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Un blog creato da randagiamente il 22/07/2009

Vento notturno

I veri maestri non lasciano tracce, sono come il vento notturno, che ci sconvolge e ci lascia immutati, trascina con sé ciò che pensavamo di essere e non siamo mai stati e ci rende ciò che siamo sempre stati, fin dall'inizio. ____________________________________________ [blog per la consulenza filosofico-esistenziale]

 
 

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Il respiro dell'Io

Post n°17 pubblicato il 09 Aprile 2010 da randagiamente

 

Ogni discorso sul dono s’imbatte in modo quasi ineluttabile in alcuni termini che all’idea del dono stesso sono strettamente correlati. Due fra questi, probabilmente i più importanti, sono “reciprocità” e “riconoscimento”.

Nell’ambito di approcci che hanno rivelato esiti anche molto diversi tra loro, come quello sociologico e quello più strettamente filosofico, si è parlato molto del problema della reciprocità, nella discussione, che ha attraversato quasi tutto il Novecento, sul tema del dono. Il dono è stato persino definito da qualcuno, in modo vago ma difficilmente confutabile, “una qualche forma di reciprocità”, in base all’osservazione che difficilmente esiste un atto di donazione che non presupponga, anche se dilazionata nel tempo, una qualche necessità di ricambiare il dono con un contro-dono da parte del beneficiario iniziale, il quale, nel momento stesso in cui accetta ciò che gli viene offerto, viene a trovarsi immediatamente in una condizione di debito verso il donatore.

Ma esiste a mio avviso un’incongruenza in questo tipo di osservazione. Un conto è ricercare, come spesso è stato fatto, l’origine del fenomeno del dono, tramite indagini di antropologia culturale, in cui si sono analizzati fondamentalmente i rituali di popolazioni arcaiche. Altro è, invece, cercare di definire ciò che costituisce l’essenza dell’esperienza di dono. Partiamo, perseguendo questo secondo obiettivo, dal presupposto che, per cercare l’essenza di un concetto, bisogna purificarlo da ogni elemento inquinante. Se vogliamo, e secondo me dobbiamo, definire il dono in contrapposizione al semplice scambio di tipo commerciale, che ne costituisce non il contrario, ma il contraddittorio, allora dobbiamo innanzitutto mettere in risalto l’aspetto che più di ogni altro rappresenta la differenza cardine tra i due fenomeni. E ci sembra di poter identificare questo aspetto nell’implicazione di tipo emotivo, che caratterizza, o meglio, dovrebbe sempre caratterizzare, ogni vero atto di dono. Non si può, infatti, pretendere di giungere all’essenza di alcunché, fondando l’analisi sulle sue patologie e anomalie. Al di là delle frequenti dilatazioni e degenerazioni del concetto, l’atto donante in senso proprio deve investire innanzitutto un imprescindibile aspetto emozionale. E in tale atto, per definizione compiuto per-altri, non deve essere presente alcun risvolto utilitaristico, alcun per-sé, pena il suo slittamento verso qualcosa d’altro, che non può più essere chiamato dono. Se il dono è puro, e lo è quando l’intenzione donante è pura, esso è rivolto non certo ad una persona qualunque, ma ad una persona che viene ritenuta degna e meritevole della nostra attenzione, del nostro rispetto, della nostra stima, del nostro amore. Il vocabolario stesso utilizzato dagli autori che hanno parlato del dono è lo stesso vocabolario dell’amore. Il dono puro è rivolto ad una persona che riveste un’importanza che va salvaguardata, curata. Una persona cui si “vuole bene”, per la quale, cioè, si desidera il bene. Il primo e più immediato significato del dono è proprio questo simboleggiare e rappresentare, attraverso un oggetto perlopiù materiale, questi nostri sentimenti, trasposti nell’oggetto stesso, nei confronti di una persona che ai nostri occhi incarna una qualche forma di valore. Il dono quindi implica, innanzitutto ed essenzialmente, un riconoscimento di valore nei confronti del donatario.

La dinamica del dono però, come qualcuno ha sottolineato, si regge sui tre momenti della donazione, dell’accettazione e dello sdebitamento. E, come si è giustamente detto, perché tale meccanismo sociale funzioni, questi tre momenti sono tutti necessari, in un certo senso obbligatori. Ma questo tema dell’obbligo ad accettare e successivamente a ricambiare ha portato più di qualcuno fuori strada nelle sue considerazioni sul fenomeno del dono. M. Mauss, autore del famoso “Saggio sul dono” del 1923, intravede nel fenomeno del dono una sorta di equilibrio tra obbligo e libertà. Equilibrio concettualmente ben problematico, visto che i due termini sono pressoché antitetici. Infatti il dono, ben lungi dall’essere vincolato da obblighi, è essenzialmente un atto libero, e questa libertà è simboleggiata proprio dalla dilazione, anch’essa elemento tipico di ogni donazione.

Non si è fatto, a mio avviso, abbastanza attenzione a questo aspetto, che invece è uno dei più caratteristici e specifici dell’atto donante, il quale non può accettare una restituzione immediata, pena il suo snaturarsi in scambio, e in tal modo svilirsi. Fanno eccezione certi casi particolari, ad esempio le visite ufficiali tra personaggi con alte cariche istituzionali, in cui è prevista una cerimonia di scambio di doni, oppure anche, in ambito familiare, il caso simile ma eccezionale costituito dal Natale. Se esistesse un vero e proprio obbligo codificato, il ricambiare avverrebbe immediatamente. Ma in tal caso si perderebbero proprio quelle peculiarità che meglio di tutte le altre contraddistinguono il dono rispetto, appunto, al semplice scambio: la sorpresa, la libertà e la gratuità del gesto. La dilazione dello “sdebitamento”, invece, è proprio l’elemento che sta a simboleggiare la volontà di mantenere il donatario, almeno formalmente, libero dall’obbligo di ricambiare, in modo tale che, quando la restituzione, attraverso il contro-dono, avverrà, essa avrà i caratteri di un nuovo dono, e non dello “sdebitamento”, termine che abbiamo mantenuto tra virgolette in quanto fuorviante.

 

Se quindi, come abbiamo detto, l’elemento forse principale implicato nell’atto del dono nella sua espressione più pura è il riconoscimento del valore dell’altro, ecco che l’idea che prima sembrava costituire un problema, cioè come tenere insieme la gratuità e la libertà del dono con una sorta di “reciprocità obbligata”, si può forse sciogliere con questa considerazione: chi dona opera implicitamente un riconoscimento di valore nei riguardi del beneficiario, e questo stesso riconoscimento implica necessariamente la formale salvaguardia, da parte del donatore, della libertà dalla restituzione del donatario. Ma, allo stesso tempo, chi dona si aspetta, si potrebbe dire che esige, parallelamente, l’accettazione e la valorizzazione del suo dono, cioè uno speculare giudizio di valore relativo al gesto compiuto. E poiché nel dono stesso è presente in qualche modo la persona del donatore, essendo l’oggetto una certa proiezione di chi lo dona, l’accettazione del dono e l’attribuzione di valore al gesto implicano contemporaneamente un conferimento di valore al donatore. Ecco che allora la forma della reciprocità viene a coinvolgere non tanto e non direttamente il gesto del dono in sé, ma l’atto del reciproco riconoscimento. L’atto donante e l’aspetto della reciprocità sono quindi tenuti insieme dalla figura intermedia del riconoscimento di valore reciproco e dal formale riconoscimento della reciproca libertà dalla restituzione.

 

Ogni relazione tra persone è un processo dinamico. E ogni processo dinamico, di qualunque genere esso sia, così come qualsiasi forma di vita organica, ha bisogno di essere alimentato per continuare a sussistere. Una relazione, esattamente come un essere vivente, ha bisogno di essere nutrita e ha bisogno di respirare. E la dinamica del dono è l’aria fresca di cui ogni relazione ha bisogno per sopravvivere.

Una solida strutturazione di un io stabile e capace di amare è stata collegata da Melanie Klein[1] al sentimento della gratitudine provato durante l’infanzia da chi è stato accudito e a sua vota amato. Durante la propria storia, questo io avrà la possibilità stabilizzarsi e consolidarsi, alternando in modo sempre più consapevole processi di introiezione e di proiezione di una ricchezza interiore che verrà così elargita e re-introiettata, in modo sempre più sicuro. Anche l’io infatti, o la coscienza, sono processi dinamici, che vanno nutriti per rafforzarsi. Anche l’io ha bisogno di alimentarsi e di respirare. Quell’alternanza che la Klein identifica, di introiezione e proiezione, non è altro che l’alternanza del respiro dell’io vivente. Ma diciamolo meglio: non è corretto dire che l’io ha bisogno di questi scambi continui con il suo ambiente per vivere. L’io, in realtà, consiste in questi scambi. L’io è definibile solo come relazione, quindi è, propriamente, questa relazione continua. L’io è il suo stesso respiro.

Il reciproco riconoscimento è il fondamento di ogni forma di relazione, il primo passo dell’uno verso l’altro per andare ad aprire insieme, ogni volta, un nuovo orizzonte di significato ad un’esistenza che non si può mai, in alcun modo, considerare né definire prescindendo dal costante rapporto con l’altro da sé. Vivere significa essere in relazione. La vita è relazione. Relazione di dipendenza da chi dà a noi la vita, inizialmente. E poi costruzione, col tempo, di una possibilità di relazione sempre più bilanciata nel computo del dare-avere, sino a giungere, con la crescita e la maturazione personale, alla capacità di una relazione puramente donativa, in cui il piacere di dare sia la regola e la misura della nostra capacità di amore verso chi ci è caro. Il lungo percorso che ci porta lentamente alla nostra maturazione come esseri umani è il cammino verso relazioni in cui la nostra autonomia si afferma nella capacità di dare anziché chiedere. Il percorso più autentico dell’essere umano è un cammino di apertura, un cammino verso l’amore. Il cammino verso il dono di sé.

 



[1] M. Klein, Invidia e gratitudine, 1957, trad. it. di L. Zeller Tolentino, G. Martinelli, Firenze 1985.

 
 
 
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INTENZIONI

Mi piace immaginare questo blog come un luogo di magia.

La magia che si cela in ogni nuovo incontro, in ogni nuovo scambio, in ogni neonato rapporto tra esseri umani.

Vorrei che chi passa di qui lasciasse un semino su questa terra. Io mi impegno a inumidirlo. Fra tanti, magari, qualcuno germoglierà e fiorirà. Ma dev'essere un semino autentico, non riciclato. Una piccolissima parte di voi.

Qui sopra c'è una dicitura pretenziosa: consulenza filosofico-esistenziale. Non sorridete, mettetevi in gioco. Non fate discorsi intelligenti, ma discorsi veri. Raccontate le vostre gioie e le vostre cicatrici, anziché esibirvi in pubbliche  masturbazioni mentali (per quello basto io...). Ci capiremo. E sarà bello, ve lo assicuro.

r.

 

"BUON SENSO..."

"Quando più di due persone si dicono d'accordo con me, comincio a temere di aver detto qualche idiozia..." (O. Wilde)

               

 

AMORE E VOLONTà

"L'anima nobile, l'anima che ama infinitamente, non ha più volontà, è disappropriata di se stessa e del suo volere. Chi vuole non ama. La fine della volontà, che è sempre e comunque egoistica, significa fine dell'amore come desiderio. Ma se questa fine avviene per la traboccante ricchezza dell'amore stesso, l'anima cessa di amare perché diventa essa medesima Amore." (M. Vannini, Il volto del Dio nascosto)

 

AMORE E RAGIONE

 

La ragione discrimina, l’amore assimila.

La ragione separa e distingue, l’amore fonde e confonde.

La ragione difende, l’amore si arrende.

La ragione si arrocca e s’impone, l’amore cede senza condizione.

La ragione definisce e chiarisce, l'amore sfuma contorni e colori

di un mondo sognante.

 

 

AMORE E UMILTà

L’amore nasce solo quando e se l’io fa un passo indietro, passo che consiste nell’anteporre il bene di un altro al nostro. Ma ciò non si verifica se non attraverso l’umiltà. Chi s’impone non ama, questa è una verità semplice ma inconfutabile. Il che non significa doversi porre in una condizione di inferiorità o sudditanza, ma anzi in una posizione molto diversa, che consiste in una capacità di accettazione incondizionata, priva di giudizio e di pregiudizio, atteggiamento concesso esclusivamente alle persone forti, perché, al contrario, non c’è persona più fragile e meschina di chi ha bisogno di imporsi sugli altri per affermare se stesso. Laddove invece l’umiltà, che pur viene spesso scambiata dagli ignoranti per arrendevolezza e passività, è, al contrario, la virtù di chi veramente sa dare e sa darsi.

 

SI AMA ANCHE SENZA CONOSCERE

"Amo una cosa sola, e non so cosa sia:

perché non la conosco, per questo io l’ho scelta."

(A. Silesius, Il pellegrino cherubico)

 

PER TUTTI I SUPERSTIZIOSI CHE SI DICONO CREDENTI

"Non voglio aver nulla a che fare con un amore che sia per Dio o in Dio. Questo è un amore che il puro amore non può tollerare; perché il puro amore è Dio stesso." (S. Caterina da Genova)

 

SENZA PERCHé

Non ha un perché la rosa: fiorisce perché fiorisce, questo è tutto.

Non bada a sé e non chiede se qualcuno la vede.

(A. Silesius, Il pellegrino cherubico)

 
 
 
 

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