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Messaggi di Luglio 2020

L'Assunta in Cielo Patrona di Lucera

Post n°323 pubblicato il 30 Luglio 2020 da pasquale.zolla

 

Ferragosto Lucerino 2020

Cari Amici, anticipatamente tratto del ferragosto lucerino in quanto in quei giorni non sarò a Lucera. Comunque quest'anno ho preferito tradurre in dialetto nostrano  la poesia di una poetessa americana, di cui sotto.

Un Lucerino senza l’Assunta in cielo è un po’ come un orfano, tanto è il rapporto d’amore che intercorre tra Lei e Lucera, fin dal suo apparire.

Ci saranno anche dei momenti di appannamento, come sta accadendo a causa della pandemia del coronavirus, ma quell’intreccio amoroso dei Lucerini con la loro Patrona è talemente indissolubile che porterà anche questo letale fantasmino ad inchinarsi alla volontà divina della Vergine Maria che ha dato lustro nei secoli col suo nome a questa Città: Luceria: Sanctae Mariae Civitas!

Ella è stata, è e sarà per i Lucerini una rosa, bianca per la sua verginità, vermiglia per la carità ed ha percorso insieme al Figlio, che sta seduto sulle sue ginocchia, il cammino che portava verso la croce. Procedeva immersa in una totale ed umana tristezza (cosa che fa tuttora per noi!) qual è quella di una madre terrena che doveva assistere alla fine del Figlio, e non solo alla fine della sua vita, ma anche dei suoi progetti, delle sue speranze e della sua opera.

Maria fece esperienza di tutto questo, pur sapendo che la missione del Figlio non aveva fine.

Oggi che versiamo le nostre lacrime, che sono il sangue delle nostre anime, esse cadono sul cuore della Vergine e da lì su tutti i cuori dei viventi.

È questo che i Lucerini hanno compreso unendosi a Lei in un idillio che, ripeto, mai verrà meno perché sanno che l’Assunta è sempre lì pronta a proteggerli!

Quest’anno non una mia poesia alla Madonna per il ferragosto, ma una della poetessa Silvia Neuhold che, tra l’altro, ho tradotto in vernacolo lucerino, lasciando la trascrizione in italiano della suddetta poetessa.


Nen decènne Avè Marìje

Dìje ògnè krjature krjaje,

è Marìje jeneraje Dìje: Nen decènne

“Avè Marìje”, si prjèzze ne mbruve

nd’u sènde ‘a Paróle de Dìje.

Nen decènne “Chjéne de Grazje”,

si nenn’arrekanusce i rjale

ka Dìje t’have fatte. Nen decènne

“u Segnòre ke Tè éje”, si ne nzinde

ka Dìje vecine te stace. Nen decènne

“beneditte”, si nen kride de putè

èsse sande. Nen decènne “Mamme

de Dìje”, si nde kumburte da fighje.

Nen decènne “ grazjòne dì pe nuje”,

si nen te prukkupìje d’u vecine tuje.

Nen decènne “pekkature”, si auàrde

‘a paghjuzze nd’a l’ucchje d’u vecine tuje.

Ne ndecènne “mòrte”, si nen kride

ka sìje ‘a pòrte de ‘na vita nòve.

Non dire Ave Maria

Dio creò ogni creatura,

e Maria generò Dio: Non dire

“Ave Maria”, se non provi gioia

nel sentire la Parola di Dio.

Non dire “Piena di grazia”,

se non riconosci i doni

che Dio ti ha fatto. Non dire

“il Signore sia con Te”, se non senti

che Dio ti è vicino. Non dire

“benedetto”, se non credi di poter

essere santo. Non dire “Madre

di Dio”, se non ti comporti da figlio.

Non dire “prega per noi”,

se non ti preoccupi del tuo prossimo.

Non dire “peccatori”, se guardi

la pagliuzza nell’occhio del tuo vicino.

Non dire “morte”, se non credi

che sia la porta di una nuova vita.


 


 

 

 
 
 

La storia di Lucera in poesia

Post n°322 pubblicato il 18 Luglio 2020 da pasquale.zolla

 

LUCÉRE: PAJÉSE  DE SANDA MARÌJE

Lucera: Città di Santa Maria

E anche questo lavoro è andato in porto. Di seguito la presentazione di Mons. Don Antonio Del Gaudio. – Nelle librerie di Lucera.

P R E S E N T A Z I O N E

CHI AMA, CANTA!

E cos’altro è questo lavoro di Zolla, se non il canto, che sgorga, da un cuore traboccante d’amore, a Lucera e alla sua celeste Patrona?

Novello stilnovista, l’Autore esprime con incontenibile tensione lirica, tutto ciò che «il cor ditta». E come in uno scrigno si adunano gioielli inestimabili, così in accenti e forme, tipici del vernacolo lucerino, si racchiudono i preziosi grani del rosario di moti appassionati dell’innamorato.

C’è in filigrana, intanto che le vicende del passato si susseguono, sinfonia a sinfonia, la presenza arcana ed efficace di un piano provvidenziale, realizzantesi come per incontro e gioco d’incastro di altrettante tessere di ineffabile mosaico o come punti di ricamo su ordito mirabile. La storia, o la tradizione, ritma il vibrare di uno spirito impenitentemente romantico; un vibrare dalla frequenza tanto alto da diventare dolce pathos.

Sia chiaro: questa non è storia in versi! Zolla non ha voluto scrivere un’opera divulgativa in versi dialettali per un pubblico rozzo ed ignorante. Il racconto del passato è piegato alle esigenze poetiche dell’autore, moderno rapsodo.

Le vicende, lontane nel tempo, vengono rievocate a mo’ di motivazioni dell’immenso amore filiale per Lucera e per Santa Maria Patrona da parte di un Lucerino; sono altrettante prove della predilezione materna della Vergine per la Sua Città; sono un’occasione per l’esplodere di una musicalità che accattiva anche il lettore più tiepido.

E il dialetto scorre, come un maestoso fiume, magmatico, caldo, vivissimo, attraversato da una appena percettibile vena di nostalgia, scaturente da un implicito, e tuttavia rilevabile ed ineludibile confronto, tra quel passato e questo presente.

L’assolo dell’Autore si fa presto corale, canto multifonico: all’unica voce dell’Autore, si uniscono le voci devote ed osannanti delle generazioni passate di Lucerini; il canto, al pari di quello accompagnato dalla lira di Orfeo, possiede la potenza di destare dal sonno dei sepolcri e radunare ai piedi della Patrona, nella sconfinata cattedrale del Cielo, i fantasmi austeri dei nostri Padri.

CHI AMA, CREDE!

Una fede semplice e profonda si stempera in poesia, si fa moto orante, si trasforma in grido di speranza, termina in mistico, totale abbandono.

«Rara avis», lo Zolla? Lo dica il lettore! Ma come non essere amareggiati nel vedere i Lucerini sempre più distratti, agnostici e, quel che è peggio, saccenti ed indifferenti?

E cioè… sempre meno Lucerini! In particolare, i nostri giovani, oggi, vivono in una cultura (anche a Lucera!) che rimuove velocemente il passato e non offre grandi valori alternativi in cui credere. Senza vera cultura e memoria storica, non esiste passato. Senza passato non ci sono radici. Senza radici, non è possibile il costituirsi di una personalità, né di un individuo, né di un popolo.

Il Lucerino autentico crede nel passato, nei valori perenni della famiglia, della religione, della patria e, prendendo «l’aìre» da questi valori, si protende con fiducia verso il futuro: perché è consapevole di essere «figlio» del felice ed indissolubile connubio Santa Maria-Lucera e, perciò, egli ama in modo filiale la Sua Lucera, la Sua Patrona.

Zolla riscopre il passato e lo propone al «nostro» duemila!

Mons. Dr. Antonio Del Gaudio

 

 
 
 

Inno al sole

Post n°321 pubblicato il 11 Luglio 2020 da pasquale.zolla

Inno al sole

Il sole è una stella solitaria. Ogni volta che esce per vedere i suoi amici, questi spariscono.

La gente dice che il sole è troppo luminoso; io, invece, ritengo che sia troppo silenzioso tanto che se si è soli in luoghi romiti lo si può sentire parlare. Come? Con l’ombra! Perché è l’ombra, non la luce, il suo linguaggio.

Il sole non si alza mai con la luna storta e dentro un suo raggio che entra in casa dalla finestra talvolta ci fa vedere nell’aria la vita, che noi chiamiamo pulviscolo!


U sóle éje ‘a muréje de Dìje

U cile ‘na bèlla pergaméne éje

andò u djarje suje u sóle skrive.

Tuttekuande grazje a isse stace,

tande ka i krestjane spisse u hanne

dendefekate pe Dije è pe sèkule

u kulte ne hanne kultuate. Ka granne

famighje de prjèzze éje ‘a famighje

d’u sóle! Ke kuale òrdene, armunìje

è kujéte i chjanéte fighje suje

se semmuvèjene ndurne a isse,

sblennènde d’a lustre ka vèvene

d’ò jenetòre lòre. Nu raje de sóle

suffecènde éje pe skupà vìje tanda

muréje. Avaste uardà n’areve a nute

kòndre u sóle. Éje stupènne, maraveghjuse,

assaje bèlle! Tutte i kacchje suje

delenjate sònne, è nda suje nutetà

ce stace ‘na puvesìje, ‘na kanzòne.

‘A premavére, grazje è raje d’u sóle,

u jengarrà k’a museke de tanda frònne

ka, nd’u avetunne, pe ndèrre jarranne

è venarranne sciusciate vìje lundane.

Dinde ’a bèlla stagiòne u sóle éje

nu bòmmine ka ke nzestènze refjutéje

de jì a kulukarze è kuanne nd’u skurde stà

avete nen face ka vase se skagnà

ke Markòfje. U sóle sópe ‘a pellècchje

arrjale ‘na senzazjòne de pjacére:

spirde è karne dinde ‘a lustre vèvene

de Dìje ‘a stèssa ‘nergìja suje.

U sóle éje ‘a muréje de Dìje!

 

Il sole è l’ombra di Dio

Il cielo è una bella pergamena

dove il sole scrive il suo diario.

Tutto esiste grazie a lui,

tanto che gli umani spesso lo hanno

idendificato con Dio e per secoli

ne hanno coltivato il culto. Che grande

famiglia felice è la famiglia

del sole! Con quale ordine, armonia

e pace i suoi pianeti figli

si muovono intorno a lui,

splendenti della luce che bevono

dal loro genitore. Un raggio di sole

è sufficiente per spazzare via molte

ombre. Basta guardare un albero nudo

contro il sole. È stupendo, meraviglioso,

bellissimo! Tutti i suoi rami

sono delineati, e nella sua nudità

vi è una poesia, una canzone.

La primavera, grazie ai raggi del sole,

lo riempirà con la musica di molte foglie

che, in autunno, cadranno

e verranno soffiate via.

D’estate il sole è

un bambino che insistentemente rifiuta

di andare a letto e nelle eclissi

altro non fa che scambiarsi baci

con la luna. Il sole sulla pelle

dona una piacevole sensazione:

spirito e carne bevono nella luce

di Dio la sua stessa energia.

Il sole è l’ombra di Dio!  

 



 

 
 
 
 

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