre

 

...le magie d'autunno.

 
 
 

DDR, Cumene ed esperimenti

Post n°132 pubblicato il 07 Ottobre 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Dando un'occhiata alla mia piccola biblioteca virtuale di chimica organica preparativa mi è capitato di sfogliare un libro edito nel 1972 nella DDR, l'ex Repubblica "democratica" tedesca.

(A proposito, diffidare SEMPRE degli stati che hanno gli aggettivi "democratico" o "popolare" nella propria definizione: la vita in quei paesi è inesorabilmente opposta alla democrazia ed il popolo non partecipa di certo al governo... gli esempi certo non mancano).

In ogni modo, democratica o no, la Germania si è storicamente dimostrata fondamentale nella storia della chimica, soprattutto quella preparativa e industriale, ed anche la DDR del muro non era certamente da meno.
Il libro in questione è il Weygand-Hilgetag e suddivide il proprio contenuto (a cura di molti Autori) in maniera un po' insolita, come segue:

A- Reazioni in cui elementi diversi entrano in legame col carbonio
B- Reazioni dove si viene a formare un nuovo legame carbonio-carbonio
C- Reazioni dove viceversa si ha rottura del legame carbonio-carbonio
D- Reazioni nelle quali avvengono riarrangiamenti nella molecola

Un paragrafo della sezione B parla della alchilazione di composti aromatici per condensazione tra l'-Ar di un idrocarburo e l'-R di un alcol per eliminazione rispettivamente di idrogeno e dell'ossidrile e formazione di un nuovo composto a più atomi di carbonio.
Ho trovato una sintesi fattibile e ho voluto provare, anche se la procedura era descritta molto sommariamente e le speranze di buon esito erano abbastanza aleatorie (come poi si sono effettivamente dimostrate!).

Si tratta della sintesi del cumene (isopropilbenzene) per condensazione in ambiente acido del benzene con l'isopropanolo.
Qualche affezionato lettore penserà a questo punto che mi interessasse anche sentir l'odore del cumene... indovinato, proprio così!

La reazione di massima è la seguente:

 

Cumene

 

Seguendo e integrando la striminzita procedura del Weygand, ho proceduto in questo modo:

-In un pallone a due colli da 250 ml intodurre 200 ml di H2SO4 all'80%, 25 g di benzene e 9,5 g di isopropanolo.
Si noti l'enorme eccesso ponderale di acido rispetto agli altri componenti.

Agitare bene e porre a riflusso per tre ore a 65°- In realtà a questa temperatura non bolle niente, si potrebbe forse evitare il refrigerante a ricadere.
Le fasi (una molto pesante e una molto leggera) si dividono inesorabilmente e occorre agitare di frequente; per questo motivo io ho lasciato reagire più a lungo delle tre ore, sperando di supplire in qualche modo all'eterogeneità della miscela, che non vuole rimanere in contatto.
Alla fine dopo raffreddamento decantare accuratamente la fase acida inferiore con un imbuto separatore e porre il residuo di colore bruno scuro in un palloncino da 100 ml per la successiva distillazione (vediamo cosa verrà fuori...).

Questa è stata la fase più frustrante, perchè in pratica è uscito quasi tutto il benzene indecomposto e quando la temperatura avrebbe dovuto salire fino ai 152° (p.e. del cumene) il palloncino era ormai quasi a secco!

Morale 1: resa praticamente zero, reagenti sprecati!

Morale 2: niente è del tutto sprecato, una esperienza in più rimane comunque ben salda.

Però se non altro l'odore penetrante e caratteristico del cumene l'ho sentito bene ed ora lo saprei riconoscere: l'unico accostamento che mi viene di fare per rendere l'idea è che assomiglia abbastanza alla trementina naturale (la somiglianza molecolare terpenoide c'è!).

Ecco il resoconto in diretta di come può nascere una sintesi nel lab di Paoloalbert; ogni tanto, come le famose ciambelle col buco,  deve capitare una sintesi poco fortunata come questa, altrimenti sarebbe troppo bello!
Ora ritorniamo di là, c'è tutta la vetreria da pulire, altri reagenti scalpitano per sposarsi...


 
 
 

Sintesi della Fenilidrossilammina

Post n°131 pubblicato il 30 Settembre 2011 da paoloalbert

In ambiente acido e fortemente riducente, i nitrocomposti aromatici portano alla formazione della corrispondente ammina; è noto per esempio che il classico metodo di produzione dell'anilina parte dal nitrobenzene che viene ridotto con ferro e acido cloridrico diluito.
Il processo di riduzione non è unico e risente fortemente delle condizioni e del pH di reazione, tanto che usando ambienti riducenti intermedi si possono isolare prodotti diversi.
Semplificando, si può dire che la riduzione completa del nitrobenzene può essere così riassunta:



Fenilidrossilammina 1

 

la reazione procede dal nitrobenzene, al nitrosobenzene, alla fenilidrossilammina, all'anilina.
In ambiente alcalino si possono formare anche azoxibenzene, azobenzene, idrazobenzene, quindi la situazione pratica se vogliamo è molto variegata.

Ho trovato una procedura su un vecchio testo (Cumming, 1937) per la sintesi della fenilidrossilammina C6H5-NH-OH, procedura del tutto attendibile perchè ho verificato che è quasi identica a quella del Vogel, che è indubbiamente una delle massime Bibbie dell'organica sperimentale.

Materiale occorrente

- nitrobenzene C6H5-NO2
- ammonio cloruro NH4Cl
- zinco polvere Zn
- cloruro di sodio
- etere

- In un becker da 250 ml, sciogliere 6 g di NH4Cl in 250 ml di acqua e aggiungere 12 g (10 ml) di nitrobenzene.
(Ricordo che questa sostanza va maneggiata con le necessarie cautele, essendo decisamente tossica).
Porre su agitatore magnetico e aggiungere in quattro porzioni distanziate di un quarto d'ora un totale di 18 g di zinco in polvere.
La reazione Zn/NH4Cl è esotermica e la temperatura si innalza verso i 50°e in una mezz'oretta complessiva il processo di riduzione dovrebbe completarsi e l'odore forte e caratteristico del nitrobenzene dovrebbe sparire.
Nel mio caso, avendo usato della polvere di zinco molto vecchia, la temperatura stentava a salire ed ho lasciato in agitazione per un paio di ore, senza riuscire ad eliminare del tutto l'odore di mandorle amare.
Sicuramente la riduzione non è stata completa, ma essendo questa una sintesi "provvisoria", come poi vedremo, mi sono accontentato della situazione non essendo questa volta importante il problema della resa finale.
Filtrare ora alla pompa l'abbondante residuo di zinco e suoi ossidi derivati dalla reazione; il filtrato è un liquido giallastro un po' torbido.
La fenilidrossilammina si separa da questo liquido saturandolo con NaCl (ne servono 35 g ogni 100 ml), inizialmente sotto forma di un precipitato flocculento molto voluminoso di colore giallastro.
Filtrare su buchner, ridisciogliere nella minima quantità di acqua calda (solub. 1/20), raffreddare in ghiaccio e e riprecipitare ancora saturando con NaCl.
Per separarla completamente dal cloruro di sodio residuo sciogliere in etere, decantare ed evaporare.
Ho ottenuto 5 g di prodotto (47%), in aghetti giallastri marroncini che rapidamente scuriscono all'aria.

 

Fenilidrossilammina 2

 

Fenilidrossilammina 3


Purtroppo la fenilidrossilammina è estremamente reattiva e si può conservare per un po' di tempo solo se purissima (altrimenti va rapidamente a finire come si vede nella foto sopra), quindi sarebbe comunque destinata ad una sorte "provvisoria".

L'impiego sicuramente più interessante che se ne potrebbe fare è la sintesi del Cupferron, partendo dalla fen.idr.amm. appena prodotta.

Il cupferron è il sale di ammonio della N-nitrosofenilidrossilammina, sostanza, come tutte le nitrosoammine, proprio niente affatto salutare...

Comunque sarebbe un bellissimo reattivo per il rame e per il ferro, ma la sua sintesi presuppone l'impiego di grandi quantità di ammoniaca gassosa proveniente da bombola e quindi tale lavoro è del tutto improponibile per un home-lab.

Conclusione: accontentiamoci di vederla per un po', questa fenilidrossilammina, poi una volta nella sua bottiglietta sarà libera di degradarsi a tutto ciò che vorrà, senza alcun rimpianto da parte mia.
L'ho fatta solo per curiosità e sapendo in partenza della sua vita effimera, e che già domani sarà schifosamente scura e fra una settimana un liquido nero, del quale a dire il vero mi piacerebbe assai conoscere l'ignota composizione derivata dai suoi prodotti di ossidazione.

 
 
 

Quando usavamo i cannelli ferruminatori...

Post n°130 pubblicato il 19 Settembre 2011 da paoloalbert

Il tema del Carnevale chimico di settembre, ospitato questa volta da Teresa Celestino sul suo blog Urto Efficace, invita a fare -->
"...una riflessione sull'insegnamento della chimica attingendo ai propri ricordi della scuola superiore".

Uhmm, fammi pensare, perchè è passato un pochino di tempo dalla mia scuola superiore...

Per fare questa riflessione devo fissare innanzitutto il perno attorno a cui ruota ogni ragionamento, un concetto ormai abusato ma fondamentale: l'ambiente di reazione di quando io ero alle superiori, per dirla con una metafora chimica, era diverso.
Quando dico diverso, intendo "completamente" diverso.
Quella che non coincide più è la cosiddetta "società" (non i singoli individui, che più o meno son sempre quelli e sempre lo saranno, buoni, medi, cattivi, ma il loro insieme).
Senza questa premessa ogni comparazione tra la scuola di ieri e quella di oggi perde di significato, come quando si vogliono confrontare due grandezze non omogenee.

Ed anche la scuola e la didattica seguono la società, è ovvio.
Provocatoriamente: buona società --> buona didattica, società triste --> didattica triste...
Che la società della mia giovinezza fosse migliore di quella attuale permettetemi di dire che di questo sono sicuro.
Attenti, importantissimo!: non faccio il ragionamento di quel Cavaliere di Vittorio Veneto il quale, chiesto come si stava in trincea sul Carso nel '17, rispondeva: "benissimo, avevo 18 anni...", no, sono proprio sicuro in maniera oggettiva che quand'ero alle superiori la società era migliore, molto migliore.

Fine delle considerazioni sociologiche, e cerchiamo di ricordare.

°°°

Tanto per cominciare occorre premettere che nel mio periodo le scuole superiori a indirizzo prettamente chimico erano talmente poche (sulle dita delle mani ci stavano tutte quelle dell'Italia settentrionale? Credo di sì) che gli studenti che le frequentavano erano generalmente più motivati della media, e tanti, come il sottoscritto, costretti a vivere molto lontano da casa e a caro prezzo per poter studiare proprio quella materia prima dell'università.

°°°

La mia scuola la ricordo con estremo affetto, e altrettanta considerazione la riservo a tutti i miei professori; non ce n'è uno che io ricordi con un minimo di disaffezione! Li salvo tutti, dal primo all'ultimo.
Qualcuno era meno preparato (quello di fisica del secondo anno forse) ma devo dire che mediamente erano molto bravi, dal lato professionale e da quello umano.
La giusta severità era allora d'obbligo ed il rapporto gerarchico molto osservato, ma il rispetto reciproco alunni-insegnanti era sacro. Goliardico, magari spinoso, ma sacro.

°°°

I voti?
Sui voti non esistono paragoni con l'oggi: la media dell'otto credo non sia mai stata assegnata nel mio quinquennio in tutte le numerose sezioni; sette era una media da premio (molto rara).
Da un po' di anni a questa parte ci sarebbe discutere su quell'ambiguo autogiudizio che qualche insegnante dà palesemente a se stesso, secondo l'equazione: "...i miei alunni escono tutti con ottimi voti? Guardate come sono bravo! Quei nove e quei dieci che elargisco a piene mani rispecchiano il giudizio sulla qualità del MIO insegnamento!"... ma lancio e non commento un ragionamento così impietoso quanto evidente su certa moderna didattica.
In ogni caso la mia vecchia scuola riguardo i voti funzionava in quel modo. Forse anche per questo aveva quel prestigio che le è rimasto.

°°°

- I fondi sono scarsi, i reagenti costano e quell'impianto è rotto: non si può fare laboratorio.

Allora questa situazione, divenuta oggi la quasi la normalità, sarebbe stata, oltre che inconcepibile, anche vergognosa; non ricordo quante ore di laboratorio si facessero alla settimana, ma erano tante, di mattina e di pomeriggio, di inorganica e di organica.
Ognuno era possessore, a sue spese, del canonico filo di platino, anche allora carissimo: cinquecento lire, una follia!
Nel taschino del camice di parecchi studenti spuntava un vezzoso simbolo del mestiere, il cannello ferruminatorio (!), come ora spunta lo stetoscopio al collo di ogni novello dottore di corsia.
(Ogni tanto lo cerco nelle robe vecchie, dovrebbe essere ancora in giro da qualche parte, mi dispiace da morire averlo perso).
Mi domando che senso abbia, nel 2011, la sola parola "cannello ferruminatorio" e quanti sappiano cosa diavolo sia senza andarlo subito a cercare con Google.
Allora era un attrezzo quasi quotidiano del mestiere di studente di chimica, e non parlo dei tempi di Justus Liebig o del Molinari...

°°°

Naturalmente ho ancora il Kuster-Thiel, quel famigerato preziosissimo libro rosso dei pesi molecolari e delle tabelle logaritmiche, indispensabili per fare i calcoli con tanti di decimali: ci voleva più tempo per fare due moltiplicazioni che per trovare il calcio sepolto in mezzo allo stronzio... Pazzesco!
(Ricordo che il regolo ed i logaritmi si usavano fino ai primi anni '70; la rivoluzionaria calcolatrice Sinclair da taschino viene dopo!).

°°°

I libri?
Ben fatti, per quanto mi riguarda. Alcuni non li venderei a nessun prezzo.
Non per il contenuto, che è necessariamente diverso perchè la chimica la si insegna oggi in maniera completamente diversa, migliore credo
,  ma per l'approccio a questa materia.

Io amo profondamente la chimica grazie soprattutto ai libri; ma se dovessi avvicinarmi oggi ad essa, partendo da zero, non credo che i libri attuali della scuola superiore (li trovo freddi e senz'anima), mi aiuterebbero ad amarla.
Ti fanno magari convinto di essere un mago della materia, l'insegnante ti ha dato nove, ed esagerando un po' non hai la più pallida idea di come sia fatto nemmeno l'acido solforico.

-Posso sapere benissimo la chimica senza averlo nemmeno mai visto l'acido solforico...- dice immediatamente qualcuno, arrivato a questo punto.
Certo! Ma se questo qualcuno sei tu, saprai magari tutti i meccanismi ma, mi spiace, non ami la chimica.
Se veramente pensi così e non senti quella curiosità fisica, direi "organolettica", verso le sostanze, non sarai mai un Chimico come io concepisco debba essere un Chimico.
(Non pretendo di avere ragione per forza!).

°°°

Non sono stato del tutto obbiettivo? Mi sono lasciato prendere dalla sindrome di quel Cavaliere di Vittorio Veneto? Può darsi, ma non più di tanto...
Il discorso è molto parziale ed incompleto, ci sarebbero da aggiungere ancora tante cose? Il problema della didattica è stato solo sfiorato? Sicuramente, ma la pagina è venuta lo stesso anche troppo lunga.

(Ho lasciato volutamente indefiniti il tempo e lo spazio di questi ricordi: ognuno li collochi dove e quando meglio crede).

 
 
 

Le dieci gemelle PI

Post n°129 pubblicato il 14 Settembre 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Anche nelle famiglie chimiche succedono cose strane.

C'è per esempio una bella comunità in cui vive una sfilza di femmine il cui nome inizia con PI e che sembrano tutte sorelle gemelle e non sai mai qual'è una e qual'è l'altra.
In realtà c'è anche qualche maschietto nella famiglia, ma loro sono in netta minoranza e sembrano quasi a disagio in mezzo a tante ragazze; pertanto li lascio momentaneamente fuori gioco.

Ma di cosa stai parlando? Son vaneggiamenti?

Niente paura, sto parlando di quell'infornata di sostanze eterocicliche i cui nomi sembrano studiati apposta per far confusione; sfido trovare qualcuno che -tic, tac- sappia sparar fuori tutte le formule giuste, senza incertezze, delle sostanze che dirò.

Ricordo intanto per qualche lettore volonteroso che in chimica organica sono cicliche quelle sostanze la cui formula è formata da un poligono, come un serpente che si mangia la coda, ed eterocicliche quelle che hanno intercalato nell'anello della formula anche un elemento diverso dal carbonio.

Ecco il campionario delle gemelle PI, spero ci siano tutte le più importanti.

Naturalmente faccio questo elenco soprattutto per me, perchè faccio sempre confusione e mai son riuscito (nè mai riuscirò...) ad impararle tutte.
Ora le birichine sono imprigionate tutte assieme in un quadretto di famiglia, numerate dall'1 al 10; cominciamo con quelle che hanno l'anello esagonale...

 

Dieci gemelle

 

1- Piridina 2- Pirazina 3- Piridazina
4- Piperazina 5- Piperidina 6- Pirimidina

... e sotto ci sono quelle con l'anello pentagonale:

7- Pirrolina 8- Pirazolina
9- Pirrolidina 10-Pirazolidina

Le ho messe solo in ordine di "assonanza", niente a che vedere con somiglianze chimiche, aromaticità o quant'altro.
Qualcuna manca all'appello perchè è fuggita magari con qualche maschietto?
Ma sì dai, citiamo allora anche un paio di fidanzati e di pretendenti:

- con la pirrolina ci sta il pirrolo... ma ci prova anche il pirrolidone!
- con la pirazolina ci sta il pirazolo... ma ci prova anche il pirazolone!

Visto che ci siamo, vogliamo dare una sbirciatina a qualche appartamento di questo strano condominio, anche se sul campanello il nome non comincia sempre con PI?  C'è qualche famigliola moderna, "con gli anelli condensati", e qualche piccola trasgressione...

- App.1: l'indolo con l'indolina
- App.2: il cumarano con la cumarina
- App.3: il tiazolo con la tiazolidina
- App.5: la purina convive con la pteridina...
- App.6: il partner del tiofene è il tiofano (o è viceversa? Boh...)

 

Basta! basta! ero partito con l'idea di fare un po' di ordine e mi trovo più confuso di prima!

 
 
 

Sintesi della Semicarbazide cloridrato

Post n°128 pubblicato il 10 Settembre 2011 da paoloalbert

Ogni tanto accenno nel blog a quelli che io chiamo "sporcaprovette", cioè a quegli strani individui che hanno come hobby la chimica sperimentale.
L'aggettivo strano (nel senso di poco comune) è proprio il minimo che si possa pensar di assegnare ad una così sparuta categoria di persone: la chimica come hobby!

Chi, di questi tempi, si sognerebbe di passare il proprio tempo mescolando introvabili reagenti per tentare di attaccare pezzetti di molecole uno all'altra?
Quello dev'essere proprio un tipo strano...
Eppure, seppur pochissimi (pochissimi elevato al cubo!) questi tipi esistono.
Si contano sulle dita di un paio di mani, ma esistono.
(Mi riferisco ovviamente agli sporcaprovette home-lab, non ai tanti che lo fanno durante il periodo di studio o per motivi di lavoro, questi non rientrano nella mia classifica).

Uno di quelli bravi è l'amico Massimo, anche lui animato da una ammirevole passione per la tavola periodica, e si dà veramente da fare in maniera sempre più "professionale".
Mi ha dato lo spunto per fare una buona sintesi, presa dalla bibliografia ma con qualche personale variante nella fase finale; è una sintesi facile ma abbastanza singolare perchè coinvolge in maniera fondamentale un sale assai poco ricorrente sia in chimica organica che inorganica, il cianato alcalino.
Da parte mia, come ulteriori personali varianti oltre a quelle di Massimo, ho usato una quantità maggiore di acetone in due fasi intermedie anzichè una e KOCN anzichè NaOCN.

Le reazioni, prese dal Vogel, sono le seguenti:

2 NH2NH2•H2SO4 + Na2CO3 --> (NH2NH2)2•H2SO4 + Na2SO4 + H2CO3

(NH2NH2)2•H2SO4 + 2NaOCN --> 2H2N-CO-NH-NH2 + Na2SO4

Materiale occorrente:

- idrazina solfato NH2-NH2.H2SO4
- potassio cianato KOCN
- acetone CH3-CO-CH3
- sodio carbonato Na2CO3
- acido cloridrico HCl
- etanolo CH3-CH2-OH
- etere C2H5-O-C2H5
- vetreria opportuna

- In una beuta da 100 ml sciogliere 6,5 g di solfato di idrazina e 2,7 g di sodio carbonato in 30 ml di acqua; si ha svolgimento di CO2 per parziale deacidificazione dell'idrazina.
Portare a ebollizione e lasciar raffreddare a 50-55°
A questo punto aggiungere una soluzione di 4,3 g di potassio cianato in 50 ml di acqua, mescolare e lasciar riposare una notte.
Si ottiene una soluzione limpida ed un precipitato bianco di idrazodicarbonamide come reazione secondaria.

 

Semicarbazide 1

 

Semicarbazide 2

Una volta filtrato, possiamo tenere anche questo prodotto bianco cristallino in quantità recuperabile (1 g).

Porre il filtrato in una beuta su agitatore magnetico e aggiungere 16 ml di acetone, lasciando mescolare per 4-5 ore per favorire la formazione dell'acetone semicarbazone sotto forma di un precipitato bianco lattiginoso.


Filtrare il semicarbazone, aggiungere al filtrato alti 10 ml di acetone, mescolare  per un'altra ora e rifiltrare, unendo i due precipitati.
Lasciar seccare all'aria l'acetone semicarbazone.

 

Semicarbazide 4



Sciogliere, scaldando a 50-60°, il semicarbazone nella minima quantità di HCl al 30% (ne servono circa 6 ml); si libera l'acetone, che evapora completamente.

 

Semicarbazide 3

 

Raffreddando in ghiaccio, aggiungere 15 ml di etanolo ed altrettanti di etere, mescolando bene; la semicarbazide cloridato precipita sotto forma di polvere bianca cristallina.
Lasciar asciugare facilmente all'aria, resa 3,3 g, circa il 60 %

 

La semicarbazide è un reagente per aldeidi e chetoni perchè forma prodotti di condensazione cristallini con un p.f. ben definito e facilmente separabili, che possono poi rigenerare il prodotto carbonilico per idrolisi acida.

 

Semicarbazide 5


Per dare a Cesare quel ch'è di Cesare, anche questa volta ci sono dei ringraziamenti da fare: vanno all'amico Massimo per lo spunto a questa interessante sintesi.

 
 
 

La leggerai da lassù

Post n°127 pubblicato il 06 Settembre 2011 da paoloalbert

Oggi ho perso definitivamente uno dei più fedeli, anzi, il più fedele fra i lettori del mio blog.

Ho perso definitivamente (solo dopo ci rendiamo conto di questo avverbio!) oltre che un amico fraterno un interlocutore eclettico... un interlocutore di quelli che sanno e agiscono.

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Chi mi regalerà ora qualche giro di tornio, mentre il tempo passato lavorando era una scusa per mille agganci d'officina e di tecnica... D'ora in poi quel tornio sarà solo una vuota macchina che gira senz'anima.

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"Hai sentito alla TV -mi diceva sempre più spesso- di quelli che trattano l'energia come se il secondo principio della termodinamica non esistesse?" Ed entrambi sogghignavamo di gusto, soddisfatti di riuscire a capirci al volo sui nostri temi.

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Che dire della sua passione per la musica operistica, che lo prendeva fin nell'anima? Non so se nel suo regno/laboratorio girassero di più le macchine utensili o i CD di Verdi, di Mozart...

....

Chi mai mi chiamerà più al telefono dicendomi che "i quattro satelliti di Giove sono tutti belli schierati, come un quadretto... anche Mercurio oggi è visibile... se vuoi venire c'è già il telescopio puntato..."?

....

Quanti altri infiniti pensieri potrebbero stare al posto dei puntini... ma non li scrivo.


Caro Guglielmo, ho trovato da poco in vecchie carte una storica cartolina postale (allora non c'erano gli SMS, non c'erano le e-mail...) che mi scrivesti riguardo le nostre "realizzazioni" di quand'eravamo studenti; volevo fare in tempo a mostrartela... ti sarebbe piaciuta, avremmo riso di quei tempi ingenui... ma non ci sono riuscito.
Pazienza, la leggerai da lassù.

Addio Guglielmo, continua ad essere un fedele lettore.

 
 
 

La viscida Muresside... parte seconda.

Post n°126 pubblicato il 31 Agosto 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Eccoci finalmente alla fase sperimentale del saggio della muresside: cosa ci serve?
Un po' di caffeina e dei buoni ossidanti, come l'acqua ossigenata o un clorato alcalino, ed ammoniaca per concludere.
Il test è facilissimo e viene bene, fatto salvo naturalmente che nel lab ci sia ogni volta tutto ciò che occorre al caso in gioco (risolvere questo problema per un lab hobbistico di chimica organica è estremamente più difficile di quanto possa sembrare, ma questo è un altro discorso, al quale ho già accennato in passato).


Test 1

- porre in una capsula una piccola puntina di spatola di caffeina con circa 4-5 volte il suo peso di clorato di sodio o potassio, mescolare e ricoprire la miscela con un paio di ml di HCl concentrato.
Si ha svolgimento di cloro ed ossidazione della base xantinica.
Mettere la capsula in bagno d'acqua bollente e lasciar evaporare; si forma alloxantina giallo-arancio (mescolata a NaCl).
Aggiungendo un paio di gocce di ammoniaca si nota la colorazione rosso violacea del purpurato di ammonio, cioè della muresside.

Muresside 1 
Residuo dell'ossidazione con NaClO3

Muresside 2 
Aggiunta di qualche goccia di ammoniaca

Muresside 3 
Tracce di alloxantina su carta da filtro esposte ai vapori di ammoniaca

Test 2

- porre in una capsula una piccola puntina di spatola di caffeina e aggiungere 1 ml di HCl al 10% e 1 ml di acqua ossigenata al 30%.
Evaporare a bagnomaria come nel caso precedente, ottenendo un residuo giallo aranciato.
Con una traccia di ammoniaca diluita si ottiene l'intensa colorazione della muresside.

Muresside 4 
Residuo dell'ossidazione con H2O2

Muresside 5 
Aggiunta di un paio di gocce di ammoniaca diluita

Muresside 6 
Fase finale

Come si vede il test viene benissimo e la colorazione purpurea è molto evidente; chi non avesse a disposizione la caffeina potrebbe estrarne un po' dal tè (anche senza purificarla) e fare un test ancora più "ruspante" sul prodotto alimentare: oso sperare che qualche anonimo e incognito volontario prima o poi lo farà.

Per concludere, ringrazio l'amico  Marco per avermi dato lo spunto per questo lavoretto in due puntate.

 
 
 

La viscida Muresside... parte prima.

Post n°125 pubblicato il 29 Agosto 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Quando (è passato un bel po' di tempo?) frequentavo con gli amici di scuola il laboratorio di chimica organica, ogni tanto usciva da parte di qualcuno la battuta:

-LA MUREXIDE, LA MUREXIDE! indicando con finto ribrezzo il soffitto o una parete del lab. -E' vero, è vero, eccola là che scivola, rispondeva qualcun altro con risibile orrore...

Per capire questo apparente linguaggio di pazzi occorre sapere che noi intendevamo per "murexide" un immaginario quanto immondo mollusco, rosso e viscido, schifosamente pronto a cadere nel becker delle analisi...
Si sa, le giovanili fantasie non hanno limiti, e tutto così per ridere, magari per sdrammatizzare la ricerca di qualche famigerato doppio legame.

Tutto ciò sarebbe forse caduto nell'oblio dei ricordi se qualche tempo fa, senza sapere questi precedenti, l'amico Marco (ecco il link al suo blog, per i pochi che non lo conoscessero) non mi mandasse via e-mail, indovinate un po' che cosa... il classico saggio analitico per i prodotti xantinici: proprio la prova della MURESSIDE!
Ma che meraviglia, mi son detto, lo faccio subito in onore dei vecchi tempi!

Ma cosa diavolo è la muresside? Ci vuole una brevissima introduzione...

Tutto ha origine da sostanze biologiche naturali o derivate chiamate acido urico, purina e xantina:

Acido urico   purina    Xantina

Acido urico                    Purina                 Xantina

per esempio il derivato trimetilico della xantina è la notissima caffeina del caffè

 

Caffeina

 

che con le sorelle quasi gemelle teobromina (del cacao) e teofillina (del tè) costituiscono le cosiddette basi xantiniche.

In questi derivati xantinici per ossidazione l'anello imidazolico (quello pentagonale di sinistra) viene distrutto dando origine ad una miscela di allossana e acido dialurico,

 

Allossana          Acido dialurico

Allossana                                   Acido dialurico

i quali possono condensare per formare alloxantina


Alloxantina

 

A sua volta l'alloxantina, in presenza di ammoniaca, forma il sale d'ammonio dell'acido purpurico intensamente colorato in rosso purpureo, detto finalmente... muresside!
(Dice qualcosa il nome Murex degli antichi?)

Ecco la reazione finale, che porta dalla alloxantina alla muresside.

 

Alloxantina muresside

 

E' interessante notare che tutti questi nomi pittoreschi dei derivati dell'acido urico vennero scelti per la maggior parte da Wohler e Liebig secondo particolari ragionamenti in un tempo in cui era quasi impossibile intuirne le strutture ed il metodo per determinare il contenuto di azoto era così soggetto ad errori da dare risultati incerti.
Col tempo questi nomi storici sono riusciti a permanere anche a dispetto della moderna nomenclatura ed ora li ritroviamo ancora sulla cresta dell'onda, riassuntivi di altrimenti troppo lunghi termini IUPAC.

La muresside è stata perfino usata per un breve periodo nella seconda metà dell'ottocento come colorante per lana e seta; si partiva addirittura dal guano del Cile, estraendone l'acido urico, trasformandolo in --> allossana, --> ac. dialurico, --> ecc. --> ecc., un lavoraccio insomma... poi sono arrivati i coloranti derivati dall'anilina e simili e la simpatica muresside è ricaduta in oblio, relegata in qualche prova di laboratorio o rivissuta in qualche strambo blog, come questo.

Nella prossima puntata arriveremo finalmente alla fase sperimentale, che ci confermerà in pratica il senso di tutti questi discorsi.

 
 
 

I signori Marne, Kedde e gli oleandri...

Post n°124 pubblicato il 21 Agosto 2011 da paoloalbert

L'ottavo Carnevale della Chimica, ospitato questa volta sul blog Knedliky ha come tema "La chimica delle sostanze bioattive": quale migliore occasione per provare e riferire un paio di test qualitativi che avevo in mente da una montagna di tempo?

 

Oleandro

 

Da noi, ed in tutto il Mediterraneo,  non c'è persona che non sappia che l'oleandro è una pianta velenosa; certo non dev'essere così dappertutto perchè sembra che specialmente in Sud Africa, dove questa bella pianticella non è autoctona, vi sono molti casi di avvelenamento, soprattutto fra i bambini (la fame dev'essere tanta per riuscire a biascicare queste amarissime foglie...).
Effettivamente l'oleandro (Nerium oleander) è MOLTO velenoso, dato che una sola foglia può essere mortale per un bambino piccolo e poche lo sono altrettanto per un adulto.
Per persone con problemi di cuore, e per animali particolarmente sensibili come le pecore, una dose di foglie di soli 0,5 mg/Kg (una foglia grande pesa mediamente 500 mg) può essere letale!
Il principio attivo è un glicoside cardiotossico, l'oleandrina, quasi identica ai molto più noti glicosidi digitalina e digitossina, derivati dall'altro bellissimo vegetale a nome Digitalis purpurea; ecco qui sotto le formule dell'olendrina e della digitossina:

   Oleandrina       Digitossina

 

 

 

 

L'oleandrina pura si presenta come una polvere bianca cristallina, insolubile in acqua, molto amara. Nella pianta dell'oleandro, specialmente nelle foglie, è contenuta per circa lo 0,08% -

Come tutte le sostanze bioattive di origine naturale, tutte queste sostanze sono state usate in medicina, nella fattispecie come potenti cardiostimolanti, in dosi ben controllate a causa della loro elevata tossicità.
Ma mentre la digitalina ha degli effetti più costanti e prevedibili, l'impiego dell'oleandrina è molto più problematico, tanto che in pratica (a parte Russia e Cina) è stata pochissimo usata dalla nostra farmacopea.
Per la modalità di azione biochimica di queste sostanze rimando ad informazioni facilmente reperibili e che esulano dalle finalità di questo blog; aggiungo solo che gli effetti di avvelenamento da parte dell'oleandrina sono forti disturbi a livello gastrointestinale e generale, ma soprattutto gravissimi scompensi cardiaci (bradicardia, tachicardia, aritmia, ecc.) ed a carico del SNC.

Dopo questa allegra e consolante introduzione sulle belle e pericolose proprietà della figlia dell'oleandro, me ne torno nel campo strettamente più consono a questo blog: quello sperimentale, che non manca mai.
Nella foto in apertura si vede un piccolo ma rigoglioso Nerium, con le fogliette pronte per "l'analisi" (in realtà non è stato lui a far da cavia, ma un suo simile molto più "dotato"...).

Seguendo una procedura presente in rete, ma che qui volutamente non riporto (è uno specifico brevetto del 1948) ho isolato un concentrato di oleandrina di qualche mg, sufficiente per le prove confermative che avevo intenzione di fare.
La cristallizzazione della sostanza pura è molto difficile e occorrerebbe operare su quantità maggiori di "materia prima" di quelle che ho usato io: per ora accontentiamoci ampiamente!
Volevo fare due test qualitativi sull'oleandro, molto diversi: quello col reattivo di Marne e quello col reattivo di Kedde.

Il reattivo di Marne si prepara in questo modo:
- sciogliere 1 g di di ioduro di cadmio in una sol. bollente di 2 g di ioduro di potassio in 6 ml di acqua e poi mescolare con 6 ml di soluzione satura di KI; forma un precipitato con diversi alcaloidi.

Il reattivo di Kedde si prepara in questo modo:
- sciogliere 0,3 g di acido 3,5-dinitrobenzoico in 1 ml di etanolo e aggiungere al momento dell'uso 1 ml di NaOH 2N; con cardenolidi (come l'oleandrina) produce una intensa colorazione dal rosso al blù-violetto, che pian piano svanisce.

 

Test n. 1:

Oleandrina 2


Foto sopra: soluzione diluitissima di oleandrina in etanolo, limpida
Trattamento della medesima con 5 gocce del reattivo di Marne, si nota (in realtà molto meglio che in foto) l'intorbidamento.

 

Test n. 2

Oleandrina 3

Foto sopra: nel pozzetto a sinistra soluzione diluitissima di oleandrina in etanolo
A destra, trattamento della medesima con 5 gocce del reattivo di Kedde
Il colore del pozzetto in alto si sta già attenuando, fatto tre minuti prima del'altro.

                                     ---°°°OOO°°°---

I test qui sopra ripagano piacevolmente le MOLTE ore trascorse a preparare tutto e confermano quello che già si sapeva: entrambi risultano positivi all'oleandrina, c.v.d.
Evviva, alla salute di Nerium e della figlioletta!


(E a proposito di reattivi: a presto con la sintesi dell'acido 3,5-dinitrobenzoico, fatto per l'occasione...).

 
 
 

Cobalto, reazione di Blomstrand

Post n°123 pubblicato il 19 Agosto 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Ecco un altro piccolo intermezzo, facile facile, scaturito giocando d'estate con i sali di cobalto.

Questo metallo forma una miriade di complessi con i più svariati anioni: uno di questi, abbastanza insolito, è il sale di Blomstrand, ovvero cobaltocianato di potassio K2[Co(OCN)4] dall'intenso e bel colore blù-azzurro.
La formazione del colore è una delle reazioni dell'analisi qualitativa classica durante il riconoscimento dell'anione cianato -OCN (naturalmente vale anche l'azione complementare: si può ricercare il cobalto usando un cianato, ma di solito si preferisce il saggio di Vogel, usando non un cianato ma un tiocianato).

E' interessante notare che i quattro amici idrogeno, ossigeno, carbonio e azoto si combinano tra loro (quando in rapporto 1:1:1:1) in tre modi diversi, dando origine ai tre acidi isomeri, instabili allo stato libero

- acido cianico H-O-C≡N
- acido isocianico H-N=C=O
- acido fulminico H-O-N=C

L'acido cianico è quello del cianato di potassio KOCN di questo post; è un sale di uso poco comune, che si forma oltre che per ossidazione del cianuro alcalino KCN anche in un bel modo che vedremo qualche altra volta.

L'acido isocianico è importante per certi isocianati organici (come il famigerato metilisocianato di Bophal CH3-N=C=O) impiegati per sintesi industriali per la produzione di pesticidi o polimeri.

L'acido fulminico è conosciuto in pratica solo per il suo sale di mercurio Hg(ONC)2, il più noto esplosivo innescante, ora quasi completamente sostituito da altre sostanze.

(Per completezza, ci sarebbe anche il trimero acido (iso)cianurico C3H3O3N3, ma non usciamo troppo dal seminato...).

Tornando al tema del giorno, il complesso colorato K2[Co(OCN)4] si forma facilmente trattando l'acetato di cobalto con cianato di potassio, secondo la reazione:

Co(Ac-O)2 + 4 KOCN --> K2[Co(OCN)4] + 2 K(Ac-O)

Se la quantità di acqua è grande il colore blù scompare perchè lo ione complesso si dissocia nei suoi componenti e rimane solo il tenue rosa del cobalto Co++

[Co(OCN)4]-- --> Co++ + 4 OCN-

Aggiungendo ancora cianato (oppure etanolo) l'equilibrio si ri-sposta a sinistra.

Le foto mostrano i due colori:

 

Blomstrand 1

Blomstand 2

 

 

 

 

 

 

sol. di acetato di cobalto                complesso con KOCN

oppure diluizione con acqua           oppure aggiunta di etanolo.

 

Come dicevo all'inizio, giochetti estivi di poco impegno!

 
 
 

Edgar Degas ed una passeggiata in collina

Post n°122 pubblicato il 13 Agosto 2011 da paoloalbert

E' incredibile come la mente possa, partendo da uno stimolo qualsiasi, mettersi a girovagare in un milione di agganci, solo con un po', diciamo così, di "predisposizione".
Mi è capitato qualche giorno fa di passeggiare lungo una amena stradicciola, immersa a sua volta in un alrettanto piacevole ambiente collinare e vedere, guarda là, un bel gruppo di argentee pianticelle di Artemisia Absinthium.

Come si sa, quest'erba era la fondamentale materia prima per la produzione del famoso liquore Absinthe (Assenzio), tanto caro agli intellettuali del decadentismo francese di fine ottocento ed ai pittori di quel periodo, e mi permette di giustificare l'apparentemente incongrua associazione tra il famoso pittore delle ballerine e la mia passeggiata in collina.

Ho preso una pianticella piccolina e l'ho trapiantata provvisoriamente in un vaso, in attesa di più consona collocazione nel giardino di casa: ecco la foto:

 

Assenzio


Sull'assenzio ci sarebbe da scrivere fin che si vuole, sia per quanto riguarda la medicina popolare che sul famoso liquore bohemienne, ma non voglio ripetere cose già note e rimando a questi soli due link, che mi sembrano esaustivi quanto basta e fatti bene link1 e link2.

Assaggiare una foglietta di assenzio non è per niente piacevole (naturalmente ho provato di persona) perchè contiene una sostanza dalle positive caratteristiche antiinfiammatorie ma che è amarissima: l'absintina; mia nonna materna, che nulla sapeva di chimica ma che di decotti orrendi se ne intendeva, aveva ragione, il gusto è veramente orribile!
Ecco la formula di questa sostanza, sintetizzata in laboratorio solo nel 2004;

 

Absintina

 

per pura curiosità e a mio rischio e pericolo metto pure il nome ufficiale IUPAC:

(1R,2R,5S,8S,9S,12S,13R,14S,15S,16R,17S,20S,21S,24S)-12,17-dihydroxy-3,8,12,17,21,25-hexamethyl-6,23-dioxaheptacyclo[13.9.2.0 1,16.02,14.04,13.05,9.020,24]hexacosa-3,25-diene-7,22-dione


Bello e semplice, vero?

Oltre all'absintina, l'assenzio contiene il famoso tujone


Tujone


che, a torto o a ragione ha decretato innanzitutto la messa fuori legge del liquore per quasi un centinaio d'anni, e poi, passata la moda bohemienne, la sua rapida autoestinzione già dai primi anni del '900.

Questo chetone terpenoide è stato demonizzato come il responsabile del degrado umano di persone che sul finire del secolo XIX° erano preda sicuramente molto più dell'etanolo assunto in quantità da alcoolista impenitente che della misera quantità di tujone presente nella verde bottiglia della Pernod, se ci si fosse limitati ad un consumo "normale" senza arrivare ai limiti dell'assunzione cronica.

Come per ogni sostanza, prima di esprimere spicce considerazioni qualitative, approfondiamo l'argomento sulla tossicità della sostanza medesima dal punto di vista quantitativo (la DL50 e la quantità effettivamente ingerita sono i dati che contano!) e poi traiamone le personali conclusioni.

In ogni modo, forte della sua ormai inattaccabile fama "trasgressiva", il liquore all'assenzio ormai liberalizzato è tornato recentemente di moda in qualche locale un po' snob; anche vicino a casa mia c'è uno di quei pub, frequentati dagli amanti delle ore piccole, che sfoggia un cartello che furbescamente recita: "qui si serve l'assenzio originale...".
Quanto questo liquore sia simile a quello dell'originale  scapigliatura parigina è tutto da verificare.
Ma anche se non lavorasse il tujone, ben lavora la suggestione durante le cerebrali procedure di preparazione della "trasgressiva" bevanda...

Per finire gustiamoci questa famosissima opera di Edgar Degas.

Degas


Qualche anno fa, al Museo d'Orsay avevo fatto le stesse arzigololate associazioni di idee di oggi, ma in senso inverso: dal quadro di Degas passavo al tujone e da questo all'artemisia; oggi, dalla pianticella passo al tujone, e da questo agli stralunati personaggi del quadro di Degas... tutto passeggiando qua e là in collina.

 
 
 

Il DDT, sintesi di un simbolo

Post n°121 pubblicato il 05 Agosto 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Se tu non fossi proprio giovanissimo e qualcuno ti dicesse: pensa ad un insetticida antimosche, antizanzare, antitutto... pensa ad un classico insetticida da dare con il vecchio spruzzatore a pompetta... tu a cosa penseresti? Tempo di riflessione mezzo secondo: al DDT!
(A casa mia un tempo usare questo spruzzatore con il DDT si chiamava "dare il flit" ed era la gioia di noi bambini riempire la pompetta di acqua e dare il flit dovunque!).

Questa sostanza, ora proibita per le sue capacità di accumulo nei tessuti animali superiori, per la sua lunga persistenza e per la tossicità verso gli animali acquatici, ha svolto miracoli nella lotta alla malaria ed è una delle sostanze che veramente hanno cambiato il mondo, dal suo pratico impiego nel 1939 agli anni sessanta e oltre.
Ebbe anche il paradossale merito di aver fatto nascere il movimento ambientalista!
DDT è l'acronimo di Dicloro-Difenil-Tricloroetano [1,1,1-tricloro-2,2-bis(p-clorofenil)-etano] e fu scoperto dal chimico austriaco Othmar Zeidler nel 1874; ma l'impiego su vasta scala si ebbe solo a partire dal 1939 per opera di P.H.Muller, per controllare l'endemicità della malaria che mieteva milioni di vittime in tutto il mondo.

(Altra piccola digressione: Carlo Levi in "Cristo si è fermato a Eboli" descrive magistralmente questa terribile situazione di endemicità nella nostra Lucania degli anni '30).


Da tempo volevo provare la sua sintesi, la quale sempre inesorabilmente si arenava contro la necessità di utilizzare l'acido clorosolfonico HOClSO2 come reagente indispensabile, il quale, oltre che molto tosto da usare (ma questo è il problema minore...) è assai problematico da reperire.
Navigando in rete, dove se si è perseveranti nella ricerca si trova tutto, o quasi, ho scoperto che l'acido clorosolfonico NON è indispensabile.
Anche qui, per uno sporcaprovette impenitente come chi scrive, mezzo secondo di riflessione: caspita che colpaccio, proviamo questa storica condensazione!
Detto fatto, ecco la reazione di massima e la procedura.

 

DDT 1

 

Materiale occorrente:

- cloralio idrato CCl3-C(OH)2
- clorobenzene C6H5-Cl
- acido solforico
- isopropanolo
- vetreria opportuna

DDT 2In una beuta da 100 ml con tappo smerigliato, porre 4 g di idrato di cloralio [aldeide tricloroacetica idrata CCl3-CH(OH)2 ] in 4,2 ml di clorobenzene, riscaldando leggermente fino a soluzione completa. Porre su agitatore magnetico e aggiungere lentamente 66 g (36 ml) di acido solforico concentrato.

La miscela diventa subito leggermente lattiginosa; mescolare sempre per un'ora circa e poi lasciar riposare fino al giorno successivo, con tappo ermeticamente chiuso.
Il liquido assume colore giallastro.

DDT 3Mescolare ancora e lasciar riposare ulteriori 4 giorni o anche più, mescolando ogni tanto il liquido giallino torbido.
Si trova alla fine formato un solido sul fondo della beuta immerso in un liquido giallo carico. Aprire cautamente il tappo (attenzione ad eventuale sovrapressione!) e versare il contenuto in un becker da 600 ml pieno per un terzo di ghiaccio.
Mescolare, risciacquare bene la beuta e filtrare su buchner, trattenendo il solido nel becker e facendo passare prima tutto il liquido acido, biancastro anche oltre il filtro.

Risciacquare e lavare, cercando di spappolare bene il residuo solido con 30 ml di acqua, poi con 20 ml di soluzione al 5% di bicarbonato di sodio e poi con ulteriori 50 ml di acqua, usando sempre il filtro precedente e aspirando bene.

Ricristallizzare il prodotto da alcol isopropilico (80 ml isopropanolo + 20 ml acqua) e lasciar raffreddare lentamente. Filtrare e seccare all'aria. 

 

DDT

 

Resa 3,3 g (circa 46%) di DDT, compresa la discreta quantità dei suoi isomeri (il cloro è in -p, in -o e mix).
La resa non è eccelsa ma accettabilissima, visto il metodo semplice e che non richiede l'utilizzo della famigerata cloridrina solfonica.

Il DDT cristallizza (con questo sistema) in piccolissimi aghetti perfettamente bianchi, lanosi e leggerissimi, insolubili in acqua, di odore leggero ma persistente e caratteristico, non spiacevole.

La bella molecola di questa sostanza (per "qualcuno" le molecole sono tutte belle ... e quelle di autosintesi lo sono ancora di più!) la possiamo ora mettere nella bottiglietta in mezzo a quelle che a pieno diritto hanno fatto la storia, come dicevo all'inizio.

 
 
 

Sintesi dell'Acetato di mentile

Post n°120 pubblicato il 30 Luglio 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Non c'è niente da fare: ogni tanto il nostro "cuoco" si mette a fare una sana Fischer e poi ci propina l'estere con la scusa di farcene sentire l'olezzo... vabbè, andiamo allora a gustarci questo ennesimo sfizioso piattino: l'acetato di mentile!

 

Mentile acetato

 

Mi sono basato su una procedura eseguita da un bravo sperimentatore sporcaprovette anche lui e siccome questo estere aveva tre buone caratteristiche:

1)- è facile da fare
2)- mi mancava
3)- avevo giusto un po' di mentolo a disposizione

ne ho volentieri sacrificato qualche grammo per sentire la differenza olfattiva tra il mentolo ed il suo derivato acetico.

Materiale occorrente:

- mentolo
- acido acetico
- acido solforico
- bicarbonato di sodio
- cloruro di calcio
- vetreria opportuna

In un palloncino da 100 ml sciogliere 4 g di mentolo in 4,5 ml di acido acetico glaciale, aggiungendo sotto agitazione 0,5 ml di H2SO4 al 25%.
Contrariamente al solito si è usato l'acido diluito per evitare reazioni secondarie che porterebbero a minor resa ed a prodotti indesiderati.

 

Mentile acetato 1

 

Sistemare un refrigerante allhin e portare a lento riflusso per un paio di ore.
Alla fine, versare la miscela, di colore giallognolo, in un imbuto separatore ed eliminare subito la parte acida sottostante in eccesso; lavare poi più volte con qualche ml di soluzione satura di NaHCO3 fino a neutralizzazione completa e poi con acqua.
L'operazione è facilitata perchè l'estere ha densità 0,92 e quindi galleggia sulle acque di lavaggio ed è facilmente separabile.

Porre l'estere in una beutina da 25 ml ed essicare con qualche grammo di CaCl2 (o altro disidratante).
La resa non è stata eccezionale (62%) ma occorre considerare che lavorando su piccole quantità (qualche ml) è facile perdere per strada un po' di prodotto (lavaggi, travasi, essicazione, ecc.).
Per questo motivo è anche del tutto improponibile la purificazione del prodotto per distillazione, che oltretutto andrebbe eseguita a pressione ridotta a causa dell'alto punto di ebollizione (227°) dell'estere.
L'acetato di mentile si presenta come un olio limpido giallino chiaro.

Avendo a disposizione in giardino anche una bella pianticella di menta (che fondamentalmente contiene anche acetato di mentile), ho immediatamente confrontato l'odore della stessa con il mio prodotto, sfregando su una mano un paio di foglie, e mettendo sull'altra una goccia di estere: devo dire che gli odori si assomigliano molto.
Le foglie ovviamente hanno un aroma più "completo" e naturale (e ci mancherebbe, con tutto quello che contengono...) ma è molto buono anche il loro componente prodotto giocando con le molecole.

Al prossimo estere!

 
 
 

Alla Miniera di Schneeberg - Monteneve

Post n°119 pubblicato il 24 Luglio 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Eccoci finalmente alla Miniera di Monteneve, Val Ridanna, Sud Tirol.

Bella esperienza, molto didattica (nel senso più positivo del termine), assolutamente da non perdere per chi è appassionato anche di queste cose.
In rete si trova tutto ciò che si vuole su questa famosissima e storica miniera di blenda e galena argentifera (link), quindi dirò solo qualche impressione di visita, che comunque non renderà minimamente idea di ciò che si gode partecipando ai tour proposti e organizzati in maniera impeccabile dalla locale direzione dei Musei Provinciali Altoatesini.

 

Monteneve 1


La foto mostra la bellissima uno dei tanti scorci della miniera all'arrivo. 
la miniera si trova in tutt'altra zona, lontanissima da qui.
Una giornata intera, con guida ed immersione totale (è proprio il caso di dire!) nelle viscere della terra...
Tutto il programma è estremamente interessante, dalla visita del museo minerario, alla galleria didattica, agli impianti di arricchimento del minerale e all'ambiente di alta montagna (la miniera è/era fra le più alte d'Europa).

Le opere di trasporto del minerale dalla zona di scavo hanno semplicemente dell'incredibile e la mia descrizione non ne renderebbe minimamente giustizia, quindi non la tento nemmeno.
Bisogna vedere sul posto, studiandosi la mappa della zona per rendersene conto, e poi ragionare sull'ingegnosissimo sistema a contrappesi e piani inclinati, che erano i più lunghi del mondo.

Il momento clou della giornata per il visitatore è il trasporto alla base della zona di scavo, prima con un pullmino e poi con il trenino elettrico originale dei minatori, inoltrandosi nel cuore della montagna a circa 2000 metri.

L'estensione delle gallerie, che si svolge su una infinità labirintica di livelli, è semplicemente pazzesca (circa 150 Km!), dei quali ovviamente pochissimi sono messi in sicurezza e visitabili, ma più che sufficienti a rendere un'idea esatta delle condizioni di vita e lavoro dei minatori in un posto simile.
Tale lavoro si è protratto per circa 800 anni, con attrezzi che partono dai classici punta e mazzetta e terminano con le perforatrici pneumatiche, immersi, a seconda dl periodo, o nell'acqua, o nel fango o nella polvere.
Come in quasi tutte le miniere si dirà... ma qui c'è la localizzazione del sito a rendere la faccenda tutta un'altra cosa!
La situazione logistica e umana, nemmeno questa descrivibile senza cadere nel banale, è quella che rimane più impressa anche in un osservatore essenzialmente "tecnico" e la si porta a casa come principale ricordo.

Ecco quello che sono riuscito a "scavare" dopo una gragnuola di martellate in uno gneiss compatto e durissimo: uno sputo di blenda/galena polverizzato, souvenir che mi son portato via per eseguirvi i test per l'argento, per soddisfare la mia solita curiosità chimica.
Ho preso il minerale da una venetta nella roccia di una galleria, non nelle discariche (troppo facile...!).
Dalla galena argentifera di questa miniera veniva estratto, oltre al piombo, l'argento per la coniazione delle monete tirolesi, dal 1200 in poi. Solo da fine '800 al 1980 si è cominciato a sfruttare la blenda per l'estrazione dello zinco.

 

Monteneve 2


Metto anche una foto che sta bene in questo blog: uno scorcio del delizioso laboratorietto chimico (che gioia per gli occhi: nemmeno un apparecchio "con la spina", solo becker, bunsen, burette e tanti reattivi!) .

 

Monteneve 3

 

Alla fine della giornata, tra le varie considerazioni che si fanno in macchina al ritorno, a tutti noi è venuto spontaneo un interessante paragone sociologico, se così vogliamo chiamarlo.
Naturalmente il paragone è da fare in senso lato, con le dovute proporzioni e gli ovvii distinguo: la miniera, che ora altro non è se non un reperto archeologico industriale, è come l'abbiamo trovata, perfettamente salvata dall'incuria e da tutto il resto, con un'organizzazione di visita efficiente.
E alla fin fine non si tratta che di una vecchia miniera.

Il fatto è che il nostro gruppo aveva visitato (in diverse occasioni) anche Pompei...
Non riporto i commenti.

 
 
 

Strane fluorescenze...

Post n°118 pubblicato il 21 Luglio 2011 da paoloalbert

Ecco un piccolo post interlocutorio... uno stacchetto insomma.

Oggi sul bancone del mio lab batteva uno splendido raggio di sole, il cielo era terso e fuori soffiava un venticello che rendeva la vivibilità perfetta.

Mi son detto che nel blog ogni tanto ci vuole un tocco chimico-artistico, magari una bella elio-fluorescenza, vista l'occasione...

 

Fluorescenze 1

 

Quello che si vede è una provetta bagnata con una soluzione molto diluita (circa 1%) di acido antranilico in glicerina e colpita dal famoso raggio di sole che fa venir subito sera.


Fluorescenze 2


Il colore si apprezza di più sul velo sottile di liquido che bagna le pareti della provetta ed è di un bellissimo colore ametista. Purtroppo le foto non rendono appieno la realtà dell'effetto.

Enjoy

 
 
 

Un piccolo omaggio ad Alexander Bain

Post n°117 pubblicato il 15 Luglio 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Chimica ed Elettricità, recita il tema del Carnevale della Chimica, ospitato per questa settima edizione sul blog Storie di Scienza di Giovanni Boaga.

Quale migliore occasione per rendere un piccolo omaggio sperimentale ad un prolifico inventore scozzese poco conosciuto?
Alexander nacque nel 1811 nello sperduto paesello di Thurso, all'estremo nord delle brughiere scozzesi, e fu uno dei tredici figli della famiglia Bain.
Interessatosi fin da giovane alle scienze, divenne valente costruttore di orologi lavorando prima ad Edimburgo  e poi a Londra.
Suoi sono numerosi brevetti, il primo dei quali ottenuto nel 1841 riguardo un ingegnoso orologio a pendolo elettrico la cui energia di movimento non era data da molle o pesi ma da due elettrocalamite alimentate da una "earth battery" ...una coppia di piastre di rame e zinco poste sotto terra!
L'orologio si è fermato? Basta una secchiata d'acqua! (Ma forse in Scozia la siccità non era un problema...).

Nel 1846 brevettò un sistema a nastro perforato, simile a quello dei primi computer, che permetteva una trasmissione molto più veloce dei caratteri Morse, e addirittura l'anno successivo un sistema per controllare strumenti musicali ad aria controllandone il flusso usando ancora bande perforate.
Probabilmente quei deliziosi organetti che si vedono oggi solo nei musei sono derivati dall'opera del suo ingegno.

Sempre del 1846 è la sua invenzione principale (che successivamente lo porterà alla costruzione della prima macchina fax-simile) ovvero il telegrafo chimico, che è oggetto della odierna e molto più modesta sperimentazione da parte dell'autore di questo blog.

Il telegrafo chimico di Bain aveva lo scopo di migliorare le prestazioni dei ricevitori Morse, soggetti a problemi elettromeccanici che non ne consentivano una velocità oltre un certo limite; eliminando elettrocalamite ed ancorette magnetiche, il nostro inventore riuscì a costruire una macchina con la quale si trasmisero 282 parole in 22 secondi, un vero record per l'informazione del tempo!

L'idea era la seguente: un nastro di carta impregnato di una soluzione di ferrocianuro di potassio e nitrato ammonico era fatto scorrere tra due rulli, mentre una rotellina in funzione di "pennino" era tenuta sempre in contatto con la carta; i rulli erano collegati al polo negativo del circuito telegrafico trasmittente e costituivano il catodo, il pennino era collegato al polo positivo (anodo).
Al passaggio della corrente avveniva una reazione elettrochimica e in corrispondenza dell'anodo si aveva istantanea formazione di blù di Prussia (ferrocianuro ferrico) che lasciava una traccia blù ben visibile sul nastro di carta, naturalmente solo nei momenti in cui l'elettrodo era percorso da corrente; gli unici organi in movimento erano quindi solo quelli necessari al trascinamento del nastro.

 

Bain 1Ho provato a replicare l'esperimento del nostro amico scozzese in maniera semplice ed estemporanea, tenendo ferma la carta e muovendo a mano il pennino: basta il principio, per il resto ci fidiamo... giusto Alexander?

 



Bain 2Le foto mostrano la base di scrittura, costituita da un foglio di acciaio inox con la carta imbevuta del "liquido di Bain" (0,5 g di K4[Fe(CN)6] + 0,5 g di NH4NO3 in 10 ml di acqua) e l'esito della prova dopo aver collegato la base al negativo dell'alimentatore ed il "pennino" (un piccolo cacciavite) a +8 V.

 

Bain 3

 

Il messaggio, per i pochissimi che non conoscessero il Morse, dice:

"7 Carnevale della Chimica luglio 2011 Alexander Bain Paoloalberto"


Purtroppo rischio di essere finito anch'io fra quei pochissimi perchè, essendo fuori allenamento da qualche anno e avendo fretta di scrivere, ho commesso tre stupidi errori di battitura... pardon, di "cacciavitatura"! (mancano due lettere e al posto di una "p" c'è una "z"!

Li vedete gli errori? Non avevo voglia di ripreparare un altro foglio e rifare tutto...

Come si vede i caratteri sono ben visibili; la nitidezza lascia invece un po' a desiderare, ma la colpa è dei rudimentalissimi attrezzi di scrittura dei quali mi sono servito, visto che non avevo a disposizione una bella macchinetta ottocentesca in ottone.
Ho provato a scrivere anche in corsivo e con un po' di esercizio ci si riesce perfino in bella calligrafia!

Il telegrafo chimico di Bain evidentemente aveva più difetti (facilmente immaginabili) che pregi, tant'è che presto fu relegato nel dimenticatoio e si continuarono ad usare apparecchi Morse elettromeccanici fin quasi alla metà del secolo scorso.
Lo stesso Bain, poco smaliziato negli affari come quasi tutti gli inventori, finì povero e paralitico e morì all'Ospedale degli Incurabili a Kirkintilloch, Scozia, nel 1877.

Il suo telegrafo chimico rimane tuttavia una interessante curiosità scientifica e storica, che mi è piaciuto far rivivere per un attimo.

 
 
 

Giocando con le pile: sintesi del Manganito manganoso

Post n°116 pubblicato il 11 Luglio 2011 da paoloalbert

Sfogliando il glorioso e prezioso Treadwell (ai suoi tempi aveva ancora le pagine rilegate in modo da doverle separare col tagliacarte!!!) mi è venuta l'idea di giocare un po' con una vecchia pila zinco-carbone che avevo e di preparare questo "ossido", che rappresenta una buona occasione per studiare un po' la chimica del manganese, non sempre conosciuta come si deve (almeno da me...).

Devo essere sintetico, altrimenti anche stavolta il post verrebbe troppo lungo.

1- Smontare completamente una pila zinco-carbone formato torcia (quelle più grosse, dalla quale si può anche recuperare l'utile elettrodo di carbone) separando i tre componenti, zinco, carbone, miscela elettrolitica.

 

Pila 12- La miscela elettrolitica è costituita da biossido di manganese MnO2, carbone e cloruro di ammonio NH4Cl. A noi interessa il manganese, che va pertanto separato. L'unico modo per farlo è solubilizzare il biossido (separandolo dal carbone) e precipitarlo come insolubile (separandolo dal resto).

3- Porre in un becker da 600 ml la massa nera e, ALL'APERTO, aggiungere 100 ml di HCl conc., mescolando bene ogni tanto. Si ha svolgimento di cloro, secondo la reazione:

MnO2 + 4 HCl --> MnCl2 + Cl2 + 2 H2O

Alla fine riscaldare un pochino per essere sicuri che tutto il manganese sia stato solubilizzato.

4- Diluire la brodaglia nera con 500 ml di aqua mescolando bene e lasciar decantare pazientemente. Il carbone si separa (un po' galleggia, il resto va in basso).

Pila 2

Quando la soluzione ha riposato quanto basta, pipettare con attenzione il liquido, che deve risultare perfettamente limpido, senza traccia di carbone.

5- Ora precipitiamo il manganese come idrossido con NaOH, prima neutralizzando l'HCl in eccesso e poi fino a reazione neutra.

MnCl2 + 2 NaOH --> Mn(OH)2 + 2 NaCl

e qui comincia il bello, perchè l'idrossido di manganese puro (bianco) è estremamente difficile da ottenere in quanto esso assorbe ossigeno dovunque si trovi trasformandosi parzialmente in manganito manganoso (marrone scuro) secondo le reazioni:

2 Mn(OH)2 + O2 --> 2 H2MnO3 
e l'acido manganoso reagisce sbito con l'idrossido formando il suo sale:

H2MnO2 + Mn(OH)2 --> Mn[MnO3] + 2 H2O



Pila 36- Si nota infatti che il precipitato di Mn(OH)2 si colora quasi immediatamente in marroncino.

L'ossidazione è solo parziale ed aspettare che coinvolga tutta la massa sarebbe troppo lungo, allora...

7- L'ossidazione è totale ed istantanea con vari ossidanti, fra i quali gli ipocloriti, secondo la reazione:

Mn(OH)2 + ClO- --> H2MnO3 + Cl-

quindi aggiungere mescolando 200 ml di NaClO al 5%, notando che istantaneamente tutta la massa si colora quasi di nero.

 

Pila 48- Lasciar sedimentare anche stavolta (anzi più e più volte!) lavando ogni volta con 500 ml di acqua. Questa è la parte molto lunga e noiosa della procedura.
Alla fine filtrare (con molta difficoltà ed in fasi ripetute!) su buchner il precipitato scuro e lasciar asciugare. La resa è stata di 16 g, che naturalmente non avrà purezza analitica (contiene un po' di ferro), ma non era questo lo scopo del lavoro.

9- Il manganito manganoso Mn2O3 (NON è l'ossido del manganese trivalente! 

E' Mn[MnO3] si presenta come una polvere marrone.

 

Manganito manganoso


[Da questo composto si potrebbero poi ottenere i sali del manganese bivalente esenti da ferro con una opportuna procedura che mi ha impegnato per una montagna di tempo ma che esula da queste note].

10- I sali del manganese trivalente sono pochissimi (alcuni complessi) e poco stabili e si possono formare dal manganito manganoso; l'unico sale Mn+++ facile e almeno visibile per un po' è il fosfato MnPO4, di colore viola intenso.
Sciogliere in una capsulina una puntina di spatola di manganito manganoso con qualche ml di acido fosforico concentrato:

Mn[MnO3] + 2 H3PO4 --> 2 MnPO4 + 3 H2O

Si ha parziale soluzione e colorazione viola.

Pila 5

Pila 6

 

 

 

 

 

 

 

Notare che dopo pochi minuti il colore viola tende a virare a grigio e si ha precipitazione di fosfato di manganese "normale" Mn++ stabile.

Chi volesse "giocare" chimicamente con le pile, sbudellandole, ora ha un po' di materiale in più..
.

 
 
 

Classificazione chimica dei coloranti

Post n°115 pubblicato il 30 Giugno 2011 da paoloalbert

Oggi ho deciso di ripassare (queste note le scrivo essenzialmente per me...) la classificazione dei coloranti organici secondo la costituzione chimica, cioè in funzione dei gruppi cromofori presenti nella sua molecola o in funzione della struttura.

Un elenco potrebbe essere questo:

-COLORANTI AZOICI: sono i più importanti e sono caratterizzati da avere nella molecola uno o più gruppi -azo -N=N- . Vengono preparati per "diazocopulazione" di una ammina aromatica primaria (capostipite è la famosa anilina); inizialmente l'ammina viene diazotata con acido nitroso e poi il sale di diazonio prodotto viene unito con un altro composto aromatico contenente gruppi attivati. Gli esempi sono innumerevoli e le sottoclassi degli azoici anche, ma riferendoci per semplicità sempre alla nostra crisoina, l'ammina è rappresentata dall'acido solfanilico ed il composto aromatico copulato è la resorcina, con due ossidrili in posizione meta.

 

Resorcina

 

-COLORANTI ETILENICI: contengono il cromoforo etilenico -CH=CH- più volte ripetuto. Importanti in questo gruppo sono i carotenoidi del mondo vegetale: ecco le formule del β-carotene (in alto, giallo) delle carote e del licopene (in basso, rosso) dei pomodori, con la loro bellissima e chilometrica serie di doppi legami coniugati.

 

Carotene licopene   

 

-COLORANTI NITROSO E NITRO: si ottengono nitrosando o nitrando fenoli o naftoli e quindi contengono i gruppi -NO ed -NO2, associati al gruppo ossidrile. Formano facilmente dei complessi di coordinazione con alcuni metalli, generando lacche insolubili che si fissano al substrato. Un esempio è l'α-nitroso-β-naftolo che si colora in rosso legandosi col cobalto, con una sensibile reazione sfruttata in chimica analitica.
Il più antico nitrocolorante è invece il famoso acido picrico (trinitrofenolo) conosciuto fin dalla fine del '700 per le sue potenti proprietà di colorare in giallo (non solo quelle...).

 

Picrico

 

-COLORANTI DEL FIFENILMETANO: hanno il cromoforo chetoimminico C6H5-C(=NH)-C6H5, dove negli anelli aromatici appaiono anche gruppi attivanti in posizione para. Un esempio nei colori classici è il giallo auramina.

 

Auramina

 

- COLORANTI DEL TRIFENILMETANO: si basano sui gruppi del fucsone (a sinistra) o della fucsoimmina (a destra), dove ai legami liberi del carbonio in alto vengono attaccati altri due anelli aromatici sostituiti in para con gruppi attivanti amminici (più o meno sostituiti) od ossidrili. Esempi noti sono il cristalvioletto ed il verde malachite, metilati nei due gruppi amminici.

 

Cristalvioletto     Verde malachite

 

-COLORANTI INDIGOIDI: sono caratterizzati dal cromoforo in figura, dove X è un gruppo aromatico più o meno complesso. Naturalmente il colorante più importante di questa classe è l'indaco (naturale o artificiale). Il suo dibromoderivato (due atomi di bromo negli anelli benzenici) costituisce la famosa porpora di Tiro degli antichi.

 

Indaco   

 

-COLORANTI XANTENICI: è una classe numerosa in cui è presente la molecola base xantene, poi variamente sostituita e resa più complessa. 
Fluoresceina, eosina, rodamina, ecc, non hanno bisogno di presentazione. Ecco la rodamina B.

 

Rodamina

 

-COLORANTI OSSAZINICI E TIOAZINICI: contengono l'anello eterociclico azinico con un atomo di azoto sostituito da uno di ossigeno o di zolfo. Il più rappresentativo è forse il blù di metilene, figura, usato anche in istologia per le proprietà di colorare selettivamente tessuti cellulari.

 

Blù metilene

 

-COLORANTI FLAVONICI: dulcis in fundo, sostituendo variamente nel 2-fenilcromene (flavone),

 

Flavone

 

alcuni atomi di idrogeno negli anelli benzenici con gruppi alchilici o ossidrilici, si formano molti di quei colori che la natura fornisce ai fiori e ai frutti, ovvero le antocianine.
Ecco la formula generale:

 

Antocianina

 

Al posto di un -R mettiamoci qualche -CH3 o qualche -OH e godiamoci il bellissimo colore risultante, come quello della cianidina, che dà il colore alle rose e ai fiordalsi e modifica il colore a seconda del pH della linfa... Magia della natura, magia della chimica!

 

Cianidina   e cambiando qualche ossidrile...

 

Rosa    Fiordaliso

L'elenco di cui sopra è sicuramente incompleto, e serve solo come prima veloce individuazione di un colorante organico in una classe definita. Se mi verrà in mente qualcos'altro scartabellando in giro o per qualche buon gradito suggerimento, lo aggiungerò.

 
 
 

Corrosione elettrochimica

Post n°114 pubblicato il 26 Giugno 2011 da paoloalbert

Certi esperimenti costano tempo, denaro e fatica... certi altri non costano proprio nulla...
L'esperimento di oggi fa parte a pieno titolo di questa seconda categoria.
Ho voluto verificare, a tempo perso ed in forma eclatante, il fenomeno della corrosione elettrochimica.
Quando due metalli diversi vengono posti a contatto in presenza di un elettrolita (cioè una soluzione acquosa) si genera un flusso di elettroni (in pratica si forma una pila) che vanno dal metallo meno nobile verso quello più nobile .
Perdere elettroni vuol dire "ossidarsi", acquistare elettroni vuol dire "ridursi".

Ogni metallo possiede una sua ben definita "nobiltà", più o meno come gli umani di qualche decennio fa: ci sono addirittura metalli "di sangue reale o imperiale" (Loro Maestà l'oro, il platino, l'iridio...), poi metalli con parecchio sangue blù, come il mercurio, l'argento, il rame..., poi viene la borghesia ed infine il popolo: il piombo, lo stagno, il ferro, lo zinco...
Scivolando sempre più verso il basso, troveremo alla fine la vera plebe: il magnesio, il sodio, il litio... questi ultimi dei veri paria nella serie elettrochimica.
Sia ben chiaro che questo elenco "dei ricchi e dei poveri" si riferisce solo ed esclusivamente alla facilità o meno con cui questi metalli possono cedere elettroni, e a null'altro!
I più nobili sono anche i più tirchi: cercano di tenerseli tutti ben stretti i loro elettroni.
Come tanti matrimoni, se le differenze di condizione sociale sono troppo elevate, è molto probabile che prima o poi il matrimonio si sfasci (per gli umani succede anche per molto meno!).

Allora, mettendo in contatto due metalli molto "diversi", uno vorrà perdere elettroni e l'altro vorrà prenderseli, a spese del primo; perchè l'intermediazione vada a buon fine serve però un terzo incomodo, come dicevo all'inizio, cioè l'elettrolita; ma per questo non c'è problema: basta una leggera traccia di umidità e la soluzione per gli ioni è bell'e pronta.

L'esperimento

Basta ciance, procediamo.
I due metalli che ho costretto a convivere forzatamente (matrimonio di convenienza, non di amore) sono il rame ed il ferro.
Il primo è elettropositivo (è un seminobile nella serie elettrochimica, +0,34 V)), il secondo è un vile plebeo elettronegativo che sperpera volentieri i propri elettroni (-0,45 V).
Ho preso uno spezzone di tubo di ferro verniciato, l'ho abraso per bene con la lima nel punto di unione col rame ed in qualche altro punto, in modo che fosse perfettamente pulito e lucente.
Ho fatto la stessa operazione con una bandella di rame, ed ho poi fissato quest'ultima al tubo tramite un foro passante ed un rivetto stretto con l'apposita pinza.
In questo modo il contatto elettrico tra i due metalli è sicuramente perfetto.
Ho poi simulato una condizione reale interrando per metà l'oggetto sotto una pianta di rose rampicanti, la cui terra era tenuta qualche volta umida dalla pioggia o dalle occasionali annaffiature.

 

Corrosione



Ecco fatta una bella pila: c'è il polo positivo (il rame), il polo negativo (il ferro), l'elettrolita (l'acqua e le soluzioni saline della terra).

Ho misurato la tensione a vuoto tra gli elettrodi in condizioni reali prima di porli in contatto: 0,30 volt con terreno umido.

Ho lasciato semisepolto questo accrocco nella terra per nove mesi, ed ecco i risultati come si vedono in foto.

Il rame naturalmente è intatto (a parte una ovvia ossidazione superficialissima) mentre il ferro si è corroso pesantemente, ricoprendosi nei punti non protetti dalla vernice di ruggine profonda (ossido idrato di ferro).

Se non fosse stato a contatto del rame si sarebbe ossidato lo stesso, ma in maniera molto più leggera.

Morale della favola?

Non c'era proprio niente da scoprire, se non mettere il naso che tra due metalli in contatto quello più elettropositivo si salva, a scapito di quello più elettronegativo, che si ossida anche per l'altro.
E' quello che si fa di solito in pratica per certe opere metalliche interrate, come per esempio le bombole per il GPL ampiamente usate in zone rurali: le si collega ad un anodo in magnesio interrato, il quale, essendo molto elettronegativo (-2,37 V), si corroderà sacrificando lentamente se stesso e salvando la struttura molto più costosa.
Non per niente quello di magnesio si chiama "anodo sacrificale"...

Talvolta in grandi opere si giunge perfino a controbilanciare le correnti di origine elettrochimica con degli appositi alimentatori, collegando al polo negativo la grande struttura da proteggere ed al positivo un anodo di ferro sacrificale piantato profondamente nel terreno.

 
 
 

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