opinioni e poesie

parla un somaro qualunque

Creato da re1233 il 12/10/2008

Archivio messaggi

 
 << Luglio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30 31        
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Luglio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30 31        
 
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 8
 

Ultime visite al Blog

zanellatopormaliberamassimocoppacassetta2re1233Cherryslbagninosalinarootticanetbetaeta7vololowtobias_shuffleGiuseppeLivioL2cielostellepianetiElemento.Scostantefrancesca632
 

Ultimi commenti

 
 

 

« utopia di un folleLa rivincita delle donne »

fanciullezza freddolosa

Post n°102 pubblicato il 15 Ottobre 2009 da re1233
 

                   

 

Fino ai miei undici anni vivevo in periferia a Cuneo, in una villetta a due piani affittataci da due signorine attempate.

La periferia, a quei tempi, parlo degli anni dal 50 al 55, era  campagna aperta con qualche rara villetta disseminata sul territorio .

L’appartamento era composto da due camere da letto, una cucina, un salotto ed un gabinetto al fondo del corridoio che divideva le due ali dell’appartamento.

Ci si riscaldava solo in cucina, dove una stufa a legna (putagè) veniva accesa puntualmente alle sei e mezza della mattina dai miei genitori. Riscaldava dunque solo quel locale e poiché l’inverno di allora, che durava da ottobre ad aprile, era piuttosto rigido, si andava nel proprio letto facendo a gara chi arrivava primo. Una volta giunti il problema era riscaldarsi sotto quelle lenzuola gelate ed una risorsa era il nostro fiato che emettevamo sotto la coltre tirata fin sopra alla testa. Talvolta, ma non sempre, la mamma ci riempiva una bottiglia di acqua calda e dopo averla chiusa con turaccioli precari, quelli nuovi costavano troppo,  la metteva al fondo del letto sotto le coperte. Su questa appoggiavamo i piedi gelati tentando di riscaldarli.

Ma quante volte succedeva che il tappo sollecitato dai nostri piedi, che subito cercavano il caldo della bottiglia, saltava provocando un allagamento tragico nelle lenzuola!

Quante volte tornavamo  in cucina, ormai col calore  in picchiata per lo spegnimento graduale del fuoco, in attesa che venisse rifatto il letto con del telo impermeabile sul materasso, con lenzuola e coperte nuove, e poi ritornare al gelo e senza bottiglia a riprendere le consuete manovre per riscaldarci.

La mattina guardavo fuori della finestra e vedevo sul frassino antistante neve e neve e neve e non volevo alzarmi perché il calore accumulato nella notte non volevo abbandonarlo.

La stufa era discosta dalla parete e lasciava lo spazio per l’inserimento di una sedia, la mattina a turno salivamo sulla stessa per vestirci al calore che cominciava ad emanare dal tubo fumario.

Una mattina mio fratello nella foga di vestirsi, tremando dal freddo, fece un movimento brusco ed il suo deretano toccò il tubo bollente e si scottò in un modo abbastanza grave.

Noi ridemmo al suo pianto disperato, ma capimmo poco dopo che avremmo fatto meglio a correre ai ripari subito.

Per due settimane non poté più sedersi e dovette dormire coi glutei all’aria e scoperti perché ogni peso gli faceva male.

Quando scendevo per andare a scuola la neve, per tutto l’inverno, non scompariva mai. L’altezza media era sempre sui cinquanta centimetri e lo spartineve , perlopiù un trattore con un cuneo di legno montato davanti, passava sulle strade lasciando sul selciato un residuo di circa cinque centimetri di neve.

Le macchine erano poche e le biciclette erano ormai abituate a queste gimkane.

Ed io, pieno di energie e di voglia di avventura, andavo a scuola senza seguire la strada ma attraversavo i campi colmi di neve. Arrancare su di essa, alzare il ginocchio all’altezza dell’addome scavalcando passo passo quella coltre immacolata era per me una gioia che purtroppo non ho più provato negli anni successivi.

Era la  scoperta del proprio potenziale muscolare, la sfida alla natura, il sogno di un’avventura tra le nevi, con cani e slitta, una casetta di tronchi d’albero in un bosco di pini, tra lupi e selvaggina da cacciare.. ed io l’eroe!

Ahimé quanti sogni, quanti voli pindarici, quanto impossibili,  in quel periodo dell’infanzia.

 Eppur oggi mi manca la neve! A fiocchi come farfalle, da osservare col naso appiccicato ai vetri in una cucina riscaldata, con un piatto fumante di polenta sul tavolo apparecchiato. Oppure le orme dei piedi sulla prima  nevicata od i fiocchi che ricadono sulle ciglia rivolte al cielo, ad osservare quel insieme di  piccole creature bianche che riempiono l’aria volteggiando come piume al vento. Mi manca il freddo pungente quando la nevicata finisce ed arriva la sera, la passeggiata fino alla chiesa la notte di natale, col naso intirizzito e l’aria che screpola la pelle.

Mi manca il soffice e delicato incedere sul manto nevoso e quel caratteristico rumore che si sente nel deporre la propria orma, come la compressione su qualcosa di morbido, un suono onomatopeico come il “croc” .

Quest’anno di neve ce ne è stata parecchia, tant’è che non ricordavo una nevicata così dalla mia infanzia, ma il ricordo, il legame affettivo verso di essa che avevo allora non è più tornato…e me ne rammarico!

Pazienza.. ad ogni età le sue gioie!

Serenità!

 
 
 
Vai alla Home Page del blog
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963