Schwed RaccontaSu e giù per la tastiera |
C'ERA UNA VOLTA MONTALCINO
JIGA MELIK E IL SIG. SCHWED
Jiga Melik è l'alter ego intermittente dello scrittore Alessandro Schwed. Il signor Melik nasce nel 1978 nella prima e provvisoria redazione del Male, un ex odoroso caseificio in via dei Magazzini Generali a Roma. Essendo un falso sembiante di Alessandro Schwed, Jiga Melik si specializza con grande naturalezza nella produzione di falsi e scritti di fatti verosimili. A ciò vanno aggiunti happening con Donato Sannini, come la consegna dei 16 Comandamenti sul Monte dei Cocci; la fondazione dell'Spa, Socialista partito aristocratico o Società per azioni, e la formidabile trombatura dello Spa, felicemente non ammesso alle regionali Lazio 1981; alcuni spettacoli nel teatro Off romano, tra cui "Chi ha paura di Jiga Melik?", con Donato Sannini e "Cinque piccoli musical" con le musiche di Arturo Annecchino; la partecipazione autoriale a programmi radio e Tv, tra cui la serie satirica "Teste di Gomma" a Tmc. Dopo vari anni di collaborazione coi Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, Jiga Melik finalmente torna a casa, al Male di Vauro e Vincino. Il signor Schwed non si ritiene in alcun modo responsabile delle particolari iniziative del signor Melik.
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Post n°77 pubblicato il 25 Gennaio 2013 da Jiga0
Chi è questo Matteo che c'è senza esserci? (Huffington Post, 23 gennaio 2013) Se al tiggì dicessero: "Arcore. Oggi, cucina Berlusconi", non sarebbe una notizia di interesse generale, però sarebbe una notizia. Certo, non sentirete mai: "Ancona. La signora Pieretti stira". Nella pentola delle informazioni ci sono i cognomi noti. Politici, presentatrici, criminali. C'è ad esempio un importante programma di approfondimento, Porta a Porta, lo canta da oltre un secolo Bruno Vespa, il grande tenore della notizia lessata. Da due anni rischia la vita ogni sera, gorgheggiando senza respirare il cognome di Misseri. Sotto elezioni però sono i cognomi dei politici a essere declamati come una filastrocca ipnotica. Certo, è pericoloso. La gente a casa sente centinaia di volte che Formigoni si è candidato su Twitter e stramazza a terra. Ma c'è un cognome politico di fama che è totalmente sparito. Nessuno lo ricorda più. Curioso, di solito i cognomi dei politici resistono. Berlusconi regge da diciannove anni come una gelatina aliena. Non si era più visto da qualche mese perché era stato ingoiato dal cognome onnivoro del professor Monti. Poi la tubazione catodica ha risputato "Berlusconi" e dopo l'illusorio vantaggio iniziale "Professor Monti" è stato limato sino a diventare un elfo del giornale radio. Dicevamo del protagonista politico settimane fa famosissimo, e ora dimenticato da tutti. Dov'è, chi è, che fa? Non si sa: è stato risucchiato da una forza ignota. C'è quel nome che sta lì, gramo: Matteo. Pare abbia partecipato alle primarie del PD, anche se al PD nessuno si ricorda che ci siano state delle primarie. Se vogliono parlare con precisione dell'ombra nella nebbia, dicono Matteo Coso. Solo nella società civile, il ricordo di Matteo non è sparito del tutto. A un comizio del centro-sinistra in una pasticceria di Piacenza, chissà perché non c'era nessuno. A parte il cameriere monarchico, fortemente favorevole alla lista Grimaldi di Montecarlo al posto dei Savoia, simbolo un mazzo di carte in un campo di dadi. Era un comizio disperato. Il candidato è sceso dal bancone e ha detto se gli offrivano sei paste e un litro di latte. Il vecchio cameriere, colmo di tenerezza, fa: "Se sei amico di Coso, ti regalo tutto il profiterol". Un significato ce l'avrà. Purtroppo anche Bersani, di cui manteniamo per miracolo il cognome in mente, non si ricorda le primarie. Ripete solo quel nome con grande tenerezza, Matteo, manca solo che dica ciccino. Va bene, allora bisogna scoprire chi è Matteo. Niente. Bersani non ha tempo, deve trovare il modo di allearsi con Monti senza che la gente lo scopra. Eppure, a quello sconosciuto non penserebbe nessuno, se ogni tanto il segretario non dicesse Matteo a prescindere. Un po' come quei pappagalli che se entra qualcuno nella stanza, borbottano: "Salve. Sono le cinque". Giorni fa è successa la stessa cosa a una convention, Bersani ha guardato il muro e ha borbottato: "Matteo ci darà una mano". La gente in platea si è svegliata di soprassalto e ha detto: "Che c'è, abbiamo un'idea?". Qualcosa sta cambiando. Forse una nuova volontà. Per esempio, c'è un ingorgo e Bersani dice all'autista: "Prendi questo vicolo, Matteo ci darà una mano", poi Matteo non c'è e finiscono dentro un orto. Però è una novità. Una parte dei militanti ritiene che il segretario (che ha di nuovo rivelato di essere cattolico) per Matteo intenda l'evangelista, che aveva un banco di prestiti, e Bersani lo invochi per avere un'idea di economia. Speriamo. Magari Matteo non è san Matteo. Anche Veltroni, quando lanciò al Lingotto lo slogan di don Milani, non faceva che dire don e poi si è scoperto che intendeva don Lurio. Ora tutti al Pd, vogliono sapere chi è questo Matteo. "Lo dico quando c'è Matteo", promette Bersani alle riunioni. Però Matteo non c'è, per fare un paradosso, neanche sotto il tavolo della segreteria. A parte che sotto il tavolo della segreteria non c'è posto perché ci vive D'Alema. Però una fetta di partito comincia a ricordarsi. Dicono che se ci fosse Coso, vincerebbero le elezioni a occhi chiusi. Basterebbe fargli una telefonata. Il problema è che sull'elenco telefonico Coso non c'è. C'è Matteo, ma non avete idea di quanti Matteo ci siano in Italia.
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