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Visitare Torino : Il Museo Accorsi

Post n°1754 pubblicato il 28 Agosto 2014 da paperino61to

 

 

   

 

Il Museo Accorsi-Ometto di Torino, ospitato in un palazzo storico seicentesco di via Po, è un museo di arti decorative.

 



          

L'origine del palazzo è dovuta all’intraprendenza dei Padri Antoniani, che nel 1616 aprirono ai religiosi e ai malati un grande complesso, comprensivo di palazzo e chiesa dedicata a Sant’Antonio abate, al fondo dell’odierna Via Po. Per circa 150 anni questo complesso fu una delle sedi più prestigiose degli Antoniani in Piemonte ed Italia. Alla metà del Settecento la chiesa fu sottoposta a rimodernamento per opera dell’architetto Bernardo Vittone che sistemò la chiesa, il coro, il campanile ed approntò il decoro del presbiterio. In seguito alla soppressione dell’Ordine degli Antoniani avvenuta nel 1776, il palazzo e la chiesa furono affidati all’Opera della Mendicità Istruita, per poi passare nell’Ottocento all’Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro.

        


In quel periodo il pittore Antonio Fontanesi soggiornò in alcuni locali del palazzo, ove morì il 17 aprile 1882; nel portone di ingresso del Museo è murata, a ricordo, una lapide in suo onore. Nel 1956 l’intero palazzo fu acquistato da Pietro Accorsi che adibì il piano nobile a sua abitazione e galleria d’arte. Dopo la scomparsa del proprietario, il palazzo è diventato sede dell’omonimo museo.

 

Il Museo è stato allestito secondo il gusto del fondatore, Pietro Accorsi, che amava l’arte piemontese del Settecento. Nelle 27 sale del Museo sono esposti oltre tremila oggetti.

      


Il percorso museale è suddiviso in due parti: la prima è dedicata a una serie di vetrine con all’interno cristalli di Baccarat, argenti, tabacchiere e porcellane di Meissen, Frankenthal e Sèvres; mentre la seconda è dedicata alle sale ammobiliate. Nel susseguirsi delle stanze, oltre a preziosi oggetti d’arredo, arazzi e dipinti del Settecento, si trovano mobili francesi, veneziani e piemontesi, tra cui spicca il “doppio corpo” firmato e datato nel 1738 da Pietro Piffetti.

 

 

 
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