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Post N° 152

Post n°152 pubblicato il 23 Marzo 2008 da troppo_principessa
 

Ci sono giorni, nella carriera di insegnante, in cui tutto va storto. Giorni in cui l’unica cosa sensata da fare è andare a casa e tornare a letto. Oggi era uno di quelli: una parata assurda di contrattempi e seccature, di cartacce e libri persi e baruffe minori, di adempienze amministrative sgradite, di mansioni extra e di commenti biechi nei corridoi.

 

 Ci sono molti vantaggi nell’essere un insegnante anziano. Uno è che avendo la reputazione di saper imporre la disciplina è necessario imporla di rado. La voce si diffonde – Non far casino con S. – e ne deriva una vita tranquilla per tutti.

Oggi era diverso. Ah, succede ogni tanto; e se fosse successo in un’altra giornata, non avrei reagito come ho fatto. Ma era un gruppo numeroso, una terza inferiore: trentacinque ragazzi e tra loro non un solo latinista.

 

 Ero in ritardo di dieci minuti, e la classe era già rumorosa. Nessun compito era stato assegnato, e quando sono entrato, immaginando che i ragazzi si alzassero in silenzio, loro hanno dato solo un’occhiata nella mia direzione e hanno continuato a fare precisamente quello che facevano prima. Partite a carte, chiacchiere, una discussione turbolenta sul fondo con sedie rovesciate e un poderoso puzzo di gomma da masticare nell’aria.

La cosa non avrebbe dovuto farmi arrabbiare. Un bravo insegnante sa che c’è rabbia falsa e rabbia vera: quella falsa è lecita, parte dell’arsenale di finzioni del bravo insegnante, ma quella vera va tenuta nascosta, affinché i ragazzi, maestri del tranello, non capiscano di aver segnato un punto.

Ma ero stanco. La giornata era iniziata male. I ragazzi non mi conoscevano ed ero ancora adirato per l’incidente della sera prima.

 

 E così sono cascato, come un novizio, come un tirocinante, nel trucco più vecchio del mondo. Ho perso la pazienza.

 

 Be’, in una situazione del genere è inevitabile che ci siano delle vittime. In questo caso otto detenzioni all’ora di pranzo, il che era forse un tantino eccessivo, ma la disciplina di un insegnante è affar suo, e non c’era ragione perché il vicepreside intervenisse. Tuttavia l’ha fatto: passando davanti all’aula nel momento sbagliato, ha sentito la mia voce e ha guardato attraverso il vetro nel preciso istante in cui io facevo girare uno dei ragazzi che ridacchiavano tenendolo per la manica del blazer.

“Mr S.!” Naturalmente oggigiorno, nessuno tocca uno scolaro.

E’ calato il silenzio.

 

 Mi ero spinto troppo in là, adesso me ne accorgevo. “Forse può raccontare tutto al vicepreside” ho suggerito voltandomi di nuovo verso la classe ormai silenziosa.

Il vicepreside mi ha rivolto un’occhiata da rettile.

“Ah, e quando ha finito con il ragazzo, per favore lo rimandi indietro” ho detto “devo organizzare la sua detenzione”.

A quel punto al vicepreside non restava che andarsene, portando il ragazzo con sé. Immagino non gli piacesse essere congedato da un collega, ma allora non avrebbe dovuto intervenire, giusto? Eppure avevo la sensazione che non avrebbe lasciato perdere.

 

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Data di creazione: 27/07/2006
 

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