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RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA MODERNO - CONTEMPORANEO

Post n°82 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

Tiepide ombre

Tiepide ombre

celate nelle stanze,

legno dolce del mondo

in un pomeriggio di giugno,

fra onde polverose, sonnolente

che si sollevano alte

in un azzurro lento e ventoso

in un azzurro

che razza estremo

e arduo,

tra fuochi necessari, remoti

specchi ustori

di un destino in agguato

tra voi e me

in un pomeriggio del ’61

su un orlo del ’92

nel pulviscolo ferreo di un cuore

in un umile suono

in un salvo dolore

 

Lascia un segno nel celeste pomeriggio

 

Lascia un segno nel celeste pomeriggio,

brucia un’altra volta, passa

ombra di terra salvata dal fuoco,

da una forza più lenta, scura e sacra.

Niente è più arduo di cio che appare

semplice, affondato in un ginocchio

che sanguina, o nella polvere di un viottolo

che si curva per sempre, verso

un altro confine, quando

un fumo indiano sale, nell’aria

spessa e odorosa, e già diviene potenza

di una nuvola sposa. Ma chi cammina

con passi solitari, tra ombre, nel soffio

remoto di fruscianti mattine, e trova

spighe di nomi, nubi, splendori

di una vita lontana, pensa

alle api silenziose, erranti in una

personale arcadia,

e già forza

i cancelli di un buio più estremo.

Nomi stordenti e felici

di un cuore ormai severo, siete

alle soglie immemori, sul primo gradino,

in un tempo fisso, nel punto imo.

 

 
 
 

RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA MODERNO - CONTEMPORANEO

Post n°81 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

Nella polvere di un noto confine

 

Scrivi celato

fra i rametti del cuore; serba

doni umili, suoni

sussurranti come una preghiera; dì

quello che devi, custode

dei nomi e dei semi, nelle estati

che verranno

(e negli autunni piovosi, nelle ruggini

del tempo)

– resta

nella polvere di un noto

confine.

 

 

È un mattino di luce quieta

 

È un mattino di luce quieta

mi alzo, sono alla porta, guardo

l’ombra scura che risale:

o mia tazza profonda

di terra e di ombra, o dolce

orlo di miele che tocco...

una corrente s’inchioda, resta

sospesa davanti alle lance

di una luce più grande...

 

 

Cerco nomi felici: "oro" ripeto

 

Cerco nomi felici:

oro, ripeto,

cieli, meriggio, sole alto. Varco

i tuoi, tempo, fiammanti cancelli;

m’inoltro in un’aria tiepida, fra

anse e canneti, in una

verde corrente,

per rive docili, ombrose,

con voi, numi-custodi, fratelli

di un argine più remoto,

in una rada di frondoso sonno,

in un salvo fuoco.

 

 

Invoco il silenzio fedele, taccio

 

Invoco il silenzio fedele, taccio

ogni nome, e il vostro, pensieri,

suono potente e segreto; depongo

su un’ara remota

una parola che non compare; traduco

un cielo sconfitto

in rose di versi, in fuochi

solitari.

Viandante che passi,

amico della polvere e del vento,

onora i tuoi lari,

qui brucia un grano d’incenso.

 

 

Ancora ti cuoce la polverosa

Ancora ti cuoce la polverosa

estate del sessantuno, quando

le mattine si disfano con il sole

già grande, cresce il meriggio cieco, e

più buie ombre declinano sul mondo

nel quale ci sei tu, accanto

a un tronco smangiato dalla folgore crudele

e un senso profondo di morte

lucente com’è solo la vita

che si scioglie a poco a poco

in un alveare di anni forse più ansioso

consumati tra strade di città

grandi, troppo grandi

per te rimasto sospeso fra

due tempi che non si uniscono

non possono, ma anzi si dividono

tesi in un tenue elastico

che si allunga, si allunga

fragile corda ormai

di un pensiero non mai mutato

mentre il vento già discende

sull’antico ballast, in un tardo

pomeriggio di suoni festivi

di agosto rosso e assoluto

che ancora erompe in forme estreme,

in fronde

oscuramente stormenti

fra le paglie del sonno leggero

su un lino di azzurro ancora teso.

 

 
 
 

RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA MODERNO - CONTEMPORANEO

Post n°80 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

CON PAROLE REMOTE

 

Canto di evocazione

 

Vieni ombra/ ombra vieni/ ombra ombra

vieni oh vieni, buia

sali tra i gradini, nel tempo

Vienimi vieni vieni/ vienimi vieni vieni

con ogni doglia, con tutte le furie

con ciò che nell’ombra si sfoglia

con quel che nell’ombra spuma

Ombra vieni/ ombra ombra/ vieni ombra

nel vento nel vento

nel greve tormento

vieni oh vieni tra i numeri, nel fuoco

divieni canto roco

Vieni oh vieni/ vieni oh vieni

tra le forme del caso,

vieni, batti

contro gli spigoli, scendi

obliosa su ciò che è stato,

diventa nostro fiato

Ombra resta/ resta ombra/ resta resta

nella cupa fronda

nella sola testa

che geme che geme

tra i rametti del caso

nel cuore, nel seme invaso

vieni, oh vieni/ vieni, oh vieni

(ripetuto)

 

 

Tempi, che stabilite i comandi sulle cose

Tempi,

che stabilite i comandi sulle cose

con queste parole

e non altre

dette nel cuore di un’estate

compiute, ripetute e celate

sopra la terra e in ogni stagione

restituitemi

salvo e incolume

nel senso che do alle mie parole

in quel senso solitario con cui voglio

che vengano dette,

ascoltate e pensate

e per voi

tra i lari delle stanze e dei giardini

tra gli spigoli del mondo

 

 

Penso l’estremo del frammento

1

Dispongo la rosa accesa di scuro,

di un perso

fuoco lontano; il tavolo ronza; io

rispondo alle vostre

fiamme. Dico

2

Interrompo ogni verso; mi mortifico

davanti a voi, rose di un’altra tenebra.

Con gli occhi chiusi,

penso a ciò che eravate.

3

Canto parole civili

e vaste nubi,

l’ombra del tempo che si oscura, giardini

4

Penso l’estremo del frammento

con animo umile, devoto.

Pronuncio versi semplici,

incisi in legno di olmo.

Voglio credere nel loro senso,

nel loro silenzio di polvere.

5

Vengo qui, da voi, come in sogno

deponendo orme invisibili

 

 

Di giugno, come vi ripeto, nell’ora

 

Ritorno ogni volta dove

l’ombra trova il suo confine

compagna del silenzio,

nella polvere delle strade che svoltano

contro cieli alti.

(Chi passava,

sollevando lo sguardo, vedeva

oleandri ruvidi e selvosi, ancora

celati in un sonno remoto).

Tra i pochi frammenti di quel cielo

fiammante e impervio

rassicuro i vostri sciami ronzanti, e riprendo

il cammino (oh, ma fra quali ombre e quali

urti?). Di giugno, come vi ripeto, nell’ora

del meriggio che acceca, della polvere e del fuoco,

ai margini dei campi, in un impluvio

verdissimo di ombre, tra quei segni,

in quella direzione, con passi

certi

come un’antica preghiera

 

 

 

Rami, selve, nomi d’amore: di nuovo

 

Rami, selve, nomi d’amore: di nuovo

vi invoco.

Salgo sulle terrazze, osservo

i roghi di giugno fiammanti

che si versano

come quando, sollevando il legno

delle palpebre, un mattino si alza

lento, dietro gli uccelli del sonno

che levano le loro ali variopinte.

Sono per voi questi versi, ombre

della prima vita, per voi, messaggeri

dei nomi più segreti.

Restate, briciole dell’antico,

tra i rami immemori.

Penso a ieri, a un tempo

stranamente uguale

e intanto

...

 
 
 

RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA MODERNO - CONTEMPORANEO

Post n°79 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

 

*

Le voci, padre, le senti nella notte,

o in questa ora della veglia,

quando guardi e là oltre il mare

le donne attendono il tuo

amore. È una sera in cui le madri

sciolgono i capelli e nei letti

stringono i bianchi vestiti

delle nozze, sole nelle sponde larghe

dove i figli sono passati

e vanno ora coi loro figli a cercare

sulle rive dei fiumi il sangue

dei padri, poveri, sempre

più poveri, con questi pani neri,

insaziabili, in quell’odore forte

di quell’estate. Tu la ricordi,

padre, era mattina presto

e la mano era vicina.

 

 

 

*

Canto di una pena muta

nel poco di una luce,

in una croce, in un evento

che rade il tempo dell’antico

volto. Gli occhi che fissano lontano

le stanze bianche, e invocano:

"stringimi la mano, sorridi".

Il canto di Dio dilungava

nelle labbra la gioia e sfiorava

i capelli nel gelo pungente,

accanto alla stufa rossa

di mattone che cuoceva

il volto, e avvicinava a noi

lo scarso pane.

Abbracciamoci ancora, padre,

senza fissare il silenzio più grave,

in quest’ora santa e segreta.

 

 

 

*

Li senti battere al portone

e li scorgi uno a uno,

mentre si perdono

come piccoli fuochi nelle terre

scure e nei poveri campi

vedi le mani che sono morti

segnali, pupille algide.

Il cielo non sporge

la sua volta di luci, e appare

come folla adagiata sui marmi,

adagiato nel silenzio tremante

a seguire un’esile ombra.

 

 

 

*

Ascolta il silenzio dei giorni,

il colore bianco del vento,

come un mare che mura le notti,

e la dolce parola giunge

dalla pianura agli sguardi

dei vecchi, in questa fredda

urna dove il bimbo felice

alla torre rivolge

la tenera occhiata del tempo, quando

i carri solcavano le pietre

di sangue e il grano

nel suo odore di polvere

invadeva i portici,

oggi l’occhio di marmo

entra nel volto della giovane donna

che la piazza specchia

su un lastricato di lumi.

 

 

*

Batte nella notte il suono metallico,

il gelido tocco che rende le pupille

deserte. Batte nel tempo il mattino,

ed erge fisso nella pianura il volto

dell’uomo mangiato dal sole,

che accompagna il transito

segreto dei figli. Perse le tracce

nel letto rifatto, rimane

una croce, un ricordo di terra.

Ai legni la rugiada

marina punge e arrossa

gli occhi silenziosi dei vecchi.

 

 
 
 

RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA MODERNO - CONTEMPORANEO

Post n°78 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

*

Saremo in un gelo pieno di braccia,

nel lutto estremo come la pena

della donna che lenta ripone gli abiti

smessi da una morte.

E la distanza lacera ancor prima

che il dire piombi ogni cosa

e trascini i corpi oltre il fiume,

oltre le città, nella terra senza nome.

 

 

 

 

*

Le vesti nere erano per gli occhi

dei viandanti un grano

amaro. Odori forti

in quella estate sulle aie

quando i carri passavano lentamente

e solcavano la proda.

Vicino si attendeva

una luna marina,

le case sfumavano in una foschia

che non lasciava tracce sui nostri volti,

e il freddo giungeva e portava

sulle notti il suo silenzio.

 

 

 

Torino

 

Era un inverno freddo

quando Meroni morì con la benda

granata che gli fasciava la fronte,

mentre Ferrini era l’eroe coraggioso

dei ragazzi nel campetto vicino al fiume.

Bandiere, bandiere che scavano

le labbra, segnano la carne

e ci parlano dell’audacia

di guerrieri misteriosi.

Io lo ricordo quando gli uomini sulle gradinate,

dopo i suoi slanci di fuoco verso

la rete, guardava senza un sorriso:

Pulici era la forza disperata

di genti che la terra nera del Filadelfia oppone.

Volti segnati da una disgrazia

antica, con le croci

nel verde campo come sentinelle

abbagliate dalle grida

della domenica.

Il colore che le maglie rendono

intenso, il colore granata

che nelle pupille scava

e strugge fino al cuore.

 

 

 

 

*

Si spengono in un orizzonte di neve

i canti delle madri che invocano

con occhi di sale.

E il pane delle notti, degli uomini,

delle voci vicine, a vigilare

in una carne abbandonata,

tra le campagne sacre e solitarie,

nel vento che porta i nomi

di un tempo in un buio amico.

Nel silenzio che s’incela tra le curve

rosate di fine estate, nei fiumi

lontani che le sere riversano

nelle ampie pianure. Nel canto di donne

bianche della vita. Nei ricordi

che lasciano la soglia priva di luci.

 

 

 

 

*

Luce che scendi sul muro

alto della radura, luce che scendi

diafana sui letti, luce

pallida come croci

nella notte avvolta nel mistero

degli elmetti che riempivano i campi.

La notte dei giocattoli, quella che porti

nel limitare dei tuoi occhi. Sul marmo

da un eterno andare segnati,

è stretto tra i visi il mare che fa

sangue da luogo a luogo senza franare.

 

 

*

Ci venne incontro e portò

le mani giunte all’invocazione,

noi muti, tesi nella direzione

di un lume che si sfuoca alle pareti.

La preghiera sentimmo giungere

alle labbra. Chinammo

il viso verso la terra nera,

senza più croci,

senza più afflitti, soltanto

la fine neve vergava il volto.

Le mani strette ai giocattoli,

rimanemmo a lungo nel greto

del fiume che portava il respiro,

mentre l’inverno era finito.

 
 
 
 
 

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