Schwed RaccontaSu e giù per la tastiera |
C'ERA UNA VOLTA MONTALCINO
JIGA MELIK E IL SIG. SCHWED
Jiga Melik è l'alter ego intermittente dello scrittore Alessandro Schwed. Il signor Melik nasce nel 1978 nella prima e provvisoria redazione del Male, un ex odoroso caseificio in via dei Magazzini Generali a Roma. Essendo un falso sembiante di Alessandro Schwed, Jiga Melik si specializza con grande naturalezza nella produzione di falsi e scritti di fatti verosimili. A ciò vanno aggiunti happening con Donato Sannini, come la consegna dei 16 Comandamenti sul Monte dei Cocci; la fondazione dell'Spa, Socialista partito aristocratico o Società per azioni, e la formidabile trombatura dello Spa, felicemente non ammesso alle regionali Lazio 1981; alcuni spettacoli nel teatro Off romano, tra cui "Chi ha paura di Jiga Melik?", con Donato Sannini e "Cinque piccoli musical" con le musiche di Arturo Annecchino; la partecipazione autoriale a programmi radio e Tv, tra cui la serie satirica "Teste di Gomma" a Tmc. Dopo vari anni di collaborazione coi Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, Jiga Melik finalmente torna a casa, al Male di Vauro e Vincino. Il signor Schwed non si ritiene in alcun modo responsabile delle particolari iniziative del signor Melik.
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L'avventura della vita e quella del nuovo romanzo / recensione de “La via del pavone – alla disperata ricerca di un pennuto a Roma”, Mondadori
di Paolo Russo (la Repubblica-Firenze, 23 marzo 2014)
L’avventura estiva del protagonista Giulio è complicata dalla gestione di un bizzoso pavone
L’ARCHITETTO Giulio Campennì, con l’accento sulla i, vive a Roma ma è di Firenze. È nato là, figlio d’un oculista che per amore di Romea, bellissima tedesca che scattava splendidi b/n e declamava Rilke, andò a vivere in Bengala. A Roma, dov’è arrivato appena laureato, l’architetto Campennì vive con Ionta, la moglie editor, capace, bella, innamorata ma, ahilui, dotata di madre ovvero suocera vivente: Nelly, ricchissima, cafona e dittatoriale, specie nel ruolo di ex — ma non troppo — padrona dell’attico dove vive la coppia, cui fu donato dal defunto Nelson D’Ancona, dolcissimo marito di quell’arpia burina, quasi una caricatura. Che andando in vacanza con la figlia, un bel dì d’estate affida Ginko (sì, proprio come l’ispettore di Diabolik), il suo costosissimo, ingovernabile pavone al goffo, sfuggente, pavido Giulio. Tanto lui resta a Roma per lavorare, chiuso nel suo mondo d’interni, il solo in cui si senta comodo e che sa, infatti, progettare. In realtà Campennì, protagonista de La via del pavone, quinto libro di Alessandro Schwed, resta a Roma per rivedere l’adorato 21enne figlio Riccardo che viene da Firenze apposta. Nato da una giovanile notte d’amore, amato da Ionta che però l’ha tenuto nascosto a Nelly per timore del suo niet al matrimonio, è stato Riccardo ad “imporsi” al padre anni prima con una lettera. Inevitabile che il ragazzo arrivi mentre il padre è assillato dalla altrettanto inevitabile fuga del pavone, e più ancora dalle temutissime rappresaglie della suocera. Racconto molto romanesco, specie nell’infilata di gerghi, luoghi e variopinte comparse dell’eterna città-set (su tutte il gigantesco centurione “der Colosseo” Elvio Spizzichino, summa di saggezza ebraica e ironia trasteverina), che si succede lungo la caccia al pavone. Ma è da Firenze che arriva Riccardo, e con lui la brezza d’affetto che cambierà la vita di tutti. D’altronde, intorno alla città ruota da sempre la vita di Schwed, dalla giovanile militanza nel Manifesto agli intrecci dei suoi precedenti libri, dall’amor fou per la Fiorentina alle amicizie con Carlo Monni e Donato Sannini. Senza scordare però gli anni romani lungo i quali, come Jiga Melik, fu colonna del Male, il settimanale che prima e meglio di tutti coniugò, fra ‘77 e ‘82, satira politica e creatività fuori di testa, dadaismo e critica sociale; si vedano le ancora irresistibili false prime pagine dei quotidiani d’allora. Ebreo la cui famiglia d’origini ungheresi ha visto tredici dei suoi sparire nei lager, alla difesa e ricerca di quella memoria l’autore, che ne scrive con lucida passione su varie testate, ha dedicato in particolare il suo lunare, dolente secondo romanzo Lo zio coso, seguito dal “ritorno a casa” del reportage La scomparsa d’Israele. Da anni Schwed vive a Montalcino con la compagna Erina Lo Presti, una delle storiche “Galline”. E da quella pace collinare trasmette una scrittura limpida, riflessiva, mutevole e sorprendente, che da qualche tempo serve anche il teatro di Andrea Kaemmerle; una laica, ferma appartenenza alla cultura ebraica, che attraversa, con sferzante humour, anche la cameristica, borghesissima quotidianità de La via del pavone.
E sarà proprio la sua fuga finale, quella vera, a indicare a Giulio la via della riscossa e dell’età adulta.
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