Schwed RaccontaSu e giù per la tastiera |
C'ERA UNA VOLTA MONTALCINO
JIGA MELIK E IL SIG. SCHWED
Jiga Melik è l'alter ego intermittente dello scrittore Alessandro Schwed. Il signor Melik nasce nel 1978 nella prima e provvisoria redazione del Male, un ex odoroso caseificio in via dei Magazzini Generali a Roma. Essendo un falso sembiante di Alessandro Schwed, Jiga Melik si specializza con grande naturalezza nella produzione di falsi e scritti di fatti verosimili. A ciò vanno aggiunti happening con Donato Sannini, come la consegna dei 16 Comandamenti sul Monte dei Cocci; la fondazione dell'Spa, Socialista partito aristocratico o Società per azioni, e la formidabile trombatura dello Spa, felicemente non ammesso alle regionali Lazio 1981; alcuni spettacoli nel teatro Off romano, tra cui "Chi ha paura di Jiga Melik?", con Donato Sannini e "Cinque piccoli musical" con le musiche di Arturo Annecchino; la partecipazione autoriale a programmi radio e Tv, tra cui la serie satirica "Teste di Gomma" a Tmc. Dopo vari anni di collaborazione coi Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, Jiga Melik finalmente torna a casa, al Male di Vauro e Vincino. Il signor Schwed non si ritiene in alcun modo responsabile delle particolari iniziative del signor Melik.
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Un romanzo sull'Israel after
Un film dalla forma apparente di libro: "Il diritto al ritorno", dell'olandese De Winter, scrittore politicamente scorretto. Prossimi anni Venti, un romanzo sull'apocalisse israeliana: tra fantascienza, thrilling, visione politica finale e la tragedia di un uomo cui sparisce l'amato figlio piccolo. Eroso psicologicamente, svanito nella geografia, sotto piogge di razzi e attentati, ora lo Stato di Israele è la città-Stato di Tel Aviv. Gli abitanti folle di vecchi, poi prostitute, i soldati, medici. Striminziti confini sono controllati da tecnologie che leggono il dna. Scenario alla Blade Runner, ma fatti e persone sono autenticati dal ritratto ai modi e le voci della realtà israeliana. Una coppia di particolari detective è specializzata nella ricerca di bambini scomparsi da anni. Uno di loro, il protagonista, è vicino alla mezza età: Bram Manhein. Bram sta per Abraham. Di origine olandese, immigrato in Israele. Il suo anziano padre fu nobel per la fisica. Flash-back. Il 2004. Un Bram trentenne è docente di storia all'università di Tel Aviv, e pacifista. Ha una moglie di bellezza straripante, un figlio neonato, vita glamour. Bram polemizza con la politica israeliana e col vecchio padre che vuole durezza coi palestinesi, mentre lui cerca il dialogo. "Ora pensa la realtà, a cucinarti", sussurrano le righe. Infatti c'è che la moglie è andata a prendere il bambino all'asilo nido, Bram è in taxi, e c'è che arriva la notizia di un attentato e lei non risponde al cellulare. Bram si tuffa in strada. Corrono ambulanze, c'è una lunga colonna di fumo, corpi dilaniati, grida. Bram è davanti all'asilo in fiamme, il suo urlo primordiale sale al cielo. Poi moglie e figlio sono salvi, ma la stanchezza degli israeliani precipita sulle sue spalle, e le sue spalle sono fragili. L'offerta di una cattedra a Princeton allontana la famiglia negli Usa. Lì c'è una casa di campagna appena comprata. Farebbe sognare. Però è un cantiere permanente: spese continue, le piccole tasche di docente, notti insonni, incubi premonitori raccontati allo psicanalista freudiano. In una improvvisa fiaba nera che già tambureggia, mentre la bella moglie è all'estero e lui è in giardino al telefono, il bambino sparisce di casa. Di lui nessuna traccia, come se il corpo fosse d'aria. Dissolto così piccolo, mentre cominciava a offrire al padre le prime parole e la prima dolcezza. Bram precipita in una vertiginosa assenza di ragione: si sente inadeguato come è sempre stato inadeguato alle aspettative del padre. Non risponde al telefono alla moglie lontana, la lascia all'oscuro della tragedia in atto. E' nel terrore. Sparisce anche lui. Emigra nella fantasia più scollegata dalla realtà. Vaga nelle città americane. Vorrebbe trovare il figlio tramite uno stato di trance col mondo dei numeri - maniacali il due e l'otto. Lo cerca in highways e in strade fornite di cifre correlate alla data di sparizione del figlio. Pagine di interiorità di una storia che abbraccia ogni angolo del'umano e ne fa una sorta di grandioso cinema di carta. Barbone, dorme nei parchi, mangia alle mense per la gente di strada. La bella moglie è sparita dalle pagine: si sa che ha divorziato e siamo interessati a Bram, Bram sta male. La narrazione non è più sulla fine di Israele, ma sulla fine di un padre. Siamo in una nuova storia di viandanti e di hobos. Bram, la sola costante dell'avvincente romanzo, viene ritrovato e condotto in Israele. Adesso, entriamo nel genere thrilling. Bram ricostruisce su internet l'identità del rapitore del figlio, un pedofilo. Va negli Usa, torna in segreto nel vicinato rurale dell'ex casa americana e lo ammazza come un cane. Ritorna a Tel Aviv, cerca di cominciare a vivere. Riecco il presente blade runneriano. Ma c'è la normalità? La prostituta conosciuta in un bar forse lo ama, la vita di volontario in ambulanza, il socio dal corpo per metà protesi in titanio, tutto lo spinge verso il figlio: il lettore lo sente. Si alza lo sguardo sul jihad mondiale, le vie del fanatismo, il fallimento della politica israeliana di un tempo - il nostro. De Winter racconta di un padre e intanto proietta le immagini di una cupa Israele futura, e la nazione potrebbe non avercela fatta, né con la speranza di pace né con i fuochi di guerra. Del diritto ebraico al Ritorno, dell'ancestrale appartenenza del figlio scomparso a Israele, leggerete.
Alessandro Schwed
Il Foglio, 20 Gennaio 2011
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