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Post n°82 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
Tiepide ombre Tiepide ombre celate nelle stanze, legno dolce del mondo in un pomeriggio di giugno, fra onde polverose, sonnolente che si sollevano alte in un azzurro lento e ventoso in un azzurro che razza estremo e arduo, tra fuochi necessari, remoti specchi ustori di un destino in agguato tra voi e me in un pomeriggio del ’61 su un orlo del ’92 nel pulviscolo ferreo di un cuore in un umile suono in un salvo dolore
Lascia un segno nel celeste pomeriggio, brucia un’altra volta, passa ombra di terra salvata dal fuoco, da una forza più lenta, scura e sacra. Niente è più arduo di cio che appare semplice, affondato in un ginocchio che sanguina, o nella polvere di un viottolo che si curva per sempre, verso un altro confine, quando un fumo indiano sale, nell’aria spessa e odorosa, e già diviene potenza di una nuvola sposa. Ma chi cammina con passi solitari, tra ombre, nel soffio remoto di fruscianti mattine, e trova spighe di nomi, nubi, splendori di una vita lontana, pensa alle api silenziose, erranti in una personale arcadia, e già forza i cancelli di un buio più estremo. Nomi stordenti e felici di un cuore ormai severo, siete alle soglie immemori, sul primo gradino, in un tempo fisso, nel punto imo.
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Post n°81 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
Scrivi celato fra i rametti del cuore; serba doni umili, suoni sussurranti come una preghiera; dì quello che devi, custode dei nomi e dei semi, nelle estati che verranno (e negli autunni piovosi, nelle ruggini del tempo) – resta nella polvere di un noto confine.
È un mattino di luce quieta mi alzo, sono alla porta, guardo l’ombra scura che risale: o mia tazza profonda di terra e di ombra, o dolce orlo di miele che tocco... una corrente s’inchioda, resta sospesa davanti alle lance di una luce più grande...
Cerco nomi felici: oro, ripeto, cieli, meriggio, sole alto. Varco i tuoi, tempo, fiammanti cancelli; m’inoltro in un’aria tiepida, fra anse e canneti, in una verde corrente, per rive docili, ombrose, con voi, numi-custodi, fratelli di un argine più remoto, in una rada di frondoso sonno, in un salvo fuoco.
Invoco il silenzio fedele, taccio ogni nome, e il vostro, pensieri, suono potente e segreto; depongo su un’ara remota una parola che non compare; traduco un cielo sconfitto in rose di versi, in fuochi solitari. Viandante che passi, amico della polvere e del vento, onora i tuoi lari, qui brucia un grano d’incenso.
Ancora ti cuoce la polverosa Ancora ti cuoce la polverosa estate del sessantuno, quando le mattine si disfano con il sole già grande, cresce il meriggio cieco, e più buie ombre declinano sul mondo nel quale ci sei tu, accanto a un tronco smangiato dalla folgore crudele e un senso profondo di morte lucente com’è solo la vita che si scioglie a poco a poco in un alveare di anni forse più ansioso consumati tra strade di città grandi, troppo grandi per te rimasto sospeso fra due tempi che non si uniscono non possono, ma anzi si dividono tesi in un tenue elastico che si allunga, si allunga fragile corda ormai di un pensiero non mai mutato mentre il vento già discende sull’antico ballast, in un tardo pomeriggio di suoni festivi di agosto rosso e assoluto che ancora erompe in forme estreme, in fronde oscuramente stormenti fra le paglie del sonno leggero su un lino di azzurro ancora teso.
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Post n°80 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
Vieni ombra/ ombra vieni/ ombra ombra vieni oh vieni, buia sali tra i gradini, nel tempo Vienimi vieni vieni/ vienimi vieni vieni con ogni doglia, con tutte le furie con ciò che nell’ombra si sfoglia con quel che nell’ombra spuma Ombra vieni/ ombra ombra/ vieni ombra nel vento nel vento nel greve tormento vieni oh vieni tra i numeri, nel fuoco divieni canto roco Vieni oh vieni/ vieni oh vieni tra le forme del caso, vieni, batti contro gli spigoli, scendi obliosa su ciò che è stato, diventa nostro fiato Ombra resta/ resta ombra/ resta resta nella cupa fronda nella sola testa che geme che geme tra i rametti del caso nel cuore, nel seme invaso vieni, oh vieni/ vieni, oh vieni (ripetuto)
Tempi, che stabilite i comandi sulle cose con queste parole e non altre dette nel cuore di un’estate compiute, ripetute e celate sopra la terra e in ogni stagione restituitemi salvo e incolume nel senso che do alle mie parole in quel senso solitario con cui voglio che vengano dette, ascoltate e pensate e per voi tra i lari delle stanze e dei giardini tra gli spigoli del mondo
1 Dispongo la rosa accesa di scuro, di un perso fuoco lontano; il tavolo ronza; io rispondo alle vostre fiamme. Dico 2 Interrompo ogni verso; mi mortifico davanti a voi, rose di un’altra tenebra. Con gli occhi chiusi, penso a ciò che eravate. 3 Canto parole civili e vaste nubi, l’ombra del tempo che si oscura, giardini 4 Penso l’estremo del frammento con animo umile, devoto. Pronuncio versi semplici, incisi in legno di olmo. Voglio credere nel loro senso, nel loro silenzio di polvere. 5 Vengo qui, da voi, come in sogno deponendo orme invisibili
Ritorno ogni volta dove l’ombra trova il suo confine compagna del silenzio, nella polvere delle strade che svoltano contro cieli alti. (Chi passava, sollevando lo sguardo, vedeva oleandri ruvidi e selvosi, ancora celati in un sonno remoto). Tra i pochi frammenti di quel cielo fiammante e impervio rassicuro i vostri sciami ronzanti, e riprendo il cammino (oh, ma fra quali ombre e quali urti?). Di giugno, come vi ripeto, nell’ora del meriggio che acceca, della polvere e del fuoco, ai margini dei campi, in un impluvio verdissimo di ombre, tra quei segni, in quella direzione, con passi certi come un’antica preghiera
Rami, selve, nomi d’amore: di nuovo vi invoco. Salgo sulle terrazze, osservo i roghi di giugno fiammanti che si versano come quando, sollevando il legno delle palpebre, un mattino si alza lento, dietro gli uccelli del sonno che levano le loro ali variopinte. Sono per voi questi versi, ombre della prima vita, per voi, messaggeri dei nomi più segreti. Restate, briciole dell’antico, tra i rami immemori. Penso a ieri, a un tempo stranamente uguale e intanto ... |
Post n°79 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
* Le voci, padre, le senti nella notte, o in questa ora della veglia, quando guardi e là oltre il mare le donne attendono il tuo amore. È una sera in cui le madri sciolgono i capelli e nei letti stringono i bianchi vestiti delle nozze, sole nelle sponde larghe dove i figli sono passati e vanno ora coi loro figli a cercare sulle rive dei fiumi il sangue dei padri, poveri, sempre più poveri, con questi pani neri, insaziabili, in quell’odore forte di quell’estate. Tu la ricordi, padre, era mattina presto e la mano era vicina.
* Canto di una pena muta nel poco di una luce, in una croce, in un evento che rade il tempo dell’antico volto. Gli occhi che fissano lontano le stanze bianche, e invocano: "stringimi la mano, sorridi". Il canto di Dio dilungava nelle labbra la gioia e sfiorava i capelli nel gelo pungente, accanto alla stufa rossa di mattone che cuoceva il volto, e avvicinava a noi lo scarso pane. Abbracciamoci ancora, padre, senza fissare il silenzio più grave, in quest’ora santa e segreta.
* Li senti battere al portone e li scorgi uno a uno, mentre si perdono come piccoli fuochi nelle terre scure e nei poveri campi vedi le mani che sono morti segnali, pupille algide. Il cielo non sporge la sua volta di luci, e appare come folla adagiata sui marmi, adagiato nel silenzio tremante a seguire un’esile ombra.
* Ascolta il silenzio dei giorni, il colore bianco del vento, come un mare che mura le notti, e la dolce parola giunge dalla pianura agli sguardi dei vecchi, in questa fredda urna dove il bimbo felice alla torre rivolge la tenera occhiata del tempo, quando i carri solcavano le pietre di sangue e il grano nel suo odore di polvere invadeva i portici, oggi l’occhio di marmo entra nel volto della giovane donna che la piazza specchia su un lastricato di lumi.
* Batte nella notte il suono metallico, il gelido tocco che rende le pupille deserte. Batte nel tempo il mattino, ed erge fisso nella pianura il volto dell’uomo mangiato dal sole, che accompagna il transito segreto dei figli. Perse le tracce nel letto rifatto, rimane una croce, un ricordo di terra. Ai legni la rugiada marina punge e arrossa gli occhi silenziosi dei vecchi.
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Post n°78 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
* Saremo in un gelo pieno di braccia, nel lutto estremo come la pena della donna che lenta ripone gli abiti smessi da una morte. E la distanza lacera ancor prima che il dire piombi ogni cosa e trascini i corpi oltre il fiume, oltre le città, nella terra senza nome.
* Le vesti nere erano per gli occhi dei viandanti un grano amaro. Odori forti in quella estate sulle aie quando i carri passavano lentamente e solcavano la proda. Vicino si attendeva una luna marina, le case sfumavano in una foschia che non lasciava tracce sui nostri volti, e il freddo giungeva e portava sulle notti il suo silenzio.
Torino
Era un inverno freddo quando Meroni morì con la benda granata che gli fasciava la fronte, mentre Ferrini era l’eroe coraggioso dei ragazzi nel campetto vicino al fiume. Bandiere, bandiere che scavano le labbra, segnano la carne e ci parlano dell’audacia di guerrieri misteriosi. Io lo ricordo quando gli uomini sulle gradinate, dopo i suoi slanci di fuoco verso la rete, guardava senza un sorriso: Pulici era la forza disperata di genti che la terra nera del Filadelfia oppone. Volti segnati da una disgrazia antica, con le croci nel verde campo come sentinelle abbagliate dalle grida della domenica. Il colore che le maglie rendono intenso, il colore granata che nelle pupille scava e strugge fino al cuore.
* Si spengono in un orizzonte di neve i canti delle madri che invocano con occhi di sale. E il pane delle notti, degli uomini, delle voci vicine, a vigilare in una carne abbandonata, tra le campagne sacre e solitarie, nel vento che porta i nomi di un tempo in un buio amico. Nel silenzio che s’incela tra le curve rosate di fine estate, nei fiumi lontani che le sere riversano nelle ampie pianure. Nel canto di donne bianche della vita. Nei ricordi che lasciano la soglia priva di luci.
* Luce che scendi sul muro alto della radura, luce che scendi diafana sui letti, luce pallida come croci nella notte avvolta nel mistero degli elmetti che riempivano i campi. La notte dei giocattoli, quella che porti nel limitare dei tuoi occhi. Sul marmo da un eterno andare segnati, è stretto tra i visi il mare che fa sangue da luogo a luogo senza franare.
* Ci venne incontro e portò le mani giunte all’invocazione, noi muti, tesi nella direzione di un lume che si sfuoca alle pareti. La preghiera sentimmo giungere alle labbra. Chinammo il viso verso la terra nera, senza più croci, senza più afflitti, soltanto la fine neve vergava il volto. Le mani strette ai giocattoli, rimanemmo a lungo nel greto del fiume che portava il respiro, mentre l’inverno era finito. |
Inviato da: chiaracarboni90
il 31/05/2011 alle 11:36