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NON CAMMINARE SCALZO DI RITA PACILIO

Post n°11 pubblicato il 30 Dicembre 2011 da elenavarriale1

 

 

Nella carne vivida degli spasmi

Recensione di

Non camminare scalzo

di

Rita Pacilio

 

 

                                       Image and video hosting by TinyPic

 

Dolore, cicatrici e ferite insanabili che dilagano ed ardono nelle viscere di bambina violata  e di donna incompiuta. Sono questi i protagonisti dell’intenso monologo teatrale “Non camminare scalzo” di Rita Pacilio, pubblicato da Edilet.

“Io scrivo della carne che brucia, dell’aria che penetra l’umido che respira e si apre in penombra, in silenzio, in un senso disperso, nell’unico senso che conosce un dito, la mano” scrive l’autrice. L’intento è dunque chiaro: non solo raccontare, dare voce al dolore altrui, ma affondare con le mani e con le parole nella carne vivida degli spasmi. Precipitare “scalza” nella sofferenza e nel delirio del patimento usando un doppio binario stilistico in cui la prosa del racconto evolve fino a diventare poetica del tormento.

Ha infatti bisogno del verso Rita Pacilio per raccontare l’orrore dello stupro subito da una bambina: “Era mio padre. Avevo cinque anni/e due mesi, la sua schiava bambina,/la sua puttana, forse persi i sensi,/quella prima volta, forse persi/la ragione, forse persi per sempre, la mia parte migliore, quella che ognuno ha dentro/in quella macchia di sangue e fuoco sul lenzuolo”.

Ciò che sorprende e colpisce nella scrittura della Pacilio è il rispetto, la leggerezza ed il senso pieno della pietas anche quando deve narrare la crudeltà di una madre che si accanisce sul corpo della sua bambina: “Mia madre era l’unica persona/a cui avrei voluto dare un bacio./La seguivo per casa. Ne conoscevo gli umori./L’amavo senza remore,/i miei pensieri le imploravano/ una carezza. A me sapeva dare/solo dolore.”

George Bernanos ha scritto: “Chi cerca la verità dell’uomo deve farsi padrone del suo dolore”. Fare i conti col dolore significa quindi conoscere l’uomo nella sua essenza più intima e l’autrice sa che il dolore spesso è l’altra faccia del piacere. Non a caso, l’incontro sessuale e d’amore tra la protagonista ed il suo uomo che divide con un’altra viene raccontato senza veli e senza falsi pudori: “Giro con un dito in girotondo/al clitoride in piazza…e fa fontana!”

Non camminare scalzo è dunque un testo che non si limita solo a dare voce agli abissi umani, ma ricerca ed osa, nello stile e nel racconto. Va oltre, entra e fruga nelle cicatrici con la consapevolezza che solo attraversando tutte le spirali, le doglie del patimento, è possibile sfiorare, comprendere e “dominare” le afflizioni dell’anima: “rosa mi chiamano ma nasco spina/non so dirti l’attesa senza fondo,/è livida la mia profondità”.

 

                    Elena Varriale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
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