milano 2006

il numero 749 di casabella s’apre con il consueto editoriale del vecchio dal co che in cinque colonne affonda il coltello (ormai privo di lama da molti anni) sull’incolpevole piano che viene elogiato nella parte funzionalista dell’articolo (per quei ‘bruschi cambiamenti d’atmosfera’ fra nuovo e vecchio che sembrano quasi eccitarlo) ma viene pizzicato nel ‘gran finale’ (dal co chiude sempre come esopo le sue favolose dimostrazioni criticomorali) in cui l’attenzione formalistica si spinge al dettaglio. insomma dal co non perdona al genovese le coperture della corte nelle quali ‘la trama delle connessioni e delle travature orizzontali è eccessivamente fitta e vi sono casi in cui risulta gratuitamente ripetuta’ (e continua: ‘dalla piazza […] si ha l’impressione che in questi frangenti la fretta abbia preso il sopravvento o l’attenzione dell’architetto abbia subìto una flessione’). avrà pure ragione (è come se gli dicessi ‘i gusti son gusti’) ma quel che è sbagliato in partenza è l’assunto di base: l’accostamento di franco albini e renzo piano (col pretesto della ‘leggerezza’). la mostra alla triennale allestita da piano e dedicata ad albini andrebbe letta sì come un omaggio al celebrato albini ma dovrebbe costituire solo un’occasione per riflettere sulla figura di albini. non c’è nulla di piano in quell’allestimento. dal co invece tenta l’accostamento proprio trovando in zero gravity il movente per un plurimo omicidio (in realtà accidentale, involontario e tutt'altro che premeditato). se ci sono in piano insegnamenti del maestro albini (o di prouvé perché no), credo sia altrettanto lecito ammettere con pari grossolanità in un linguaggio terra-terra che violino e violoncello sono entrambi di legno ma hanno suoni diversi. saranno pure verità, ma non così ‘importanti’ da divenire cifre per l’interpretazione dell’architettura di piano. insomma dal co per far quadrare il cerchio sostiene che la leggerezza è ‘la cifra’ della riforma della morgan library (e già quest’affermazione è tutt’altro che condivisibile) ma conclude contraddicendo proprio il suo stesso assunto di base: dice cioè che in albini i dettagli sono tali da rendere ‘lieve’ la leggerezza mentre in piano i dettagli eleganti e seri esprimono un diverso tipo di leggerezza (una specie di solenne leggerezza verrebbe da pensare). insomma dopo cinque colonne dal co è come se ci dicesse che albini e piano non sono accostabili e che le loro armonie architettoniche (non sempre piacevoli) sono prodotte da strumenti differenti. la verità invece, priva d’orpelli o finzioni pseudoletterarie, è che la leggerezza in piano è struttura, vetro, spazio e luce, mentre in albini è ombra ed esilità allestita, esibita. piano e albini parlano due linguaggi profondamente e palesemente incomparabili. tant’è che in zero gravity (nulla di più volutamente lontano dalla poetica di renzo piano) l’architetto volutamente ritrae la mano per omaggiare albini, mentre la calca, ribadendo la sua cifra stilistica (la tecnica nella struttura) laddove può esprimere al meglio il suo mestiere d’architetto (la morgan library è il suo capolavoro). sulla figura dello storico non mi pronuncio ma riguardo il dal co critico, penso sia un uomo di cultura capace di raccontare troppo spesso in modo documentato e prolisso (e a tratti letterariamente bene) le più lampanti banalità. forse i lettori di casabella avranno tempo da dedicare alle sue righe. tempo comunque non perso; nei suoi scritti c’è sempre qualche curiosità o pettegolezzo storico da raccontare all’amico per sfoggiare un po’ di cultura: ‘almeno quella dai’. parlerò anche di domus 897. uno dei più bei numeri da anni...e magari parlerò anche di cose più interessanti...