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Un blog creato da randagiamente il 22/07/2009

Vento notturno

I veri maestri non lasciano tracce, sono come il vento notturno, che ci sconvolge e ci lascia immutati, trascina con sé ciò che pensavamo di essere e non siamo mai stati e ci rende ciò che siamo sempre stati, fin dall'inizio. ____________________________________________ [blog per la consulenza filosofico-esistenziale]

 
 

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“Libero arbitrio” è un ossimoro

Post n°16 pubblicato il 06 Gennaio 2010 da randagiamente

 

"La mia libertà finisce dove comincia la tua. Sembra un bel principio. In realtà proclama tutta l'insufficienza umana del liberalismo, libertà dei forti, e peggio che mai del liberismo, libertà dei divoratori. Significa, quel detto, che le nostre libertà sono separate: non si sostengono l'una con l'altra. Peggio, sono alternative: perché cominci la tua deve finire la mia. E quindi viceversa: perché io possa cominciare ad essere libero, tu devi finire di esserlo. Essere libero vuol dire non avere l'altro tra i piedi. E' la libertà dall'altro.” (Alessio Patti)

 Quando si leggono le tesi dei principali autori, cristiani o meno, sul libero arbitrio, e quindi sulla libertà dell’uomo, non si capisce mai bene quale sia il concetto di libertà cui essi si riferiscano.

Sembra inoltre che l’idea stessa di cos’è l’uomo, e quando, a quali condizioni esso si possa chiamare tale, sia già data, e che la sua libertà non consista altro che nella possibilità di scegliere “arbitrariamente” e indifferentemente il bene o il male (questa è per lo più l’idea del libero arbitrio). La motivazione che viene addotta per giustificare questa concezione è che se l’uomo non fosse libero di scegliere il male non avrebbe alcun merito nello scegliere il bene, ossia che l’uomo “deve” essere libero di agire per il bene o per il male, altrimenti non avrebbero più senso la virtù o il peccato, la salvezza o la dannazione, il paradiso e l’inferno (concezione “retributiva” della morale).

A me quest’idea di libero arbitrio sembra francamente orribile e molto poco “cristiana”. La sua origine, a mio avviso, sta nel senso di appartenenza ad un ristretto gruppo di “eletti”, i quali, essendo gli unici giusti, gli unici a conoscere il bene, pretendono di meritare (solo loro) la beatitudine eterna (che poi sarebbe una specie di “gratitudine” divina), mentre vorrebbero, più o meno inconfessabilmente, veder bruciare i “pagani” (tutto il resto dell’umanità, o giù di lì) tra le fiamme eterne dell’inferno.

Mi spiego.

Per definire cosa sia un uomo libero bisogna prima chiarire cos’è un uomo, e cosa lo renda libero, in cosa consista la sua libertà.

Banalmente: un uomo è libero, innanzitutto, quando non è schiavo. Purtroppo non nasciamo tutti e sempre liberi, anche se è molto diffusa e quasi assiomaticamente accettata l’idea della libertà come tratto distintivo dell’essere umano. Invece, purtroppo, taluni (ahimè, la gran parte) nascono schiavi. Alcuni nascono in condizioni di assoluta miseria, nella difficoltà o impossibilità, talvolta, ad accedere alle più elementari, basilari necessità (cibo, acqua, vestiti, una casa). Altri invece queste necessità le vedono soddisfatte, ma solo queste: si può nascere in un paese più fortunato, ma essere ugualmente lontani dal fondamentale diritto ad un’infanzia ed un’adolescenza serene, essendo esposti ad un ambiente (certi quartieri, certe periferie, ad esempio, di moltissime grandi o piccole città in tutto il mondo) in cui si può crescere fisicamente, ma lo si fa immersi nell’abuso, nella sopraffazione, nella violenza, nell’ignoranza, nella delinquenza diffusa. Chiediamoci: un bambino che nasca e cresca in queste condizioni, quando avrà raggiunto la maggiore età sarà, solo per questo, nelle condizioni ottimali e sufficienti per poter essere definito un “uomo libero”? Sarà forse nelle condizioni ottimali per poter scegliere “a sua discrezione” il bene o il male?

Qualcuno ha detto che “un bambino diventa ciò che vive”. Ma allora, che tipo di uomo diventerà chi ha la sventura di nascere e crescere in un ambiente in cui la “normalità” è rappresentata dalla violenza, dal sopruso, dall’ignoranza?

Un uomo dovrebbe, innanzitutto, essere posto, fin dal momento della sua nascita, nelle condizioni di poter diventare “un uomo”. Un uomo, prima di essere “libero di”, deve essere “libero da”: dalla fame, dalla miseria, dalla violenza, dall’odio, dalla sopraffazione, dall’ignoranza. In una parola, come abbiamo visto, dal male.

Allora, forse, si potrà parlare di “uomo libero”. Ma questa sua “libertà” coinciderà, appunto, con il suo esser libero dal male e, grazie a ciò, con il libero e pieno sviluppo della sua “umanità”. Un uomo non si può definire libero solo perché dispone della possibilità di fare questo o quello a suo arbitrio. Un uomo è libero quando ha avuto e ha la fortuna e la possibilità di sviluppare appieno le sue potenzialità di essere umano. Un uomo sarà tanto più libero quanto più crescerà circondato e avvolto dall’affetto di una famiglia, in un ambiente in cui poter trovare attenzione, rispetto, stimoli positivi, incoraggiamento, sostegno, incitamento a dare il meglio di sé. In una parola, amore.

Se entriamo in quest’ottica, vedremo allora come sia stridente e assurda l’idea del libero arbitrio. Direi che l’espressione stessa diventa un ossimoro. La vera libertà è libertà dall’arbitrio. Libertà non significa possibilità di scegliere il male, ma trovarsi nelle condizioni in cui sia possibile (e a quel punto diventi semplice e naturale) scegliere il bene. Ripeto: un uomo libero non è tale in quanto “libero di”, ma in quanto “libero da”. In quanto libero dal male.

Si potrebbe obiettare che le condizioni di grave disagio da noi indicate non possono portare fatalmente ed immancabilmente ad un certo ben preciso esito, in quanto rimane sempre e comunque, anche se tra le mille difficoltà del caso, uno spazio, per quanto esiguo, alla libera scelta del singolo. Qui l’argomentazione deve essere attenta. Noi non stiamo negando che questo spazio esista. Stiamo negando che esso coincida con il concetto classico di libero arbitrio. La libertà non è quella “situazione felice” che ci consente di scegliere indifferentemente, a nostro piacimento, il bene o il male. La libertà è il bene. Certamente, anche chi si trova a vivere nelle condizioni più disagiate può arrivare a scegliere il bene. Ma lo fa nell’esatto istante in cui sceglie di essere libero. La libertà non è il presupposto per la scelta del bene, ne è piuttosto la conseguenza.[1]

La libertà non è, come tanti pensano, un tratto originario dell’umanità. Se esiste un tratto originario, è più credibile che esso sia la schiavitù, basti pensare ad un neonato umano, che, a differenza di quasi tutte le specie animali, possiede, alla nascita, un grado di autonomia pressoché nullo, dipendendo totalmente da altri per tutte le proprie necessità, anche le più basilari. Un cucciolo di cane o di gatto vanno autonomamente verso la mammella della madre, mentre il cucciolo d'uomo non sa fare nemmeno questo. La libertà, quindi, non è qualcosa di già dato, fin dall’inizio. Al contrario, la libertà è un affrancarsi dalla schiavitù, è lo sviluppo graduale di un'autonomia, una conquista, faticosamente costruita, mattone su mattone, dal nostro costante impegno e dalla nostra inesausta tensione al bene.

Inoltre: siamo esseri mortali. Quando scegliamo, lo facciamo sempre nel dubbio e nell’incertezza. Quante volte, in tutta la nostra vita, abbiamo la fortuna di fare una scelta nell’assoluta certezza e sicurezza di scegliere per il bene? Ossia, quando mai accade, nella vita di un uomo, di incontrare e riconoscere in maniera inequivocabile il “bene” (un bene che non sia il nostro solito bene condizionato, limitato, valido per noi o per qualcuno che ci è vicino, che però spesso, fatalmente, viene a coincidere con il male per qualcun altro)? Azzardo: mai.

Freud sosteneva che, svolgendosi la nostra vita interiore per il 90% a livello inconscio e solo per il rimanente 10% nella coscienza, le nostre azioni sono nella stessa proporzione determinate da motivi inconsci, che poi abbiamo il nostro bel daffare a interpretare coscientemente e giustificare razionalmente. I motivi veri delle nostre scelte ci rimangono per lo più sconosciuti, e il vero “intellettualismo etico” è quello di chi pensa che ogni nostra azione sia pensata e voluta consapevolmente.

La nostra volontà ha una libertà d’azione enormemente più limitata di quanto non pensi la stragrande maggioranza dei filosofi.[2]

Quando scegliamo, siamo sempre “strattonati” da ogni parte, dai nostri istinti, dai nostri desideri, dalle nostre pulsioni, passioni, emozioni. Dai nostri pregiudizi, dai nostri sensi di colpa. Il nostro bene non è mai un bene assoluto, ma sempre un bene finito, relativo. Relativo perché limitato, relativo perché riguarda sempre qualcuno che ci è caro, o noi stessi. Può corrispondere a ciò che io considero bene per me, in quel determinato momento, in quella determinata situazione. Ma può, allo stesso tempo, essere male per chi mi sta vicino, e io posso anche non rendermene conto, perché sono solo un essere umano, esposto a fraintendimenti ed errori. Si può fare il male (e anche il bene) senza volerlo. Oppure si può sceglierlo, volerlo e cercarlo, ma allora, vi chiedo nuovamente: pensate che chi agisce in questo modo sia una persona “libera”? Tutt’altro.

Il male, verso gli altri o verso se stessi, viene scelto sempre e solo a causa di una carenza di libertà. Chi fuma sa di farsi del male, ma continua a farlo perché, come si dice comunemente, è “schiavo del fumo”. Il male è un deficit di libertà. Il male è una carenza. Principalmente d’amore. Chi vive nell’amore non è affatto “libero” di scegliere il male, perché la libertà esiste solo nell’amore, e scegliere il male vorrebbe dire rinunciare alla propria stessa libertà, e rendersi schiavo. La Libertà è solo nell’amore, e si definisce solo come possibilità di riscattarci dal male. Chi ama veramente è “libero dal male”, così come dal “bene relativo”, perché desidera, vuole, brama, solo il bene non per sé, ma “di per sé”. In questo senso, “libero arbitrio” è un ossimoro, perché il concetto di libertà che abbiamo descritto fa a pugni con l’arbitrio. L’uomo libero è, innanzitutto e soprattutto, libero dal male. Il Dio del libero arbitrio è un dio che ci mette alla prova, un po’ perfido, tendendoci sempre qualche trabocchetto, un dio che ci interroga, e ci promuove o ci boccia a seconda di come gli rispondiamo. Ma il Dio che noi preghiamo, invece, è un buon padre, il Padre Nostro, cui chiediamo, con fiducia e speranza: “... e non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal male.” Amen.

 



[1] Non ho ancora incontrato, a tutt’oggi, un pensatore che abbia concepito in questo modo l’idea di libertà. Sarei grato a chi avesse suggerimenti in merito…

[2] Sbaglia quindi, a mio avviso, anche Kierkegaard, quando critica le tesi socratiche argomentando che se esse fossero vere il male non esisterebbe. E sbaglia per difetto, vedendo cioè solo la metà del problema: non solo il male assoluto in realtà non esiste, ma nell’agire dell’uomo perlopiù non esiste nemmeno il bene, proprio perché in realtà non esiste, o quantomeno è sempre molto insufficiente, la consapevolezza dei veri motivi che ci portano ad agire in un modo piuttosto che in un altro! È questo che aveva intuito Kant quando scrisse: “forse non è mai esistita un’azione veramente morale”.

 
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INTENZIONI

Mi piace immaginare questo blog come un luogo di magia.

La magia che si cela in ogni nuovo incontro, in ogni nuovo scambio, in ogni neonato rapporto tra esseri umani.

Vorrei che chi passa di qui lasciasse un semino su questa terra. Io mi impegno a inumidirlo. Fra tanti, magari, qualcuno germoglierà e fiorirà. Ma dev'essere un semino autentico, non riciclato. Una piccolissima parte di voi.

Qui sopra c'è una dicitura pretenziosa: consulenza filosofico-esistenziale. Non sorridete, mettetevi in gioco. Non fate discorsi intelligenti, ma discorsi veri. Raccontate le vostre gioie e le vostre cicatrici, anziché esibirvi in pubbliche  masturbazioni mentali (per quello basto io...). Ci capiremo. E sarà bello, ve lo assicuro.

r.

 

"BUON SENSO..."

"Quando più di due persone si dicono d'accordo con me, comincio a temere di aver detto qualche idiozia..." (O. Wilde)

               

 

AMORE E VOLONTà

"L'anima nobile, l'anima che ama infinitamente, non ha più volontà, è disappropriata di se stessa e del suo volere. Chi vuole non ama. La fine della volontà, che è sempre e comunque egoistica, significa fine dell'amore come desiderio. Ma se questa fine avviene per la traboccante ricchezza dell'amore stesso, l'anima cessa di amare perché diventa essa medesima Amore." (M. Vannini, Il volto del Dio nascosto)

 

AMORE E RAGIONE

 

La ragione discrimina, l’amore assimila.

La ragione separa e distingue, l’amore fonde e confonde.

La ragione difende, l’amore si arrende.

La ragione si arrocca e s’impone, l’amore cede senza condizione.

La ragione definisce e chiarisce, l'amore sfuma contorni e colori

di un mondo sognante.

 

 

AMORE E UMILTà

L’amore nasce solo quando e se l’io fa un passo indietro, passo che consiste nell’anteporre il bene di un altro al nostro. Ma ciò non si verifica se non attraverso l’umiltà. Chi s’impone non ama, questa è una verità semplice ma inconfutabile. Il che non significa doversi porre in una condizione di inferiorità o sudditanza, ma anzi in una posizione molto diversa, che consiste in una capacità di accettazione incondizionata, priva di giudizio e di pregiudizio, atteggiamento concesso esclusivamente alle persone forti, perché, al contrario, non c’è persona più fragile e meschina di chi ha bisogno di imporsi sugli altri per affermare se stesso. Laddove invece l’umiltà, che pur viene spesso scambiata dagli ignoranti per arrendevolezza e passività, è, al contrario, la virtù di chi veramente sa dare e sa darsi.

 

SI AMA ANCHE SENZA CONOSCERE

"Amo una cosa sola, e non so cosa sia:

perché non la conosco, per questo io l’ho scelta."

(A. Silesius, Il pellegrino cherubico)

 

PER TUTTI I SUPERSTIZIOSI CHE SI DICONO CREDENTI

"Non voglio aver nulla a che fare con un amore che sia per Dio o in Dio. Questo è un amore che il puro amore non può tollerare; perché il puro amore è Dio stesso." (S. Caterina da Genova)

 

SENZA PERCHé

Non ha un perché la rosa: fiorisce perché fiorisce, questo è tutto.

Non bada a sé e non chiede se qualcuno la vede.

(A. Silesius, Il pellegrino cherubico)

 
 
 
 

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