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Il mondo insieme a te. Secondo me.

 

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Mio fratello.

Post n°519 pubblicato il 16 Luglio 2012 da arjanna83

Da piccoli era una rissa dietro l'altra, ma non eravamo capaci di stare lontani. Poi è arrivata l'età dell'adolescenza, io ero quella scalmanata e ribelle, lui calmo e pacato. Manca a dirlo, il cocco di mamma. Che a tutt'oggi, si fa portare i panni da lavare anche se lui vive a 60km e fa l'impossibile per lavarli, asciugarli e stirarli in poco più di 24 ore, perchè lui deve rientrare a casa.

Poi c'è stato un momento di black out, in cui ero a culo con il mondo, lui compreso. Inevitabilmente distanti. Poi ci sono state due righine su un test di gravidanza, e lui fu il secondo a saperlo. Non dimenticherò mai la sua faccia, nè la sua voce quando mi chiese se i nostri lo sapevano già. Ehm no, ero ancora viva :).

Poi sotto di noi si aprì una voragine. La malattia della mamma, la malattia e la morte della nonna materna, la morte dei nonni paterni nel giro di un mese. Qualcosa che a raccontarlo, ci si chiede se la sfiga avesse preso residenza da noi. Non per i fatti in sè, ma per il concatenarsi delle cose. Come se ci fosse uno con un badile ad aspettare che ti tirassi su, per cacciarti una botta e ricacciarti a terra.

Siamo fratelli, figli di stessa madre e stesso padre, e per molti versi troppo simili. Troppo schivi e riservati per piangere uno sulla spalla dell'altro, perchè il dolore ci hanno insegnato che non è indispensabile che diventi di dominio pubblico.

Poi ad un certo punto ci siamo ravvicinati, ogni settimana andavo dai miei e ci facevamo una passeggiata, condividendo momenti, emozioni, come una volta. Beccandoci per via delle nostre opinioni continuamente diverse.

Poi è arrivato l'autunno, ed un progetto di casa (suo), vicino al suo lavoro, a 60km da qui. Poi, alle porte dell'inverno, il ricovero di nostro padre e la paura di non farcela. Era il cinque dicembre, un ricovero annunciato per un'appendicite. E una TAC programmata per il giorno dopo che non lasciava presagire niente di buono. Ed una diagnosi, che aveva lasciato tutti a bocca aperta. Ricordo ancora quando mia madre mi ha chiamata, per dirmi di andare giù, subito. Una parola sola, che mi riecheggiava nella testa. Che quando è stata pronunciata da mia madre, ha tolto ogni dubbio. Il primo pensiero è andato a mio padre, il secondo a lui, che ancora non sapeva niente. Il terzo a mio figlio. Una settimana di attesa. Un intervento fissato per il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia. Un giorno di ferie dal lavoro, impossibile esserci, il tentativo di stare a casa ma da sola non riuscivo. Mi sono parcheggiata da mia zia, non ho neanche preso su il telefono per chiedergli se voleva che andassi giù. Avevo bisogno di una spalla, qualcuno a cui appoggiarmi in quella giornata in cui tutto poteva succedere. Ed una diagnosi ribaltata, come essere dentro ad un tunnel e, a un certo punto, d'improvviso, la luce. E, nei giorni seguenti, l'inizio di un calvario. Quando ci davamo il cambio in ospedale per stare con lui, quando ci ha guardato e ci ha detto che "la mamma non ce la faceva più". Quando dovevamo entrare in quella stanza dopo aver fatto un respiro e con un sorriso. Quando mi ha detto che un terzo intervento lo avrebbe fatto, poi gliela avrebbe data su perchè non ce la faceva più. Quando, il giorno di Natale, gli hanno cambiato il dottore e questo dottore gli ha cambiato radicalmente la terapia. Ed un nuovo inizio. Le litigate a casa dei miei perchè secondo lui stare li significava accrescere in lui la paura che non ce l'avrebbe fatta, e secondo me voleva dire essere li per dare una mano, e dire una parola se necessaria. Non so quante volte nei giorni che ho passato li dentro ho guardato e riguardato quei drenaggi, aiutandoli a scaricare, per capire se potevo farmi sfuggire uno "stai migliorando, tra poco si torna a casa". La chiamata a mio zio per dirgli di non parlare con lui di ritorno a casa, finchè non siamo sicuri di quando ci si torna. E l'ennesimo, ultimo spostamento al primo piano, dopo il quale è tornato a casa.

Avrei fatto e farei ancora qualunque cosa per evitare a mio fratello qualunque tipo di dolore, anche se ancora oggi lo prenderei a schiaffi certe volte quando apre bocca. Ma senza di lui non potrei stare. Ha dovuto firmare per la casa quando mio padre ancora era in ospedale, in bilico su un filo. Senza nessuno che si felicitasse con lui. Anche se io, indirettamente, sapevo, non potevo parlare con lui per una questione di rispetto, come spiegai ai miei, se lui non ha voluto dirmelo, aspetterò che decida di farmelo sapere.

Oggi, mentre a sedere sul divano guardavo mio padre prenderlo in giro perchè si era bruciato stando a prendere il sole, e mia madre intenta a stirargli le camicie, mi sono resa conto di quanto mi manca averlo vicino.

E di quanto non voglia che a mio figlio manchi qualcuno con cui avere un rapporto così.

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