Schwed RaccontaSu e giù per la tastiera |
C'ERA UNA VOLTA MONTALCINO
JIGA MELIK E IL SIG. SCHWED
Jiga Melik è l'alter ego intermittente dello scrittore Alessandro Schwed. Il signor Melik nasce nel 1978 nella prima e provvisoria redazione del Male, un ex odoroso caseificio in via dei Magazzini Generali a Roma. Essendo un falso sembiante di Alessandro Schwed, Jiga Melik si specializza con grande naturalezza nella produzione di falsi e scritti di fatti verosimili. A ciò vanno aggiunti happening con Donato Sannini, come la consegna dei 16 Comandamenti sul Monte dei Cocci; la fondazione dell'Spa, Socialista partito aristocratico o Società per azioni, e la formidabile trombatura dello Spa, felicemente non ammesso alle regionali Lazio 1981; alcuni spettacoli nel teatro Off romano, tra cui "Chi ha paura di Jiga Melik?", con Donato Sannini e "Cinque piccoli musical" con le musiche di Arturo Annecchino; la partecipazione autoriale a programmi radio e Tv, tra cui la serie satirica "Teste di Gomma" a Tmc. Dopo vari anni di collaborazione coi Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, Jiga Melik finalmente torna a casa, al Male di Vauro e Vincino. Il signor Schwed non si ritiene in alcun modo responsabile delle particolari iniziative del signor Melik.
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Romanzo sui giorni dell'IRA
Della rivolta repubblicana irlandese contro l'occupazione inglese, conosciamo le cronache televisive degli ultimi decenni: esplosioni, camionette rovesciate. In Europa, l'Ira è una vicenda remota. Ora la riattraversa con noi Roddy Doyle in"Una vita da eroe": la storia di Henry Smart, ex bombarolo, romanzescamente designato come uomo di fiducia di Michael Collins, eroe dell'indipendenza irlandese. Smart non è un demone: è un popolano diffidente, uno solitario, un eroe senza saperlo. Dopo la giovinezza con la dinamite in mano, lascia l'isola e sta metà vita in America, derelitto prima, e scheggia impazzita di Hollywood poi. Il romanzo lo incontra nel 1951, quando torna in Irlanda dopo ventinove anni di assenza. Ha da fare un sopraluogo e scrivere la sceneggiatura della sua vita di ribelle per John Ford, il regista di "Ombre rosse". Si tratta di capire chi sia stato Smart, e non è facile perché non lo sa neanche lui. Ha sofferto così tanto che ha dimenticato i nomi dei propri familiari. L'unica amicizia di Henry è con la gamba di legno, coprotagonista del romanzo: Smart la toglie, la rimette, ne ha cura, compra stivali di coccodrillo per farne indossare uno a lei. Le vuol bene. Quando ormai anziano, in Irlanda, è vittima di un attentato e smarrisce la protesi, è preoccupato come per una parente. Smart è estraneo alla realtà, soprattutto quella di Hollywood, e scrivere con Ford il film sulla sua vita di ribelle, è lotta furibonda. Ford, ex cocciutissimo irlandese, un giorno si è visto recapitare Henry perché lo salvasse, dopo che era stato ritrovato da qualche parte d'America senza memoria. Smart fa riunioni di sceneggiatura davanti agli impenetrabili occhiali da sole di Ford, litiga, se ne va per giorni. Ricorda i tempi selvaggi nell'Ira, la sua esistenza americana, drop out con la moglie e i due figli. Sa di essere caduto dal treno dove era con loro e aver perso la gamba. Da allora non ha più visto i figli piccoli, e neanche la moglie - sua ex maestra, più grande di diversi anni e venuta con lui dall'Irlanda - andavano insieme in bicicletta, lui la portava in canna, rapinavano uffici postali con la mitragliatrice piazzata sul manubrio. La prima parte del libro è l'ardua ricostruzione della vita di Smart, la cronaca dei continui dissensi con Ford, i sospetti e le ombre verso il maestro del cinema che si fa raccontare le antiche azioni partigiane, le canzoni che cantavano, le donne amate, ma poi addomestica, arrotonda, chiama altri sceneggiatori, tradisce il racconto del ribelle. Ford poi lo spiegherà personalmente a Henry: addomesticare la Storia, inventarla, è un bene, la rende popolare come è successo al western che grazie a lui è divenuto saga e ha dato un'identità all'America. I dialoghi tra Ford e il testardo Henry sono surreali, tra botte da orbi, dita rotte, spuntini all'alba e offese sul set dove passa quel lungagnone di John Wayne. Il film sarà una pasticca zuccherata. A metà dei '60, Smart va a invecchiare in Irlanda. Fa il giardiniere da un'anziana vedova che gli rimanda ricordi. Ne diviene furtivamente l'amante, al riparo degli sguardi intrusivi dei vicini parrocchiani. A un tratto è agganciato dalla nuova Ira, usato come immagine dell'antico eroe della libertà. Il passato è una ventosa, non lo lascia - ma il passato ha doni per lui. Ritrova l'antica moglie, volto cangiante: la vedova di cui è divenuto amante senza rendersi conto chi fosse, e a sua insaputa lo ha ritrovato, gli ha dato lavoro, lo ha accudito. Durante l'infinito coma ospedaliero della moglie, incontra la figlia anziana. Poi Smart è fiabescamente vecchio, ha 108 anni. Un mitologico ultracentenario eroe d'Irlanda. Adesso, può morire.
Alessandro Schwed
il Foglio, 28 gennaio 2011
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