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post n.72

Post n°72 pubblicato il 07 Marzo 2023 da romhaus
 
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Tratto da una storia vera...

Ecco immaginatevi un giovane solitario, seduto in una vecchia biblioteca, intento a scrivere, a pensare; c’è una finestrella che da sul cortile, e da quella finestra si sente una voce gioiosa, innocente piena di «pensieri soavi, speranze e cori».

Quella voce apparteneva alla figlia di un umile cocchiere. Il giovane interrompeva il suo studio «matto e disperatissimo» soltanto per ascoltarla cantare e si innamorò della semplicità di questa ragazza, anche se apparteneva a un ceto sociale diverso dal suo. Lui era un nobile, un conte, lei una comunissima «tessitora». Ovviamente non riuscì mai a dirglielo. E non ne ebbe neanche il tempo perché lei morì a ventun’anni, stroncata dalla tisi.

E dieci anni dopo lui scrisse per lei una delle sue poesie più belle e intense per raccontare questa storia tragica di cui questa è la parafrasi:

Silvia, ricordi ancora quel tempo della tua breve vita mortale
quando nei tuoi occhi ridenti e timidi splendeva la bellezza,
e tu, felice
e pensierosa, ti avvicinavi al fiorire della giovinezza?
Il tuo canto perpetuo risuonava
nel silenzio delle stanze,
e nelle vie attorno,
quando sedevi presa dai lavori femminili,
felice di quel futuro misterioso che provavi a immaginarti.
Era il maggio
profumato: e tu passavi così ogni tua giornata.
Io, di tanto in tanto,
trascurando
gli studi amati e le pagine su cui mi affaticavo,
dove la mia giovinezza e il mio corpo andavano consumandosi,
dai balconi della casa paterna mi mettevo ad ascoltare il suono della tua voce,
e il ritmo rapido delle tue mani affaticate nel tessere la tela.
Guardavo il cielo sereno, le vie color dell’oro, le campagne,
e da un lato il mare, dall’altro le montagne.
Non esistono parole umane per descrivere ciò che provavo in quei momenti…
Che pensieri soavi, che speranze,
che emozioni avevamo, mia cara Silvia!
Come ci sembrava la vita umana e il destino!
Quando ripenso a speranze così grandi,
un dolore disperato mi strugge il cuore,
e torno a dispiacermi della mia sventura.
O natura, natura, perché non restituisci mai quello che hai promesso?
Perché inganni così tanto le tue creature?
Tu, prima che l’inverno inaridisse l’erba,
Silvia, piccola mia, sfinita e vinta da una malattia occulta, morivi.
E non vedevi
il fiore dei tuoi anni,
e non ti accarezzava il cuore
la lusinga per i tuoi capelli nerissimi,
e per il tuo sguardo vergine che fa innamorare;
né le tue amiche, nei giorni di festa, chiacchieravano d’amore con te.
Dopo non molto, morì pure
la mia speranza:
anche a me il destino ha negato gli anni della giovinezza.
Ahimè,
come, come te ne sei andata, cara compagna della mia gioventù,
mia speranza rimpianta.
Sarebbe questo quel mondo?
Questi i piaceri, l’amore, le azioni, gli eventi su cui tanto abbiamo fantasticato?
È davvero questa la sorte del genere umano?
All’apparire della verità tu, misera, sei caduta:
e da lontano con la mano mi indicavi una tomba spoglia e la fredda morte.

 

Ovviamente lui è Giacomo Leopardi e lei Teresa Fattorini

 

 
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