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Pensieri sparsi in parole disordinate ...

Post n°97 pubblicato il 29 Agosto 2008 da ilprincipedelcuore
 

Stheinausen è un posto che non conosco.

Probabilmente non c’è nessun posto con un nome così.

Lo spero, per quello che accadrà tra poco.

Stheinausen è un posto speciale.

Un posto unico.

E’ qualcosa tra una penisola e un’ isola.

Collegata, forse, a qualche parte del mondo.

Non è chiaro.
Perché quella zona, dove forse una lingua di terra appare e scompare, ricoperta da maree irregolari, impreviste, inattese, - sono maree diverse, non pensate ad un uso errato, improprio del termine – è immersa nella nebbia, nascosta, oscura.

Un castello, nell’alba di un inverno cupo, un ponte levatoio, un fossato, mura di pietre irregolari, un portone chiazzato di nero, sterpi di un verde smorto, di forme sgraziate, una dimora di vampiri, una ragnatela avvolta da ragnatele … l’idea, l’immagine potrebbe essere anche questa.

A Stheinausen si accede da li.

Quando la marea è bassa o  il ponte è abbassato.

Una chiazza di inchiostro scuro impedisce di vedere la trama del foglio, separa il cielo del mondo da quello di Stheinausen, perché anche a Stheinausen c’è un cielo.

Ma Stheinausen non è un posto qualunque.

Li si sono stampati tutti i cieli di tutti i giorni della terra di ogni posto della terra.

Si susseguono come scene di un film, dissolvenze non completamente dissolte, sfumature non completamente sfumate.

Stheinausen ha una forma irregolare, curve dolci improvvisamente si infrangono su pendii di monti, precipitano lungo dorsali di roccia grigia, si dividono in miliardi di rette parallele, adiacenti, si incrociano in un reticolato di fili d’erba verde, di cespugli arsi e pietre, di spiazzi d’acqua trasparente, di pozze putrescenti opacizzate da luci spettrali che filtrano tra le ali di miliardi di zanzare.

La zappa di un cercatore d’oro rimuove zolle su zolle di terra.

Una lunga fila interminabile di cercatori d’oro, ognuno con un suo sole e il suo sudore, ognuno vestito di stracci impregnati di affanno, chiazzati di terra che è terra diversa per ognuno di loro, che non è terra ma liquido denso, appiccicoso, iridescente o matto o è pezzi di zappa o è spazi di tempo, frammenti di giorni, scorie lanuginose, appuntite, sfaldate.

File dietro file, davanti a file, di zappe di cercatori che non possono esistere, coesistere.

Zappe che scavano terra che scopre altra terra posata su terra, spostata su terra che non è più terra ma cercatori, zappati, spostati , sommersi.

Curve che sono fogli arrotolati, che sono costruzioni aggraziate, recinti che chiudono prati verdi, fontane e persone che hanno negli occhi memorie di viaggi nelle città di Stheinausen, con grattacieli specchiati e periferie di mattoni e periferie delle periferie con accatastate cataste di baracche, strisciate di strade, passare di cani, beccare di polli.

Stheinausen, nelle baie di Stheinausen, di un azzurro che ha riflesso tramonti , che specchia lune piene, bagliori di stelle, pareti di roccia levigate dal vento, chiazzate di verde, colorate di petali.
Stheinausen nel vento lieve, nelle pianure verdi, nei suoni di flauti e violini, nei capelli di donne, nelle voci stridule di isteriche pettegole, nell’ insieme ordinato di container su moli di porti chiusi da scogliere macchiate di petrolio, bagnate da un mare nero con la pelle di schiuma fatta di bolle ammaccate, plastica fusa, fiamme sotto fumo nero.

Bussano ai vetri di auto mendicanti dalla mano tesa, macchie di sporco su pulite trasparenze, voci deboli neppure disperate, affrante. Solidità di rassegnazione.

Stheinausen, come pagine di un libro di foto.

Dita bagnate di saliva che sfogliano anime ammaccate da errori, disillusi cercatori, bagliori di ideali frantumati, voglie costrette in passi all’indietro, orizzonti di rinunce, smarrita memoria di diamanti pure una volta immaginati, voluti.

Stheinausen, pile su pile di cubi di sobria indifferenza, di rancida accettazione, di coraggi persi, di menzogne, di violenze normali, di spade infilzate su corpi che non perdono sangue, non urlano.

Stheinausen dove quasi tutto ciò che è vive perché esiste negli occhi degli altri che guardano, di doveri che sono solo fiato di menti pettegole incapaci di concepire pensieri propri, strutture devastate dove l’unica emozione residua è la paura di perdersi nel domani.

Stheinausen dove gli angoli di paradiso sono negli occhi di bambini ancora non plagiati, schematizzati, infagottati, sospinti verso futuri di regole, pareti di sicura mediocrità, predefinita sopravvivenza, infinita noia.

Stheinausen vuota di anime, muta di urla, sciamante di nullità.

Stheinausen, irreale realtà, capace di sputare sulle bocche ardenti di due ragazzi innamorati.

Stheinausen dove il puzzo di una morte nera ammorba l’aria quasi ovunque, respiro di una umanità compromessa, libera da qualunque pensiero non precostituito, incatenata da catene di ignari incatenatori, assurda follia, infilata perfino nelle lacrime o nel sorriso vacuo di vecchi sdentati, malati, morenti, esausti di una vita non vissuta, stremati dal peso del loro tempo sprecato, spirato.

Stheinausen, fili d’erba estranea, diversa, sotto la zappa di un cercatore e di un altro e di un altro.

Zappe che calano, fili d’erba che muoiono.

Stheinausen dove poche braccia si fermano, bloccano il movimento automatico, depongono la zappa, sentono il profumo di quell’erba che a loro è stata proibita fin da bambini.

L’erba voglio cresce solo nel giardino del re.

Stheinausen, posto di zappatori, braccia senza menti.

Vite senza anima.

Posto senza re.

Si frantumano le ali di un falco nell’attimo in cui la bomba esplode, molecole invisibili disposte a cerchio, onda d’urto, energia e fiamme e vento e Stheinausen dissolta, materia rimescolata in fuga nell’universo.

Libera, almeno libera di pensare, volere, cercare.

E’ vita, non pezzi di tempo, non lancette di un orologio, non marche stampate su cinture in fabbriche cinesi, non cose e posti.
E’ con chi l’unica cosa che importi, che conti.

E’ amore, emozione, piacere o anche dolore, lacrime, disperazione.

E’ quello che vuoi, con chi vuoi.

Stheinausen, dov’era ?

 
 
 
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