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umorismo e satira

 

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Messaggi del 28/02/2010

 

LA SEGNALAZIONE: CURIOSITA', ARTE, TEMPIO DEL SESSO, CAMERE SADOMASO, SEDIA GINECOLOGICA, ADOLESCENTI NUDI

Post n°3788 pubblicato il 28 Febbraio 2010 da psicologiaforense

Una mostra con sesso di gruppo
Alla prestigiosa Secession di Vienna

Di giorno sembra una mostra normale, con normale biglietto di ingresso. La sera dalle 21 lo scantinato del museo si trasforma in uno "Swingerclub" (luogo dove si entra in coppia per fare sesso di gruppo). Il biglietto è più caro (da 6 a 42 Euro). Per accedere i visitatori devono essere maggiorenni e senza inibizioni sessuali. Scandalo alla prestigiosa Secession di Vienna per una mostra con protagonisti di orge e posizioni di ogni genere.

 

Presentata come semplice 'progetto d'arte', la mostra aveva ricevuto anche la benedizione delle autorità cittadine. Poi dopo il vernissage, le cose sono apparse in un'altra luce. Fra proteste e curiosità, la mostra, costata 90 mila euro di provenienza esclusivamente privata, registra comunque il pienone e, la sera, per entrare bisogna fare lunghe file.

Il progetto è frutto della cooperazione fra l'artista e l''Associazione dei nottambuli in cerca di contatti' che ha trasferito il suo Swingerclub Element6 per due mesi nel museo.

L'idea è dell'artista provocatore svizzero Christoph Buechel cha ha trasformato il "tempio dell'arte" in "tempio del sesso", come scrive il tabloid Oesterreich pubblicando foto molto eloquenti: camera sadomaso, sedia ginecologica, materassini per terra, ragazzi e ragazze mezzi nudi che si baciano e leccano, in coppia, a tre, o in mucchio. "Scandalo per l'orgia nel museo", titola la stampa locale ricostruendo la genesi dell'happening. 

 
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IL CASO DEL GIORNO, ISTANZA CHOC , SEPARAZIONE, DIVORZIO, AFFIDAMENTO DELLA PROLE, DIRITTO, DIRITTI, FIGLIA, PADRE,

Post n°3787 pubblicato il 28 Febbraio 2010 da psicologiaforense

IL CASO di Marina Corradi

SIGNOR GIUDICE, NASCONDA A MIA FIGLIA QUEL NONNO MUTO... 



 
«Che mia figlia non viva nella casa del nonno, paralizzato e muto per una sindrome neurologica. È troppo triste, troppo afflittivo per un bambino, assiste­re a certe situazioni».
È, in sostanza, la ri­chiesta di un padre separato al tribunale. E non è un caso isolato.
Dunque in quel laboratorio di diritti e af­fetti che sono le divisioni fra coniugi, in cui vengono alla luce prima che altrove que­stioni che altrimenti si discutono fra le mu­ra di casa, emerge una nuova domanda che pretende di essere affermata giuridica­mente: il diritto a non vedere la malattia e la sofferenza. Qualcosa di ulteriore rispet­to al «diritto a morire» teorizzato nella bat­taglia per l’eutanasia: la pretesa di non far vedere quegli stati di vita, che ai sani pos­sono apparire inaccettabili. O almeno que­sta pretesa comincia con i bambini, ve­stendosi di premura paterna: che la bam­bina non entri in quella casa dove il non­no, cui pure vuole bene, ora non risponde, non parla. Benché privo di una sofferenza fisica evidente, il silenzio degli stati vege­tativi o delle sindromi analoghe è giudica­to insopportabile; si va dal giudice, perché non sia mostrato ai figli e ai nipoti. Questa premura di genitori è singolare. Vuole na­scondere la sofferen­za di un vecchio, ren­derla come inesisten­te. Invisibile, come se quell’uomo fosse già morto.
Ma davvero, censu­rando una parte fon­damentale della vita, gli adulti proteggono i figli, o invece non proteggono se stessi da ciò che agli occhi loro, e non del figlio, è intollerabile? Sembra paradossale: in un tempo in cui tutto è visibile anche ai bam­bini, dalla pornografia alla violenza, pren­de forma un ultimo tabù: la malattia, l’in­validità, e quell’area grigia dell’assenza da sé, che a molti sembra una morte da vivi. L’ultimo tabù, l’inguardabile, l’osceno, è la malattia, e tanto più quella che paralizza, allontana – ineludibile primizia della mor­te.
  Eppure, chiunque non sia più un ragazzo ricorda di essere stato portato al capezza­le dei nonni, di averli visti magari in ago­nia; di avere avuto in casa un vecchio reso assente e bisognoso di tutto dalla demen­za. Veramente quel vedere ci ha danneg­giato? No: ci ha mostrato che esistono an­che la sofferenza e la fine, dunque ci ha spiegato qualcosa, della vita, di fonda­mentale. Certo, accanto ai bambini una volta c’erano adulti che sapevano stare di fronte alla sofferenza. Che, pure nella pau­ra e nel dolore, avevano la memoria di un senso; che rendeva la fine dei vecchi, e non solo quella dei vecchi, non assurda. La spe­ranza cristiana, magari neanche piena­mente confessata ma respirata da sempre, in una naturale osmosi, alleviava e faceva umanamente tollerabili le invalidità e le a­gonie. Dolore, ma non insensato e cieco: e dunque le stanze dei malati potevano ben essere aperte ai bambini. Che proprio da quei momenti erano, e sono ancora pro­vocati a farsi delle domande: per che cosa si vive e si muore, e cosa ne è di un nonno amato, quando sembra addormentato per sempre, e non riconosce più chi gli è caro. Domande che ne generano altre, che bru­ciano, che sfidano. Che fanno diventare grandi.
  Ma forse oggi si preferiscono figli inebeti­ti dal rumore, storditi dai consumi. e il più a lungo possibile ignari della sofferenza, del limite che, in quanto uomini, hanno scritto addosso. O forse sono i padri che, a­vendo perso la memoria di un senso, stan­no atterriti davanti a certe stanze di mala­ti. Lì dentro si è insediato, tenace, assurdo, il dolore: una faccenda che, senza speran­za, è atroce. Per questo vogliono che i loro figli non entrino, che i loro figli non veda­no. Porte chiuse. Tabù. Signor giudice, che mia figlia non veda quel nonno assente, lontano, muto. A cui io, signor giudice, non tollero di stare davanti.

 

 
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ESSERE E BENESSERE, SALUTE, DOLORI DI SCHIENA, PSICOTERAPIA DI GRUPPO, COMPORTAMENTI, PSICOLOGIA, SISTEMA SANITARIO

Post n°3786 pubblicato il 28 Febbraio 2010 da psicologiaforense

Mal di schiena? Si cura
con la psicoterapia di gruppo

Si impara a gestire il dolore e a cambiare atteggiamenti e comportamenti che possono determinarlo

 Il mal di schiena si combatte con la psicoterapia di gruppo. A dimostrarlo è uno studio di Sarah Lamb, dell'Università di Warwick, in Gran Bretagna, che ha coinvolto oltre 700 persone con mal di schiena acuto e cronico. Gli effetti della terapia cognitivo-comportamentale di gruppo sono visibili già a breve termine e perdurano un anno. A quattro mesi i benefici sono già comparabili a quelli di trattamenti quali agopuntura, ginnastica posturale, massaggi, manipolazioni della colonna vertebrale. Inoltre la terapia è costo-efficace, cioè determina un risparmio per il sistema sanitario rispetto alle terapie tradizionali.

«Il mal di schiena non è però un problema psicologico - ha sottolineato la psicoterapeuta e coautrice dello studio Zara Hansen - ma una terapia di gruppo mirata a cambiare atteggiamenti e comportamenti del paziente funziona». Il dolore lombare è una delle sei principali voci di costo per il sistema sanitario e, tenendo conto della sua diffusione, è anche la terza malattia più invalidante nei paesi occidentali. Il problema è che chi soffre di mal di schiena, per paura del dolore, invece di rimanere fisicamente attivo in accordo con le linee guida della gestione della patologia, si auto-preclude l'attività fisica.

 
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