Creato da paoloalbert il 20/12/2009

CHIMICA sperimentale

Esperienze in home-lab: considerazioni di chimica sperimentale e altro

 

Messaggi di Dicembre 2010

Fiat lux! E luce fu! (poca...)

Post n°69 pubblicato il 30 Dicembre 2010 da paoloalbert

La chemioluminescenza è una caratteristica di pochissime sostanze che in determinate condizioni emettono radiazione nel visibile per un certo tempo.
E' un fenomeno complesso il cui meccanismo esula completamente dalle intenzioni del blog, e pertanto rimando senz'altro gli interessati a letture più teoriche e impegnative di queste modeste note.

Volendo proprio riassumere al massimo, se si considera una reazione tra i reagenti A e B a dare il prodotto C: A + B → C* → C + hυ , succede che per certe sostanze la reazione porta al prodotto C* in uno stato eccitato ed il decadimento degli elettroni su orbite più tranquille (stato fondamentale) non porta alla formazione di calore ma di un fotone (hυ), e di conseguenza di luce.


Lophine 1A- Sciogliere 1 g di lophine in 20 ml di etanolo tiepido
B- sciogliere 1 g di NaOH in 20 ml di acqua ossigenata al 3% e aggiungere 20 ml di etanolo
C- diluire 2 ml di Na ipoclorito al 5% in 10 ml di acqua

 

 

Al buio totale, dopo aver abituato gli occhi, mescolare 10 ml della soluzione A e 10 ml della soluzione B e porre la miscela in un cilindro; aggiungere in un colpo mescolando i 10 ml della la soluzione C: risulterà una debole ma visibilissima luminescenza giallastra, che perdurerà per qualche minuto!

L'intensità di luce non è paragonabile a quella del luminol e tantomeno a quella del TCPO (bis-2,4,6-triclofenilossalato, o altri), ma il fascino di queste strane e rare sostanze chemioluminescenti è il medesimo per tutte, e "l'effetto lampadina" non è il più importante!

Le foto della luminescenza sono prese ad alta sensibilità e lunga esposizione (10 e 20 secondi); ho provato anche la ripresa di un video, ma purtroppo la luminosità si è rivelata insufficiente per un filmato accettabile.

Lophine 3

Lophine 2

 

Ecco finalmente il cigno promesso... un cigno da chimici naturalmente

Enjoy with lophine!

 
 
 

Sintesi della Lophine

Post n°68 pubblicato il 30 Dicembre 2010 da paoloalbert

Come anticipato a Natale e con mia personale soddisfazione devo tirare in ballo ancora una volta il simpatico Aleksandr P. Borodin, il quale cita nella sua prima relazione scientifica (1859) le ricerche effettuate sull'idrobenzamide e sui suoi derivati amarina2,4,5-trifenilimidazolo.

Quest'ultima sostanza è chiamata "lophine" ed è stata la prima sostanza chemioluminescente storicamente studiata da Radziszewski nel 1877.
Sulla chemioluminescenza dirò solo due parole la prossima volta.

L'idrobenzamide per riscaldamento a 130° ciclizza per riarrangiamento prima in un composto detto "amarine" e successivamente, spingendo la temperatura a 300° si deidrogenizza a trifenilimidazolo, cioè a "lophine".
Per questa sostanza la generazione di luce avviene per ossidazione sugli atomi di carbonio 4 e 5, aprendo il doppio legame tra i due fenili laterali e inserendo un ossigeno con gli elettroni attivati.
La sintesi migliore della lophine non è quella proposta, ma ha come reagente di partenza il benzile 1,2-diphenyl-1,2-ethanedione (C6H5-CO-CO-C6H5), il quale però è molto meno comune della benzaldeide e pertanto riporto la sintesi che ho seguito, interessante soprattutto dal punto di vista puramente storico.

Procedura

La fase seguente va eseguita in modo opportuno poichè vengono emessi vapori tossici ed irritanti.
Porre 5 g di idrobenzamide in una capsula e scaldare cautamente, mescolando col bulbo di un termometro da 350°; la sostanza prima schiumeggia, fonde ed emette abbondanti vapori, formando un liquido più viscoso, giallo.
Continuando il riscaldamento, con le opportune cautele, il prodotto diventa più viscoso e scuro; al punto in cui si fa più insistente l'emissione di fumo acre, tenere così per qualche secondo, cercando di non arrivare al punto di eccessiva decomposizione e poi lasciar raffreddare.
Staccare la crosta resinosa, simile alla colofonia, molto elettrizzabile e polverizzarla in un mortaio, oppure scioglierla con etanolo bollente e conservare la soluzione (a freddo separa parzialmente la lophine perchè poco solubile).
Resa circa 3 g di "crude lophine", ovvero molto grezza, non purificata, non certo quantificabile (con i miei mezzi) la % di trasformazione, che ritengo però non elevata.
Si presenta come una polvere gialla amorfa.

 

Lophine

 

La prossima volta vedremo come visualizzare la chemioluminescenza della lophine... ancora un po' di pazienza!

 
 
 

Sintesi dell'Idrobenzamide

Post n°67 pubblicato il 28 Dicembre 2010 da paoloalbert

Questo composto (scoperto nel 1836 da A.Laurent, che gli ha dato il nome), è apparentemente una anonima sostanza come migliaia di altre più o meno simili; vedremo invece che l'idrobenzamide possiede una potente chance in più: servì (e servirà a sua volta nella seconda parte di questo lavoro) alla preparazione di un'altra sostanza, decisamente interessante...
Ma andiamo con ordine.

Ho trovato sul Cumming del 1937 (le fondamenta ciclopiche della chimica sperimentale sono ancorate ai "vecchi" e sacri testi... chi non ricorda il Gattermann di Primo Levi?) una bella sintesina facile facile che ho sperimentato con successo: è una reazione di condensazione e si basa sulla reazione tra l'ammoniaca e la benzaldeide per generare una sostanza che si chiama 1-phenyl-N,N'-bis(phenylmethylidene)methanediamine, e che tutti chiamano molto più amichevolmente hydrobenzamide, oppure, se proprio siamo allergici alla lingua d'oltre Manica, idrobenzamide.

Il materiale occorrente è semplice e la sintesi anche, ma già dalla bella formula del prodotto si potrebbe immaginare che esso racchiuda una sorpresina finale; diamo il via dunque alla metamorfosi del brutto anatroccolo, il quale da subito lascia intravvedere con un po' di immaginazione un futuro cigno...

 

Idrobenzamide

 

- benzaldeide C6H5-CHO
- idrossido di ammonio NH4OH
- etanolo
- vetreria opportuna

- In una beuta da 100 ml porre semplicemente 10 ml di benzaldeide e 50 ml di ammoniaca concentrata; si forma immediatamente una emulsione bianca; mescolare agitando vigorosamente e ripetere l'operazione ogni tanto per le successive due tre d'ore.
Chiudere la beuta col suo tappo (meglio se di vetro normalizzato, il tappo in gomma o silicone rimarrà altrimenti un po' intaccato e sarà difficile pulirlo) e porla a riposo a temperatura ambiente per due tre giorni.
Nel mio caso la temperatura del lab era decisamente invernale, quindi ho giocato sul tempo ed ho lasciato i reagenti tranquilli di fare i loro giochetti per più di una settimana, dando una mescolatina ogni paio di giorni.
Alla fine si sarà formato un precipitato bianco di idrobenzamide; filtrare, seccare e ricristallizzare da etanolo/acqua 90/10 a caldo; per raffreddamento e lasciando in riposo almeno una notte cristallizza il prodotto. Resa 4 g (85 %).

L'idrobenzamide si presenta come una polvere bianca (velenosa, classe di rischio T) con odore di benzaldeide (probabile residuo), insolubile in acqua, p.f. teorico 110°, nel mio caso più basso.

 

Idrobenzamide 1

 

Per adesso mettiamo da parte l'anatroccolo; la prossima volta tenteremo di trasformarlo in cigno! Non si vede dalla formula che ha già due bellissime ali?

 
 
 

Buon Natale!

Post n°66 pubblicato il 22 Dicembre 2010 da paoloalbert

Piccola pausa natalizia dedicata a tutti i visitatori, prendendo spunto dal mio stimato chimico compositore Александр Порфирьевич Бородин (Alieksandr Parfirièvic Baradìn), che presto avrò l'onore di citare ancora una volta riguardo una sintesi che lo toccherà da vicino.

Lasciamo un attimo la chimica e godiamoci un frammento di queste intimistiche, nostalgiche, deliziose note delle sue Danze Polovesiane, dal Principe Igor... augurando a tutti ...

 

 

  ...Buon Natale!

 
 
 

Sintesi del Formiato di benzile

Post n°65 pubblicato il 19 Dicembre 2010 da paoloalbert

Prima della pausa natalizia voglio completare la trilogia degli esteri benzilici degli acidi grassi inferiori, proponendo la terza e ultima sintesi di un altro estere odoroso importante, quella del formiato.
Il metodo è sempre Fischer e ricalca quella dell'acetato (al quale rimando per confronto); non avendo a disposizione acido formico anidro ma solo all'85%, ho usato un grande eccesso di quest'ultimo (circa 1:4) per essere quasi sicuro di salificare tutto l'alcool e non trovarmelo poi come residuo.
Occorre anche questa volta armarsi di pazienza per i lunghi tempi di ebollizione a ricadere ed i successivi lavaggi.

 

Benzilformiato

Materiale occorrente:

- alcool benzilico C6H5-CH2-OH
- acido formico 85% H-COOH
- acido solforico H2SO4
- sodio bicarbonato NaHCO3
- refrigerante allhin
- vetreria varia

- In un pallone da 250 ml introdurre 28 ml di alcool benzilico e 46 ml di acido formico all'85%; mescolando aggiungere 2 ml di H2SO4 conc. e predisporre il sistema per riscaldamento a ricadere con mantello riscaldante o con bagno ad olio o sabbia. Ho usato questo sistema, immergendo nella sabbia il termometro.
Portare ad ebollizione e tenere a lento riflusso per circa sei-sette ore, con la temperatura che si assesta mediamente sui 190-200°.
Alla fine del tempo versare la miscela in 200 ml di acqua e mescolare, si forma un'emulsione bianca difficilmente separabile, quindi lasciar riposare una notte.
Dopo la separazione, decantare cautamente il liquido sovrastante (va via la maggior parte dell'abbondante acidità residua), aggiungere 100 ml di una soluzione satura di NaHCO3 e mescolare fino a sicura e completa neutralizzazione. Eventualmente insistere in questo particolare. Lasciar ancora separare (questa volta è molto più veloce) e lavare bene un altro paio di volte con acqua, sempre con le pause opportune per la separazione delle fasi a piccola differenza di densità.
Come detto, la procedura di lavaggio è lunga ma evita di dover estrarre con solvente (CCl4 o etere) e poi separare a sua volta l'estere dal solvente.
Alla fine separare dall'ultima acqua con imbuto separatore e seccare con 5 g di CaCl2. Si deve ottenere un liquido perfettamente limpido (se contiene umidità è sempre lattiginoso).

Distillare il prodotto (circa 30 ml) raccogliendo tra 200 e 208°,ottenendo 17 ml di benzile formiato (64%).
Il residuo della distillazione, più altobollente e leggermente giallino, ha quasi identico profumo.

D. 1,05 - P.e. 203°- Liquido limpido incoloro, oleoso (un po' contro la logica?), con odore fruttato, diciamo una via di mezzo tra il gelsomino e le mandorle, ma più debole e aspro, meno gradevole e diverso dal benzilacetato o propionato.
Il benzilformiato si trova in natura in piccola quantità solo nel mirtillo rosso.

Mirtillo rosso

 

Sarebbe interessante conoscerne l'effettiva purezza, per verificare la presenza di eventuali prodotti di ossidazione e/o reazioni secondarie... ma ci vorrebbe "un apparecchio con la spina!".

 

 
 
 

Intermezzo

Post n°64 pubblicato il 12 Dicembre 2010 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Devo decidermi a mettere ogni tanto qualche intermezzo... in mezzo a queste badilate di chimica, altrimenti si rischia l'indigestione!

Spesso quando scrivo qualcosa per questo blog mi ascolto in relax qualche musica preferita; per esempio oggi mi sono ascoltato  fra l'altro quel capolavoro di Bach che si trova qui sotto, e che in vicinanza del Natale ci sta a pennello.

Devo dire che i miei gusti musicali sono strani e assai "anomali"; l'unica musica che escludo tassativamente dalle mie orecchie è quella che per semplicità chiamerò "normale" , ovvero l'anglo/americana, cantata in inglese.
Quindi in definitiva mi precludo con mio gran piacere il 98% della musica correntemente ascoltata, radio e teletrasmessa.
(Le debite eccezioni naturalmente ci sono, ma sono, appunto, rare eccezioni).

Ma guarda che razza di gusti, dirà giustamente chi leggerà queste considerazioni!
Infatti chi mai si sognerebbe di mescolare Mozart a musica montenegrina o mongola? Willibald Gluck a un canto dell'Anarchia? Lady Gaga che canta l'inno americano? (memorabile!) - Ma magari qualcuno c'è...

E adesso ascoltiamoci in pace questo ennesimo gioiello del nostro amico Johann Sebastian, il Weihnachts Oratorium del 1734.


 
 
 

Giocando con la candeggina

Post n°63 pubblicato il 09 Dicembre 2010 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Oggi faremo un uso della chimica sperimentale molto utilitaristico e pratico; saranno più contenti coloro che di solito non capiscono in queste mie strane riflessioni che gusto ci sia nell'attaccare pezzi di molecola ad un'altra per crearne una terza senza alcun fine pratico, ma solo per farlo così, per pura soddisfazione intellettuale. Oggi, come dicevo, niente di tutto questo! 

Poichè il mio lab confina in qualche modo anche con la lavanderia di casa, vedendo sullo scaffale una bottiglia di candeggina mi è venuto lo sfizio di verificare in quale percentuale vi fosse contenuto il principio attivo, ovvero l'ipoclorito di sodio NaClO.

L'analisi della candeggina (almeno "questa" analisi...) si basa su due reazioni redox; in una reazione redox c'è una sostanza che si ossida e una che si riduce (non sto a dire cosa significa altrimenti non ce la caviamo più...).
Ecco la prima reazione:

ClO- + 2 H+ + 2 I- --> Cl- + I2 + H2O

Traducendo: l'ipoclorito ossida uno ioduro a iodio e lui si riduce a cloruro.

Ecco la seconda:

2 S2O3-- + I2 --> 2 I- + S4O6--

Traducendo: il tiosolfato riduce lo iodio a ioduro e lui si ossida a tetrationato.

Poste queste premesse, ho preparato:

- una soluzione 0,1 M di tiosolfato di sodio (p.m. 248,10), sciogliendo 2,48 g di Na2S2O3.5H2O  in 100 ml di acqua (questa soluzione va fatta esattamente)

- una soluzione circa al 5% di acido acetico, diluendo 2,5 ml di CH3COOH in 50 ml di acqua

- una soluzione circa al 5% di ioduro di potassio KI, sciogliendone 0,5 g in 10 ml di acqua

- una soluzione di amido in acqua, disperdendone 0,1 g in 5 ml di acqua

Procedura:

- misurare esattamente 10 ml di candeggina e portarli a 100 ml; prendere esattamente 10 ml di questa soluzione e diluirli in un becker con circa 50 ml di acqua

- acidificare aggiungendo 10 ml della soluzione di acido acetico

- aggiungere circa 5 ml della soluzione di KI; la soluzione assumerà istantaneamente una colorazione marrone, indice che lo ioduro (in eccesso) ha consumato tutto l'ipoclorito ed ha sviluppato la corrispondente esatta quantità di iodio

- con una buretta calibrata aggiungere goccia a goccia la soluzione di tiosolfato finchè la colorazione avrà assunto una colorazione giallina (stà diminuendo lo iodio riducendosi a ioduro ed il colore si attenua)

- aggiungere qualche goccia della soluzione di amido (la soluzione assume colore violaceo per il complesso che l'amido forma con lo iodio ancora libero)

- continuare la titolazione con la buretta, sempre mescolando, finchè la colorazione tende a sparire; il punto di viraggio non è semplice da cogliere, qui è indispensabile un po' di esperienza. Quando il colore tende a sparire vuol dire che non c'è più iodio libero e che tutto il tiosolfato aggiunto si è trasformato in tetrationato.

Ora un po' di calcoli...

Dall'analisi delle ossidoriduzioni risulta che un equivalente di ipoclorito viene "consumato" da due equivalenti di tiosolfato.
Passando ai pesi molecolari, ciò significa che 396,20 (248,10 x 2) g di Na2S2O3 corrispondono a 74,44 g di NaClO; il rapporto ipoclorito/tiosolfato è quindi 0,15

Abbiamo fatto una soluzione 0,1 M di Na2S2O3, la quale contiene 15,81 g/l di tiosolfato anidro, ovvero 0,0158 g ogni ml; siccome ad ogni grammo di tiosolfato corrispondono 0,15 g di ipoclorito, ad ogni ml consumato nella titolazione corrispondono quindi 0,0158 x 0,15 = 0,00237 g di NaClO
Ecco trovato il numero magico per il quale moltiplicare la lettura alla buretta per convertirli in ipoclorito!

Nel mio caso il punto di viraggio (su tre prove eseguite in sequenza) è stato raggiunto mediamente con 22,5 ml di tiosolfato: 22,5 x 0,00237 = 0,053
Questi 0,053 g di ipoclorito sono però contenuti in 1 ml di candeggina, viste le diluizioni che si sono fatte in partenza, e quindi per ottenere la percentuale basta moltiplicare per 100.

Eccoci finalmente al traguardo:

la candeggina conteneva il 5,3 % di ipoclorito di sodio NaClO!
Si trattava di una candeggina generica, di quelle tipiche da supermercato a basso costo.

L'analisi è stata condotta con approssimazione, ma sufficiente per i risultati che si volevano ottenere, che erano solo indicativi; ha portato comunque a dati compatibili ed in un'oretta con soddisfazione mi solo levato una curiosità!

Salvo errori ed omissioni, naturalmente!

 
 
 

Gadolinio e Disprosio, due sconosciuti?

Post n°62 pubblicato il 05 Dicembre 2010 da paoloalbert

L'altra volta ho parlato in modo discorsivo (e molto incompleto!) degli elementi delle terre rare; oggi l'argomento entra nel particolare della nuda chimica sperimentale e ci entra di brutto. Quanto segue è quindi strettamente riservato agli sporcaprovette impenitenti e amanti degli elementi esotici!

Metto le notizie in forma estemporanea e senza commenti, trascrivendo gli appunti che mi ero preso scavando di qua e di là nelle mille gallerie della miniera di carta di cui parlavo; i sali citati si riferiscono specificamente al gadolinio e al disprosio.

Taca banda!
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Tanto per conoscenza, i sali di questi elementi sono generalmente bianchi, incolori o color crema; sono quasi tutti igroscopici e cristallizzano con varie molecole d'acqua. Si possono cristallizzare dalle loro soluzioni concentrate per evaporazione a pressione ridotta in presenza di H2SO4 concentratto come disidratante.
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Gli ossalati precipitano da soluzioni debolmente acide (HCl 0,5 N) con eccesso di (COOH)2 - Crist. con .6H2O e ad alta temperatura (oltre 600°) formano l'ossido corrispondente.
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I cloruri anidri (gli alogenuri in generale) sono molto difficili da ottenere e si conservano sotto vuoto; gli idrati sono solubilissimi e crist. con .6H2O; scaldati all'aria si trasformano parzialmente in ossicloruri insolubili, es. GdOCl
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I bromuri sono solubili in etanolo e acetone; gli ioduri sono giallastri (da ossido + HI) e formano all'aria ioduri basici, M(OH)Ix
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Gli ossidi e i carbonati sono solubili in acido acetico dando acetati con .4H2O; a caldo le soluzioni tendono a dare acetati basici.
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Gli iodati sono poco solubili e precipitano; idem i periodati; il periodato di gadolinio ha formula GdIO5 (Gd2O3 + I2O7)/2
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Il solfito di gadolinio Gd2(SO3)3.11H2O si può produrre facendo passare una corrente di SO2 in una sospensione di Gd2O3 in acqua fino a solubilizzazione. Aggiungere etanolo e lasciar cristallizzare dopo un certo tempo. Filtrare, lavare con acqua/etanolo e seccare.
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Il solfato di gadolinio crist. con .8H2O
Il solfato di disprosio idem; per cristallizzarlo precipitarlo dalla sua soluzione con grande eccesso di etanolo, lavare con etanolo assoluto e seccare con H2SO4. Giallo pallido.
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I seleniati sono solubili, i seleniti invece precipitano con un selenito alcalino Na2SeO3 e formano GdH(SeO3)2.3H2O
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I lattati si ottengono per scambio tra lattato di bario e i solfati corrispondenti; cristallizzano bene con 1,5.H2O
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I tartrati si ottengono aggiungengo goccia a goccia una sol. di ac. tartarico ad una sol di acetato. Il tartrato precipita e pian piano cristallizza, evaporare a b.m.
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I fluoruri sono insolubili e molto stabili anche ad alta T. Da KF in sol. debolmente acida.
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I complessi con acetilacetone si formano facilmente con le solite procedure, non sono colorati.
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Gd e Dy non formano solfati doppi.
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2Gd2(CrO4)3.5K2CrO4.7H2O si ottiene per scambio stechiometrico con Gd(NO3)3 e K2CrO4 - Precipita gelatinoso e pian piano cristallizza.
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I nitrati anidri sono sono molto difficili da ottenere. I sali idrati da ox + HNO3. Cristallizzano con 5 e 6.H2O
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I fosfati sono insolubili. Dai cloruri + Na2HPO4 - GdPO4.5,5.H2O
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Sali doppi stechiometrici: 2Gd(NO3)3.3Ni(NO3)2.24H2O, idem col manganese e col magnesio.
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KGd[Fe(CN)6].5H2O e idem col Dy ma .5H2O poco solubili, precipitano. Stesso colore degli alcalini.
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I ferricianuri hanno 4 e 4,5.H2O, precipitano e cristallizzano rosso granato.
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I tiocianati per scambio da Ba(CNO)2 e i solfati corrispondenti; crist. con 6 e 7.H2O - Evaporare in vuoto con H2SO4
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I bromati crist. con .9H2O variano molto la solubilità con la temperatura. E' uno dei metodi di separazione. Solubilità 500 g/l a 0° e 2000 g/l a 40°
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Terminano qui i miei appunti; se a qualcuno possono servire per giocarci un po', ben venga! (Max sei avvertito...)

 
 
 

Scavando fra le Terre Rare...

Post n°61 pubblicato il 02 Dicembre 2010 da paoloalbert

Nella splendida biblioteca storica della mia città (non dico quale) ho da poco scoperto che esiste una monumentale opera enciclopedica in francese sulla chimica inorganica che farebbe la felicità di qualsiasi chimico sperimentale.
Si tratta del Traité de Chimie Minerale (A.V) in 17 volumi, edito a Parigi (1930-1960), per complessive 15.000 pagine.
Incoraggiato dalla richiesta dell'amico Max, appassionato sperimentatore di Terre Rare, mi sono messo a scavare in questa cartacea miniera dai mille meandri alla ricerca mirata di notizie ben specifiche, ovvero tutto quanto si potesse sapere sui composti del Gadolinio e del Disprosio...

Chi è un po' avvezzo alla chimica (e anche chi non lo è!) intuisce facilmente che la richiesta non è delle più semplici: su qualsiasi testo di chimica, anche ponderoso, gli elementi delle terre rare vengono liquidati quando va bene in un solo capitolo ed i relativi composti sono appena accennati nelle caratteristiche generali, che poi sono tutte simili; difficilissimo che si scenda in particolari che non siano esclusivamente teorici in una chimica così di nicchia. Bisognerebbe poter accedere a testi specifici su questi elementi, ma ciò è del tutto impossibile per i comuni mortali al di fuori di una istituzione di ricerca specifica (ammesso che da queste parti esista...).

A noi sperimentatori sporcaprovette interessano poco gli orbitali, il momento magnetico o quant'altro, ma vogliamo invece dati concreti su due elementi che sono rari fra i rari! Cosa significa dati concreti? Ecco un paio di dati concreti come io li intendo: il tartrato di gadolinio è solubile? Che colore ha il ferricianuro di disprosio? Esistono i solfati doppi? Eccetera... e scusate se è poco!

Dopo questa inquietante introduzione, qualcuno (il solito coraggioso...) si chiederà cosa diavolo siano queste Terre Rare, che hanno perfino l'onore della lettera maiuscola.

Sono considerate "terre rare" un gruppo di minerali, prevalentemente silicati e fosfati, di 17 elementi compresi tra i metalli detti di transizione; di transizione perchè si trovano in mezzo alla tavola periodica, tra il gruppo II ed il gruppo III, caratterizzati da avere una configurazione elettronica particolare che ne rende le caratteristiche tutte simili tra di loro, tant'è che sono difficilissimi da separare l'un l'altro.
Di questi 17 elementi, 15 sono detti "lantanidi" (dal numero atomico 57 al 71) e gli altri due sono lo scandio e l'yttrio, che sono considerati nel gruppo t.r. pur avendo una configurazione elettronica leggermente diversa. L'unico elemento non esistente in natura è il n.a. 61, il promezio, che essendo radioattivo ed instabile non è destinato a sopravvivere. Una singolare curiosità è che in un momento si era creduto di aver intravvisto questo elemento in minerali in Italia, ed era già stato incautamente battezzato col nome di Florenzio...

Le prime scoperte sulle terre rare furono fatte da Gadolin nel 1794 nella penisola scandinava, ma questi minerali sono anche diffusi (nella loro rarità) anche in Brasile, Urali, India, Sud Africa, Groenlandia.
I metalli costituenti sono tutti elementi principalmente trivalenti e nei minerali vanno a sostituire parzialmente o totalmente elementi comuni a valenza minore come il calcio, il magnesio, il ferro e altri grazie al loro raggio atomico quasi uguale.
La gadolinite per esempio è un silicato di ferro, yttrio e berillio; le formule dei minerali sono comunque in genere assai complesse e variabili.
L'estrazione di questi metalli è sempre laboriosa, ma, molto semplificando, possiamo dire che si fa per trattamento dei minerali con acido solforico concentrato, eliminando la silice, precipitando gli ossalati dai solfati e trasformando questi ultimi in ossidi per calcinazione.
Qui viene il difficile, cioè la separazione: si sfrutta in genere la piccola ma diversa solubilità di alcuni sali (anche organici), o la cristallizzazione frazionata di alcuni sali doppi, oppure la diversa stabilità al calore dei nitrati, e così via. Attualmente viene usata la separazione mediante resine a scambio ionico.
Ecco infine l'elenco dei 2+15 elementi costituenti le Terre Rare:

-Scandio, Yttrio
-Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio, Promezio, Samario, Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Ytterbio, Lutezio

---

La prossima volta parlerò di quello che son riuscito a trovare scavando nella miniera cartacea citata all'inizio, andando alla fortunosa ricerca di sali di Gadolinio e Disprosio!

 
 
 

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