"Fa' come se fossi a casa tua,
ma non dimenticare che qui io sono a casa mia."
Jules Renard (1864-1910)
ma non dimenticare che qui io sono a casa mia."
Jules Renard (1864-1910)
“Non sono sicuro di averti dentro di me, né di essere dentro di te, e neppure di possederti” replicò lui. “E, in ogni caso, non è al possesso che aspiro. Credo invece che siamo entrambi dentro un altro essere che abbiamo creato, e che si chiama ‘noi’.
~ da "I ponti di Madison County" ~
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Post N° 165
Post n°165 pubblicato il 07 Novembre 2008 da reiyel90
So che non è un argomento allegro, e che se proprio dovrà essere, «Centre du donne du corps» a Parigi Donate il vostro corpo alla scienza». Dall’Università di Torino, dipartimento di Anatomia e Medicina legale, un grido d’aiuto alla scienza. Per formare i chirurghi di domani non basta un libro di testo né la simulazione su un manichino: occorre pratica, e cadaveri sui quali esercitarsi, sperimentare tecniche, tentare nuove metodiche, eventualmente sbagliare (oggi) per saper fare bene (in futuro). Ma perché tutto ciò sia possibile servono corpi da incidere, ricucire, riaprire. E quindi qualcuno che li conceda alla scienza. Nel freddo linguaggio della medicina si chiamano «dissezioni». In quasi tutti i Paesi occidentali la donazione dei cadaveri a scopo di studio è una pratica diffusa, che non scandalizza né trova ostacoli. «In Italia - spiega la professoressa Grazia Mattutino, del Laboratorio per lo studio del cadavere che ha sede in via Chiabrera dove un tempo c’era l’obitorio - la legge non vieta di disporre che le proprie spoglie siano “prestate” per la formazione, ma non esistono norme precise, è un argomento di cui nessuno parla e un’opportunità che pochi quindi conoscono». Dal 2001 a oggi, al Laboratorio sono giunti soltanto sei corpi. Non bastano, per le esigenze dell’Università: «La conseguenza - spiegano i dottori Filippo Castoldi e Roberto Rossi, ricercatori del dipartimento di Ortopedia - è che studenti e specializzandi continueranno a esser costretti ad andare periodicamente all’estero per giornate full-immersion di pratica». Francia, Austria, Spagna, Inghilterra: i Centri per la donazione del corpo sono una realtà consolidata e uno strumento prezioso per tante prestigiose Università straniere. In Italia è una grave lacuna nella formazione. Ada Campanella, professoressa di Matematica del Segrè oggi in pensione, lo chiama, sdrammatizzando, «il club dei cadaveri». Ricorda gli anni in cui il fratello medico - che oggi non c’è più - raccontava dell’utilità di quei corpi nella formazione dei giovani dottori». La molla che l’ha spinta a donare il proprio corpo, quando anche lei non ci sarà più. «All’epoca - dice - molti cadaveri utilizzati nelle Università erano barboni o persone di cui nessuno chiedeva le spoglie per il funerale». «Oggi - prosegue la professoressa - penso che ognuno di noi dovrebbe aiutare lo sviluppo della medicina: il nostro corpo, quando a noi non servirà più, può essere utile a qualcuno». Donare se stessi è una tappa intermedia prima della sepoltura o la cremazione. Non impedisce la donazione degli organi. «Il corpo - spiega sempre Grazia Mattutino - viene messo a disposizione della scienza solitamente per un periodo di sei mesi o un anno, trascorso il quale è restituito alla famiglia per la sepoltura, la tumulazione o la cremazione». Chirurghi in formazione hanno sperimentato e messo a punto interventi innovativi o particolarmente complessi. Specialisti hanno affinato tecniche. Numerosi articoli su prestigiose riviste scientifiche internazionali nascono dalla sperimentazione su cadavere. Oggi a Torino c’è una sola salma a disposizione, anche se 40 persone hanno firmato una dichiarazione perché il loro corpo sia utilizzato un giorno a fini di studio. «E’ un grande dono, l’ultimo possibile, e richiede una grande sensibilità». |
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