Creato da: paperino61to il 15/11/2008
commenti a caldo ...anche a freddo..

Area personale

 

Tag

 

Archivio messaggi

 
 << Febbraio 2019 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
        1 2 3
4 5 6 7 8 9 10
11 12 13 14 15 16 17
18 19 20 21 22 23 24
25 26 27 28      
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 

I miei Blog Amici

Citazioni nei Blog Amici: 88
 

Ultime visite al Blog

elyravQuartoProvvisoriocassetta2nomadi50paperino61tog1b9rbx1dglDoNnA.Sjezabel777zoppeangelogianbrainOPIUMPASSIONEilcorrierediromakipli
 

Ultimi commenti

Sei in montagna? :)
Inviato da: elyrav
il 19/06/2024 alle 08:58
 
Bella musica sempre da te :) buongiorno
Inviato da: elyrav
il 17/06/2024 alle 11:24
 
Cara Giovanna se a scuola ci fosse stata una materia come...
Inviato da: paperino61to
il 16/06/2024 alle 11:46
 
Ciaooo Roberta bentornata, buona domenica baci
Inviato da: paperino61to
il 16/06/2024 alle 11:44
 
Mai conosciute, ma la tua amicizia è sempre un ...
Inviato da: g1b9
il 15/06/2024 alle 17:13
 
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

Messaggi di Febbraio 2019

 

La ghiacciaia di Porta Pila( Quarto capitolo)

Post n°2436 pubblicato il 13 Febbraio 2019 da paperino61to

Riassunto: Il commissario Berardi indaga sull'omicidio di un professore di liceo: Ettore Beraudo. Le indagini si presentono difficili, la vita della vittima sembra irreprensibile. Gli unici amici sono uno studente e un segretario di una circoscrizione fascista. Berardi sotto mentite spoglie interroga la moglie del segretario, dalla conversazione la moglie nega che suo marito frequenti il circolo Dilma. 

 

 

“Non credo che la moglie stia mentendo, caro Tirdi, non sa nulla di cosa fa il marito fuori di casa”.

“Penso la stessa cosa, commissario…e se domandassimo allo suocero?”.

“Andare da Arbuni? Perché no, se dobbiamo prendere il toro, tanto vale prenderlo per le corna”.

Il notaio ha l’ufficio non distante da dove abita la figlia, domandiamo alla segretaria di poter parlare con Arbuni.

“Vedrò se il notaio può ricevervi, prego accomodatevi un attimo in questa sala”.

Una decina di minuti di attesa e veniamo ricevuti. L’uomo è  sulla sessantina, capelli brizzolati, corporatura massiccia; il fumo del sigaro impregna il suo ufficio.

“A cosa devo la visita del famoso commissario Berardi?”.

Questa frase mi prende alla sprovvista, speravo di ripetere la pantomima fatta a sua figlia.

“Buongiorno notaio Arbuni, nulla di grave, vorremmo solo farle alcune domande su suo genero, se è possibile”.

Il volto dell’uomo si rabbuia e a denti stretti domanda cosa ha combinato quel buono a nulla.

“Per ora niente, ma cerchiamo di vedere se, a sua insaputa, è coinvolto in un delitto”.

Arbuni sgrana gli occhi e nervosamente fuma il sigaro.

“Non credo che Claudio sia in grado di ammazzare una mosca figuriamoci un uomo. Cosa vi fa pensare che sia coinvolto?”.

Espongo alcune mie ipotesi tralasciando la chiacchierata avuta con sua figlia.

“Mi sembra strano che frequenti il circolo Dilma, non è roba per lui…è un pappamolla! In quel posto vanno i fascisti veri non quelli come lui”.

“Intende come lei?”.

“Certo, quelli come me, anche se sono mesi che non vado più, ora frequento quello che si trova in  Corso Casale”.

“Come mai se, non sono indiscreto?”.

“La maggioranza della mia clientela lo frequenta, e capisce anche lei commissario che per la mia attività…”.

“Capisco perfettamente, un’ultima domanda, lei conosce un certo Paolo Laressi?  E’ uno studente del liceo Belli”.

“Il nome non mi dice nulla, è un amico di mio genero?”.

“Non ne siamo sicuri, ma sono stati visti insieme diverse volte al Dilma…chiedo solo una cosa signor Arbuni, di non dire nulla a suo genero e a sua figlia di questa nostra conversazione, ho la sua parola?”.

“Lo prometto e se quel buono a nulla di Claudio è nei pasticci, me lo venga a dire, ci penso io a lui…”.

Non finisce la frase ma posso facilmente intuire come sarebbe il suo “pensare” nei confronti del genero, il notaio è uno di quegli uomini che è meglio averlo come amico che nemico.

Usciti dallo studio ci rechiamo in questura  Perino ci dice che a Leinì è stata trovata in mezzo ai campi una macchina bruciata, e che prima di darle fuoco hanno tolto la targa.

“Scommettiamo che è la stessa che ha scaricato sul marciapiede il bidello del Belli?”.

Purtroppo non riusciamo a risalire al proprietario dell’auto :”L’unica cosa che possiamo fare è vedere se qualcuno ha denunciato il furto”.

Infatti come ho ipotizzato, nelle settimane seguenti nessuno denuncia il furto di una macchina.

Nel frattempo Beraudo è stato seppellito al Monumentale, la sorella ogni tanto passa in ufficio per domandare se ci sono novità in merito all’indagine ma purtroppo la risposta è sempre negativa.

Anche al circolo Dilma, nonostante la presenza di un’agente non viene segnalato nulla di importante. Il ragazzo frequenta il circolo come lo stesso Ferrini. Quest’ultimo mi chiama per domandarmi come mi sono permesso di andare a casa sua; faccio finta di cadere dalle nuvole e il discorso con lui finisce con un “Stia attento commissario”.

Vengo chiamato dal questore che con mia grande sorpresa, mi domanda se l’indagine sul delitto alla ghiacciaia prosegue.

“Berardi, la conosco troppo bene per sapere che lei non avrebbe lasciato perdere un assassino. Allora mi dica cosa ha scoperto”.

Racconto del rapporto tra Ferrini e Larassi, l’auto ritrovata bruciata e il brutale pestaggio al bidello del liceo e infine la chiacchierata avuta con la moglie di Ferrini e suo padre.

“Quindi commissario lei è convinto che vi è un legame tra la morte del professore e questi due personaggi?”.

“Più che convinto signor questore, il problema è che non ho le prove. Ho trovato nell’appartamento della vittima una chiavetta, ma non siamo risaliti a nulla. Nelle banche di Torino non risulta esserci un cliente di nome Beraudo Ettore, e tantomeno nelle due stazioni della città, per non parlare delle poste. Di una cosa sono sicuro, la chiavetta è quella di una cassetta di sicurezza, il problema è sotto quale nome si è registrata la vittima”.

“Crede abbia dato un nome falso?”.

“Si e di solito chi lo fa è per nascondere qualcosa di compromettente o per tentare un ricatto”.

“Continui la sua indagine, ma faccia attenzione, ho saputo per vie traverse che il Ferrini la sta facendo seguire, e sa anche lei che con certe gente è meglio andare cauto”.

Esco dall’ufficio con un peso in meno sullo stomaco, mi  sarebbe dispiaciuto prendere in giro il questore, è una gran brava persona.

Passo a prendere Maria e insieme decidiamo di andare a cenare in un locale sul Po. Il caldo sembra lasciare posto alla frescura della sera, il parco è comunque pieno di gente che cerca refrigerio. Il castello del Valentino si staglia con la sua bellezza in mezzo al verde.

“Sai Marco, non credevo che Torino fosse bella così. Vero che a Mondovì apri le finestre e vedi le montagne, ma qui è un altro spettacolo”.

“Anche le montagne hanno un loro fascino, dei colleghi che sono andati sulle Dolomiti ne sono rimasti impressionati, tanto vero che uno di essi ha chiesto il trasferimento a Trento”.

“Dovessi scegliere preferisco il mare”.

“Credo anche io…ma per ora godiamoci la nostra Torino”.

La serata prosegue piacevolmente in compagnia della persona che amo. Mentre torniamo a casa mi accorgo che una persona ci segue. Non faccio trapelare la cosa a Maria per non spaventarla: arrivati in via Po vedo arrivare un tram e saliamo al volo.

Osservo il nostro inseguitore correre inutilmente e sorrido nell’immaginare le sue imprecazioni.

“Marco, perché hai voluto prendere il tram?”.

“Sono un po’ stanco e camminare non me la sento, spero non ti dispiaccia?”.

“No anzi, pure io sono stanchissima, è stata una giornata pesante”.

L’indomani in ufficio convoco Perino e Tirdi spiegando loro cosa è successo.

“I pesciolini si stanno agitando commissario”.

“La penso come te Perino, per questo bisogna fare attenzione. Novità?”.

Il silenzio dei colleghi è eloquente, non stiamo approdando a nulla.

Squilla il telefono, è Giorgini, mi dice che ha scoperto qualcosa: “Meglio vederci di persona commissario, non ho il tempo per parlare. Verso le due dentro alla Gran Madre!”.

“Bene ragazzi, qualcosa si sta muovendo, Giorgini ha delle informazioni!”.

Verso l’una e mezza esco dalla questura e mi dirigo all’appuntamento, con me c’è Tirdi. Entriamo in chiesa, poche persone sono sedute a pregare, ma non vedo l’agente.

Ci sediamo anche noi un po’ defilati nella penombra della chiesa. Il tempo passa lento ed è solo verso le tre che decidiamo di uscire.

“Commissario, che sia successo qualcosa?”.

La voce di Tirdi denota preoccupazione.

Cerco di non dare a vedere che pure io sono in stato di agitazione.

Torniamo in questura e veniamo avvertiti che hanno trovato un corpo che galleggia sul Po, un brivido mi sale lungo la schiena. Saliamo in macchina e andiamo sul posto, un paio di agenti ci attendono; come sempre le persone si fermano con morbosa curiosità a vedere cosa sia successo.

“Buongiorno commissario, venga…purtroppo il morto è un nostro collega…”.

A quel punto capisco che sta parlando di Giorgini, scendiamo le rive e un lenzuolo bianco copre il pover’uomo.

“Come è successo?” domando.

“Non sappiamo ancora, non ci sono testimoni”.

“Non è possibile che nessuno abbia visto nulla? “.

“Commissario, in questo punto non ci sono case, l’unica è quella villetta laggiù, ma è troppo lontana per notare qualcosa, poi come vede gli alberi coprono la visuale. Possiamo sperare in qualche barbone, ma di solito qui non vengono, preferiscono il ponte laggiù”.

“Manda un paio di agenti alla villetta, tentar non nuoce, e fai lo stesso con i barboni. Tirdi, io e te andiamo al Dilma”.

La collera sta prendendo possesso in me, all’ingresso del circolo un uomo si para davanti a noi dicendo che non possiamo entrare se non siamo soci. Un attimo dopo è per terra che impreca al pugno che gli ho dato.

Arrivano un paio di persone con il direttore del Dilma a domandare cosa succede.

“Sono Berardi della polizia, vogliamo parlare con il titolare…immediatamente!”.

“Sono io, commissario, cosa desidera?”.

“Lavora per lei un certo Giorgini?”.

L’uomo riflette un attimo e poi risponde di no.

Immaginando la risposta, faccio vedere la foto del povero collega.

“ Si lavora per me, si chiama Lettieri, Carlo Lettieri, già da ieri che non si è presentato qui al Dilma…ma perché lo ha chiamato Giorgini?”.

Tirdi sta per dire qualcosa ma lo blocco.

“Prenderci in giro non serve, giochiamo a carte scoperte. Il vero nome è Giorgini, lavorava qui come cameriere ed era ancora vivo ieri quando mi ha chiamato”.

“Non so che dirle commissario, a me ha dato un nome diverso, e posso giurarle che è da ieri che nessuno lo ha più visto, gli è successo qualcosa?”.

Osservo il volto dell’uomo, sembra sincero.

“ E’ morto, assassinato!”.

“Non crederà mica…”.

“Io non credo a nulla, io so solo che prenderò chi è stato e lo farò marcire in galera a vita!”.

Usciamo dal circolo sapendo bene che è guerra aperta tra noi e Ferrini.

“Giorgini aveva scoperto qualcosa, ma cosa commissario?”.

“Passiamo da casa sua, magari ha lasciato uno scritto”.

Purtroppo anche questa speranza è vana, la vedova non sa nulla, sapeva solo che stava indagando ma non sa su che cosa. Un bambino le è accanto con gli occhi lucidi dal pianto.

“Commissario, mi prometta che chi ha ucciso mio marito venga arrestato”.

“Glielo prometto signora, lo devo a lei e a suo figlio!”.

 In questura vengo chiamato dal questore: “Berardi, che triste notizia, sembra che il nostro collega abbia avuto un incidente…”.

“Signor questore, Giorgini è stato ucciso, altro che incidente.

“Ne è sicuro?”.

“A breve avrò il referto di Stresi, e non credo affatto di sbagliare. Il nostro agente stava indagando al Dilma, evidentemente ha qualcuno dava fastidio questa cosa”.

“Mi avverta appena ha il referto!”.

Verso sera mi chiama il dottor Stresi, l’autopsia sull’agente dimostra che è stato ucciso: soffocato e poi inscenata la finta caduta nel fiume: ”Sul referto che avrà domani mattina, si ipotizza che è stato tenuto con la testa sotto acqua in modo che i polmoni si siano riempiti di acqua come se fosse  annegato. Peccato che l’omicida abbia lasciato dei segni sul collo e un taglio sul costato prodotto non certo da un masso sporgente, ma piuttosto da una lama di coltello”.

 “Mandi una copia del referto anche  al questore per favore. Ha sollevato dei dubbi sull’uccisione di Giorgini”.

“Sarà fatto Berardi, ho l’impressione che come sempre lei si sia messo in bel ginepraio di guai”.

(Continua)

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

La ghiacciaia di Porta Pila( Terzo capitolo)

Post n°2435 pubblicato il 11 Febbraio 2019 da paperino61to

Riassunto: Un omicidio viene perpetrato nella ghiacciaia del mercato di Porta Pila a Torino. Le indagini del commissario Berardi sembrano fermarsi in un vicolo cieco. La vittima:Ettore Beraudo, professore di liceo ha una vita tranquilla, unici amici o almeno tali sono lo studente di nome Larassi e un segretario del partito fascista Ferrini. Nella perquisizione a casa della vittima, Berardi trova una chiavetta. Capisce subito che è di una cassetta di sicurezza, ma nessuna banca o ufficio postale ha come cliente la vittima. Un filo conduce il commissario al circolo Dilma frequentato da Ferrini e lo studente,il tutto mentre la città aspetta con trepidazione l'arrivo da Roma di alte personalità del fascismo.

 

 

 

Comunico a Tirdi e Perino gli ordini del questore, e dalla loro espressione capisco che non è di loro gradimento fare la balia alle alte personalità di Roma.

“Preferiamo continuare ad indagare sull’omicidio, non crede commissario che potrebbe distrarci da esso?”.

“Il rischio c’è, ma noi il canale preferenziale lo diamo all’assassinio del professore. Prendiamo con noi solo qualche agente, voi due, Giorgini che sarà al Dilma…poi chiama Mammoliti e Repetto”.

“Come ci dividiamo i compiti?”.

“Mammoliti sarà alle costole dello studente, mentre Repetto a quelle di Ferrini. Voi due vi dividerete gli ambulanti e i negozi di Porta Pila. Chissà che qualcuno non abbia visto il nostro misterioso assassino. Io andrò al liceo Belli. Ci vediamo più tardi, una sola raccomandazione: per tutti i nostri colleghi, questore compreso, noi stiamo lavorando per la sicurezza del terzetto che arriverà in città”.

Il liceo Belli si trova in Corso Cairoli, a pochi passi da Piazza Vittorio. Domando di poter parlare con il preside.

“Mi dica commissario, cosa posso fare per lei? Immagino che sia qui per la morte del povero Beraudo”.

“Si, signor Preside, cosa può dirmi in merito alla vittima? Sappiamo che non era un uomo che amava molto la compagnia. Solo un vostro studente riusciva ad avere un rapporto con lui”.

“Vero, era un uomo che stava sulle sue, un bravo professore, ma negato per intrattenere rapporti con i suoi simili. Con questo non voglio dire che era scontroso, arrogante, assolutamente, ma preferiva stare sulle sue, se così posso esprimermi. Chi è questo studente?”.

“ Larassi Paolo, sappiamo che si è visto un paio di volte con la vittima al di fuori delle lezioni”.

“Strano, non lo avrei detto, evidentemente gli dava delle lezioni private”.

“Dalle parole del ragazzo non erano solo quelle le argomentazioni, è stato piuttosto reticente nel dire di cosa parlavano”.

“Lei pensa che vi sia stata una…relazione tra di loro, capisce cosa voglio dire?”.

“Non lo so, potrebbe anche essere, anche se per ora la scarterei. Sono venute persone estranee al liceo a chiedere del professore?”.

L’uomo riflette su questa domanda cercando di fare mente locale, poi scuote la testa dicendo :”Che io sappia no, però non vuole dire nulla, i professori non sempre vengono a dirmi se qualcuno li sta cercando. Posso domandare a Aldo che è il nostro bidello”.

Il bidello viene chiamato immediatamente e dopo qualche minuto risponde che diverse volte è venuto un signore ha cercare  Beraudo. Non sa darmi una descrizione precisa e si dispiace per questo.

“Senta, se le faccio vedere una fotografia lei saprebbe riconoscere la persona?”.

“Senza ombra di dubbio commissario”.

“Perfetto, lei dove abita? Manderò un agente o verrò io di persona”.

Prendo nota dell’indirizzo poi domando al preside se posso parlare con la classe che seguiva Beraudo.

“Francesco, accompagna tu il commissario. Buon lavoro e spero in qualche modo di essere stati utili”.

La classe è situata al primo piano. Domando scusa all’insegnate e prometto di rubargli pochi minuti.

“Sono il commissario Berardi e sto indagando sull’omicidio del vostro professore Beraudo. Alcuni di voi sono venuti nel mio ufficio, ovviamente so bene che non avrei potuto accogliervi tutti nel mio ufficio. La domanda che vi pongo è questa: avete visto o avete avuto sentore che il vostro professore fosse cambiato? Intendo dire come atteggiamento? L’avete mai visto in compagnia di sconosciuti all’uscita o entrata del liceo?”.

La classe risponde che solo negli ultimi giorni la vittima sembrava più chiusa in sé stesso, inoltre pareva avesse paura, impressione avuta da molti studenti della classe.

“Idiozie!” esclama Larassi.

“Perché dici questo?” domando al ragazzo.

“Mentono! Il professore non aveva paura, era taciturno…ebbene poteva avere benissimo problemi come ognuno di noi”.

“Giusto, però sembra che questo problema l’abbia condotto alla morte”.

Il ragazzo china la testa mentre qualcun altro dice di avere visto il professore in compagnia di alcune persone un paio di giorni prima della sua morte.

“Sai chi potevano essere? Ricordi qualche particolare?”.

“No purtroppo, so solo che stavano uscendo da una società sportiva…la Dilma”.

“Non è vero ! Tu non hai visto nulla…sei un bugiardo!”.

Larassi stava urlando a piena voce mentre il suo compagno balbetta che non è una bugia.

“Perché ti scaldi tanto Larassi, potrebbe benissimo essere che il professore sia andato con amici in quel circolo, mica è vietato sai? Tu non ci sei mai stato?”.

Osservo il suo volto mentre risponde che non ha mai messo piede in quel posto. So che sta mentendo, ma non riesco a comprenderne il motivo.

“Bene ragazzi, vi lascio al vostro dovere di studenti, se ricordate qualcosa potete venire in questura e chiedere di me… Larassi, fai bene a non essere mai andato in quel circolo, lo spero vivamente per te !”.

Verso la fine del pomeriggio passo dal bidello con la fotografia di Ferrini. La moglie mi dice che non è ancora rientrato dal liceo e trova strana la cosa, decido di aspettarlo. Mano a mano che passano i minuti un’angoscia cresce in me, che sia successo qualcosa all’uomo?. Anche la moglie scende in strada con me , la sua paura è stampata in volto.

Il rumore di un auto a velocità folle ci distrae dai nostri pensieri, rallenta giusto il tempo per scaraventare un corpo fuori dall’abitacolo per poi ripartire in tutta fretta verso corso Vittorio Emanuele. La donna corre incontro a quel corpo gridando il nome del marito.

“Aldo….Aldo….ma che ti hanno fatto?”.

L’uomo è sanguinante in volto, urla dal dolore, una signora che si è affacciata in quel momento sul balcone le ordino di far intervenire un’ambulanza.

“Non lo tocchi signora, potrebbe peggiorare le cose”.

“In che pasticcio si è cacciato mio marito?”.

Preferisco non rispondere ma lo immagino, qualcuno che non voleva essere riconosciuto dal bidello.

La prognosi per l’uomo è di sei settimane immobile a letto. Ha diverse costole rotte, una spalla lussata dalla caduta ed ecchimosi su tutto il volto.

“Si sono accaniti per bene su questo povero diavolo, come se fossero picchiatori di professione” è la tesi del medico.

Il mio pensiero va agli unici professionisti che conosco da anni, ovvero la milizia fascista. Lascio l’ospedale con la convinzione che la strada che seguo è quella giusta, Ferrini e lo studente sono in combutta. Solo il Larassi sapeva che avrei interrogato tutto il corpo docente compreso il bidello, evidentemente la persona che ha parlato con Beraudo ha avuto paura di essere riconosciuta.

La conferma delle mie ipotesi è avallata dall’agente messo alle costole del ragazzo, subito dopo la mia conversazione con la classe ha chiesto il permesso di uscire dal liceo, e si è recato al Dilma senza indugi.

“Dopo mezz’ora , l’ho visto uscire con delle persone, e saliva in auto con loro, non ho potuto seguirle essendo a piedi”.

“Nessun problema Mammoliti, non è colpa tua. Hai riconosciuto il modello dell’auto?”.

“Mi è sembrato una Ballilla, ho preso il numero di targa”.

“Bravo, ora vediamo a chi è intestata. Sono sicuro che è la stessa che ha lasciato sul marciapiede il povero bidello”.

“Pensa che quell’uomo avrebbe potuto riconoscere la persona che ha incontrato Beraudo?”.

“Sicuramente!”.

“Novità dagli ambulanti di Porta Pila?” domando a Tirdi e Perino.

“Nessuna, quei pochi ambulanti che erano presenti a quell’ora dicono di non avere visto nessuno, solo uno ha accennato a un rumore di un auto, ma quando si è girato per vedere chi poteva essere era già scomparsa”.

“I negozianti? Magari qualcuno era già aperto anche se era mattina presto”.

“Nulla, i pochi negozianti aperti erano intenti a scaricare le loro merci e non hanno visto nessuno in piazza se non gli ambulanti che mettevano i loro carretti”.

“Allora escludiamo ogni ricerca in quel senso, concentriamoci sulla società sportiva e sugli amici che frequenta Ferrini. Contattate Giorgini e sentite se ha nov…” non finisco la frase che squilla il telefono.

“Commissario sono Giorgini, non posso parlare più di tanto, ieri pomeriggio lo studente è venuto qui, ha parlato con i camerati e sono usciti di corsa, dove fossero diretti purtroppo non so dirglielo”.

“Lo posso immaginare, fai attenzione mi raccomando, hanno conciato per le feste un uomo che poteva avere informazioni, quindi dubito che quell’uomo quando si sarà rimesso avrà ancora voglia di parlare con noi”.

Finalmente la lista dei nomi proprietari di cassette in banca è arrivato, ma non porta a nulla, non c’è il nome di Ettore Beraudo; siamo in un vicolo cieco. Anche alle stazioni di Porta Nuova e Porta Susa non c’è nessuno con quel nome, idem alle poste della città, nelle pensioni o hotel della città nessuno è registrato con il nome della vittima.  Giro e rigiro tra le mani la chiavetta trovata a casa della vittima e mi domando a cosa possa servire.

Nel frattempo io e i miei colleghi indaghiamo, la macchina per la sicurezza sta lavorando a tempo pieno e in città si sono effettuati una decina di arresti. Alcuni esponenti ritenuti pericolosi sono stati prelevati in casa loro dalla milizia e portati alle carceri  Nuove per essere interrogati.

Ne Mamma Gina ne tanto meno Maria riescono a farmi tornare il sorriso, so di avere ragione nei confronti di Ferrini e dello studente, ma non ho uno straccio di prova e la domanda è sempre la stessa: cosa hanno in comune un professore di liceo, un segretario locale fascista e uno studente?.

I locali in città sono aperti,  la gente si riversa nei parchi alla ricerca del refrigerio notturno. In lontananza il monte dei Cappuccini risplende sotto la luna, il Po scorre come sempre e qualche ardito fa il bagno notturno.

Mentre percorriamo una via adiacente a Piazza Castello un uomo sbuca all’improvviso e mi viene addosso.

“ Mi scusi signore, non l’ho vista arrivare…sono di corsa, mi scusi ancora” e scappa via.

Maria ride di gusto al pensare che non solo le donne mi vengono incontro.

Una volta arrivati a casa, prendo le chiavi dalla tasca della giacca e vedo che c’è un biglietto, non ricordo di averne messo uno, lo leggo:” Lasci perdere l’indagine, è un consiglio, altrimenti…firmato: gli amici!”.

“Hai ragione Maria, non solo uomini e donne mi cadono addosso, ma mi fanno anche una dedica”.

“Cosa c’è scritto Marco?” il suo tono è preoccupato.

“Nulla di cui preoccuparsi, credimi”.

Non è esattamente così, sanno che stiamo indagando sul delitto e gli unici interessati a non far smuovere le acque sono Ferrini e Larassi. Il mattino seguente convoco gli agenti e li metto al corrente dell’avvertimento.

“Sanno che andiamo avanti nella ricerca dell’assassino, questo è il biglietto che uno di loro mi ha messo in tasca senza che me ne accorgessi”.

“Non conviene parlare con il questore?” domanda Perino.

“Vorrei poterlo fare, ma sicuramente avrei ordine di smettere, chiaramente ha detto che la priorità è la messa in sicurezza degli uomini che arrivano da Roma. No, meglio non dirgli nulla per il momento”.

“Quindi continuiamo?”.

“Si, oggi io e Tirdi andiamo a parlare con la moglie di Ferrini”.

La donna abita in zona Crocetta, in corso Parigi, un condominio stile liberty. L’intera casa è di sua proprietà e non mi stupisce visto che la sua famiglia è una delle più agiate della città.

La signora ci fa accomodare nella sala e domanda cosa vogliamo. Diamo delle generalità false, spacciandoci per un fantomatico ente di protezione fascista.

“Ci spiace disturbarla signora, stiamo vigilando sull’incolumità delle persone altolocate che arriveranno da Roma. Vorremo sapere se suo marito le ha parlato di questa cosa?”.

“Certo che si, visto che ha messo a disposizione la  nostra villa a Moncalieri, non ve l’ha detto?”.

“No signora, sembra che suo marito…abbia degli altri pensieri in questo momento”.

“Ma si figuri, si sta sbagliando, Claudio è devoto al partito e al Duce, evidentemente ha molto lavoro da sbrigare”.

“Meglio così signora…senta, conosce per caso uno studente di nome Larassi?”.

La donna riflette un attimo e poi dice che un paio di volte è venuto da loro un ragazzo giovane:” Ma non so dirle il nome, e onestamente non ho mai visto il suo volto, è mio marito,  che va ad aprire la porta e poi entrambi si recano nel suo studio, presumo che sia un ragazzo perché la sua voce è tipicamente di quell’età”.

“Al circolo Dilma è mai andata? Le domando  questo perché riteniamo possano esserci  degli infiltrati comunisti”.

“Una volta sola con mio marito, ma non mi piace quell’ambiente, non si tratta di essere una snob, ma mi sembra più un circolo di scaricatori di porto, anche Claudio non ha più messo piede”.

Salutiamo la donna  e andiamo alla pasticceria vicina, sorseggiamo un caffè con delle paste  e discutiamo sulla conversazione avuta con la moglie di Ferrini.

(Continua)

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Musica da FM

Post n°2434 pubblicato il 09 Febbraio 2019 da paperino61to

Torniamo negli anni 70/80' a quella musica definita " FM rock " con una carellata di grandi gruppi americani

 

       

 

 

 

        

 

 

 

       

 

 

 

      

 

 

 

   

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

La ghiacciaia di Porta Pila( Secondo capitolo)

Post n°2433 pubblicato il 07 Febbraio 2019 da paperino61to

Riassunto: Un omicidio è stato commesso al mercato di Porta Pila(Palazzo) di Torino, le indagini si presentano complicate per il commissario Berardi, la vittima è un professore di liceo: Ettore Beraudo, una vita tranquilla, nessun amico, tranne uno: Claudio Ferrini segretario fascista locale.

 

Usciamo dalla sede fascista e ci avviamo verso l’abitazione di Beraudo.

“Allora Tirdi, che ne dici di questo simpatico segretario?”.

“Ho osservato il suo volto quando le ha detto che era morto. Non credo abbia mentito, sembra all’oscuro di questa cosa”.

“Anche a me ha dato questa impressione, ma ne ho anche un’altra, che Ferrini  sappia molto di più di questa faccenda”.

“Lei crede?”.

“Quando ci sono di mezzo le camice nere tutto è possibile”.

Saliamo nell’alloggio del Beraudo, accompagnati dalla portinaia, ha lei il doppione delle chiavi di tutti gli alloggi dello stabile.

La donna dice chea volte poteva trascorreva anche una settimana senza vedere entrare o uscire il signor Beraudo.

“Era un matot schivo commissario, bene educato, ma non dava confidenza a nessuno”.

Entriamo e un grido esce dalla bocca della portinaia. L’alloggio è sotto sopra, cassetti buttati sul pavimento e una poltrona è squarciata, le antine della credenza aperte e tutto il suo contenuto lasciato cadere per terra.  Nella stanza da letto identica situazione, chi è entrato qui stava cercando qualcosa.

“Lei signora non ha visto entrare sconosciuti nell’edificio?”.

“No, però tenga conto che io dalle dieci alle undici vado a comprare a fare spesa, può darsi che questa persona sia entrata quando non c’ero”.

“Persona o persone” esclama Tirdi.

“Chissà cosa stavano cercando?”.

“Bella domanda commissario, e soprattutto chi era veramente Ettore Beraudo?”.

Chiamo in questura e dico di inviare la scientifica, chissà mai che i visitatori abbiano lasciato qualche impronta.

“Proviamo a vedere se qualcuno dei condomini ha sentito qualcosa”.

 Purtroppo nessuno dei condomini presenti ha saputo dire qualcosa. Solo una bambina, rimasta in casa per la febbre, dice che le è sembrato sentire dei rumori, ma pensava provenissero dalla strada e non dall’alloggio di sotto.

Nel frattempo che Tirdi poneva le domande agli altri inquilini del palazzo, io davo un’occhiata nell’alloggio. Libri sparsi ovunque, prevalentamente testi latini, molti erano con pagine e copertine stracciate. Un paio di agende erano aperte, in una erano evidenziate date, numeri sottolineati, cifre, nelle altre sembravano appunti che  riguardassero il suo lavoro di professore.

Prendo con me le due agende, ma un pendolo attrae la mia attenzione. E’ fermo, lo trovo strano visto che sembra nuovo. Lo tolgo dal muro e guardo dietro la cassa, una chiavetta dentro un sacchettino di plastica con tanto di nastro blocca il meccanismo dell’orologio.

Rimetto il pendolo a posto senza la chiavetta e il movimento oscillatorio riparte.

Tornati in questura mi chiama il direttore della Stampa, mi avverte che dei giovani, probabilmente studenti, hanno riconosciuto la fotografia del morto:” Gli ho detto di venire da lei Berardi, hanno risposto che verranno in giornata”.

 A metà pomeriggio i ragazzi si presentano, sono in cinque.

“Siamo studenti del liceo Belli commissario, quando Alfio ha visto la foto del professore sul giornale è venuto ad avvisarci, il direttore della stampa ci ha detto di venire da lei”.

“Vi ringrazio per essere venuti, immagino che in classe siate molti di più”.

“Certamente, siamo una ventina in più. Abbiamo deciso di venire solo noi, è assurdo venire un’intera classe, abbiamo fatto male?”.

“In effetti, il mio ufficio sarebbe stato troppo piccolo per tutti voi, in ogni caso date al mio agente i nomi dei vostri compagni. Devo interrogarvi tutti”.

“Cosa volete sapere del professore Beraudo?”.

“Stiamo cercando di conoscere le sue amicizie, di cosa si occupava fuori dal liceo…”.

I ragazzi si guardano tra loro, ma scuotono la testa, la vittima era un solitario.

“Al di fuori del liceo l’avete mai frequentato? “.

Solo uno di loro abbassa la testa e risponde sottovoce di si, si chiama Paolo Larassi.

“Un paio di volte ci siamo frequentati perchè, mi aveva visto in difficoltà con la spiegazione della lezione”.

“Ripetizioni private?”.

“Non proprio, il professore non dava lezioni al di fuori del liceo,  a volte però gli argomenti di cui si parlava non riguardavano solo la materia scolastica”.

“Capisco, la frequentazione era occasionale?”.

La risposta è evasiva, non convincente per nulla, ma per il momento lascio perdere.

“Vi ringrazio ragazzi, se vi viene in mente qualcos’altro che riguarda il professore fatemelo sapere , e avvertite i vostri compagni che verranno interrogati al più presto”.

“Che ne dici?”.

“Commissario, penserei che il Larassi non ha voluto dire tutto, o per paura dei compagni o perché non ha voluto esporsi in prima persona davanti agli altri”.

“Perfettamente d’accordo, dì a Perino di mandare uno dei nostri a seguirlo con discrezione, che annoti quello che fa, i posti dove si reca, le amicizie, insomma la sua giornata tipo”.

Il questore mi chiama, vuole sapere come procede l’indagine, intanto il Ferrini lo aveva già chiamato lamentandosi del sottoscritto.

“Allora Berardi, ci sono novità?”.

“No signor questore, a parte questa chiavetta trovata nell’alloggio di Beraudo, alloggio messo sottosopra da uno o più misteriosi visitatori”.

“Faccia vedere…lei non ha idea a cosa serve? Sembrerebbe una chiavetta per una cassetta di sicurezza”.

“Ci ho pensato, ma ho anche ipotizzato un armadietto”.

“Anche questa ipotesi potrebbe essere valida, alla stazione consegnano cassette per i viaggiatori con piccoli bagagli che devono aspettare a lungo il treno in partenza“.

“Farò controllare sia le stazioni che le banche, sperando di avere una lista di chi ha affittato una cassetta negli ultimi mesi”.

“Pensa che il Beraudo sia finito in un giro losco?”.

“ A sentire i suoi studenti e la sorella era un tipo tranquillo, molto taciturno e solitario. Pure Ferrini lo ha confermato, ma è stato ammazzato. Qualcuno gli ha dato appuntamento alla ghiacciaia e il dottor Stresi ha confermato che la sua morte è avvenuta tra le due e le quattro del mattino. Che ci faceva un professore di liceo a quell’ora in quel posto? Evidentemente non era un tipo tanto solitario”.

Purtroppo le indagini non portano a nulla e le strade battute non danno i risultati sperati. Il ragazzo del liceo conduce una vita normale, unica nota annotata dall'agente è che Larassi frequentava sovente un circolo di canottaggio, il Circolo Sportivo Dilma, noto anche per essere un ritrovo di fascisti. L’agente riferisce di averlo visto sovente in compagnia di un uomo, dalla descrizione capisco che si tratti di Ferrini.

Di questi tempi non è cosa inusuale frequentare circoli  fascisti e in un circolo è normale che ci si conosca, ma una vocina dentro di me dice di indagare a fondo. Dato che ho sempre dato retta a questa voce, do ordine di mettere un paio di agenti in borghese e prendere nota se Ferrini e lo studente continuano a vedersi anche al di fuori del circolo.

Un paio di giorni dopo il delitto, in ufficio viene a trovarmi Berto accompagnato dai suoi genitori. Il povero ragazzino è ancora traumatizzato per lo spavento, però nonostante questo risponde a tutte le domande.

Ai genitori dico di stare tranquilli, non è in pericolo :”Non ha visto l’assassino, ma ha solo sentito un rumore che  potevano essere dei passi oppure la vittima che cadeva a terra o chissà altro ancora, in quei cunicoli il rimbombo si propaga, in ogni caso la stampa è all’oscuro di questa sua testimonianza”.

“Grazie commissario, la nostra paura è proprio questa, che qualcuno faccia del male a nostro figlio”.

“Potete stare tranquilli, se poi reputate necessario avere un nostro agente a sorvegliare il ragazzo, non ci sono problemi”.

Rispondono che non lo credono necessario. Dopo qualche altra domanda la famiglia esce dall’ufficio, io aspetto un paio di minuti, e poi esco per vedere se sono stati seguiti da qualcuno. Vero che i giornali non hanno menzionato al fatto che Berto ha sentito dei rumori di passi, però non è da escludere che l’assassino sia rimasto in zona ad osservare il nostro arrivo.

Mi tengo a debita distanza da loro ma non scorgo nessun tipo sospetto che li segue. Visto che non abitano distante dal negozio dove Maria lavora, decido di passare a prenderla all’uscita del lavoro.

“Ciao Marco, grazie per essere venuto. Allora l’indagine come sta andando?”.

Racconto gli ultimi avvenimenti dicendo che sono ancora in un vicolo cieco.

“Dici che c’è un nesso tra la morte di quel poveretto e lo studente con quel fascista?”.

“Forse, oppure no…ho messo degli agenti a controllare il ragazzo, speriamo che serva”.

“Mi avevi parlato di una chiavetta se non ricordo male”.

“Si, sto aspettando la lista delle persone che possono avere delle cassette di sicurezza, anche qui posso solo sperare che ci sia il nome della vittima”.

“Sono sicura che anche stavolta arriverai ad arrestare l’assassino…devo ammettere che ho un fidanzato in gamba”.

Sorrido e le scocco un bel bacio mentre ci avviamo verso casa. Solo nel fine settimana la lista tanto attesa arriva sulla mia scrivania, scorro i nomi e cognomi ma nulla, Beraudo Ettore non c’è. Alla stazione di Porta Nuova come quella di Porta Susa nessuno ha mai visto quell’uomo ne tanto meno ha fatto richiesta di una cassetta.

Ho fatto anche cercare nelle pensioni o hotel della città, ma è stato un buco nell’acqua.

Unico passo avanti è che Larassi, lo studente del Belli, si vede sovente con Ferrini. L’agente riferisce che si incontrano anche con altre persone, i luoghi di incontro sono all’aperto: “ Parco del Valentino o i giardini dietro Palazzo Madama”.

“Visto il caldo che fa lo trovo anche comprensibile, anche se…”.

“Lei pensa che è per non fare sentire i loro discorsi ad eventuali clienti di bar o piole?”.

“Ipotesi da non scartare, magari mi sbaglio, però meglio tenerla in considerazione”.

“Il problema è che non possiamo avvicinarci per ascoltare cosa dicono”.

“Lo so! Però un modo dobbiamo trovarlo, e se uno dei nostri andasse al circolo; magari facendosi assumere sotto falso nome? Di solito in quei posti hanno sempre bisogno di gente”.

“L’idea mi sembra buona, potrei andare io, ho un amico che lavora in un’altra società di canottaggio, potrebbe scrivermi le referenze da presentare al Dilma”.

“Perfetto Giorgini, mi raccomando di stare attento, se hai sentore di essere stato scoperto molla tutto e torna qui…quella è gente che non scherza!”.

Una comunicazione mi avvisa che devo recarmi dal questore immediatamente; mentre percorro i corridoi della questura i miei pensieri vanno a Ferrini.

Nell’ufficio del questore ci sono altri colleghi.

“Signori, vi ho convocato  oggi perché da Roma è giunta una missiva dall’ufficio del Duce. La nostra città è stata onorata dalla visita del Ministro dell’educazione nonché Governatore delle isole Egeo  Cesare Maria Vecchi, assieme a lui vi saranno il Maresciallo d’Italia De Bono e il senatore Fedele Pietro, membro della commissione per il giudizio dell’Alta Corte di giustizia. Assieme alle milizie di questa città abbiamo l’obbligo dell’incolumità di queste persone, mi aspetto da voi che tutto proceda senza sorta di pericoli di attentati”.

“Quando dovrebbe arrivare a Torino? Sanno già dove alloggeranno?” domanda un collega.

“A fine mese, il giorno 29 alle ore dieci alla stazione di Porta Nuova. Alloggeranno nella villa messa a disposizione dal segretario Ferrini, una villa a Moncalieri. I vostri informatori dovranno riferirvi ogni mossa dei comunisti o anarchici di Torino. Alcuni di loro sappiamo chi sono e dove abitano, altri purtroppo no, a voi il compito di sorvegliarli ed anticipare eventuali attentati. Questo è tutto signori, buon lavoro…dimenticavo, ogni giorno vorrei una vostra relazione”.

Stavo per uscire dall’ufficio quando il questore mi chiama e mi domanda se ci sono novità in merito all’uccisione di Beraudo. Rispondo che l’unica novità è che lo studente si vede con Ferrini.

“Vada piano Berardi, io ho stima di lei e l’ammiro, ma sa bene come me che quella è gente che non scherza, ha già avuto modo di toccare con mano il loro mondo”.

 

(Continua)

 

 

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

La ghiacciaia di Porta Pila( Primo capitolo)

Post n°2432 pubblicato il 06 Febbraio 2019 da paperino61to

 

 

E’ un’estate calda quella del 1935, Torino è coperta da una cappa di calura mai vista prima. Il caldo ha dato le sue avvisaglie già a metà marzo, e come non bastasse è da un paio di mesi che non piove.  Uno dei lavori più invidiati  in questo periodo è quello dei lavoratori che operano nelle ghiacciaie di Porta Pila. Queste persone che con attrezzi appositi frantumano il ghiaccio per poi portarlo a destinazione; il ghiaccio rimasto serve per conservare la carne macellata o il pesce.

“Berto, vame a piè un po’ d’giassa, muoviti perché il carico per il ristorante deve partire tra poco”.

“Va bene signor Luigi, corro”.

Il ragazzino prende il secchiello con gli attrezzi e correndo sui marciapiedi deserti di  Porta Pila, si infila nella rampa che porta sotto terra.  Una fiaccola illumina il lungo corridoio che sembra non finire mai. Berto è convinto che, a forza di scendere, arriverà al centro della terra, come il protagonista del  libro che ha appena letto.

Posa il secchiello, tira fuori gli attrezzi ma deve fare presto perché il signor Luigi lo sta aspettando. Dopo un paio di minuti si ferma sentendo uno scalpiccio arrivare alle sue orecchie. Domanda chi c’è, ma non ottiene risposta. Posa gli attrezzi e torna indietro, alla svolta del corridoio vede un corpo inanime a terra in una pozza di sangue che si allarga sempre più.  Accanto al corpo una piccozza.

“Ma dove si è cacciato quel disgraziato?” urla Luigi e chiudendo il negozio si avvia verso la ghiacciaia imprecando.

“Berto, dannato moccioso andova ses?”.

Lo vede immobile, tremante, si avvicina e gli domanda cosa è successo. Berto col il dito indica il corpo. In quel momento Luigi capisce perché il ragazzo non è tornato nel negozio; lo scuote con violenza e il ragazzino sembra destarsi.

“Berto, fila a ciamè la madama, te capi? Vai, sto io qui”.

“Quando avete finito di scattare le fotografie portatelo pure all’obitorio”.

“Si commissario, abbiamo quasi finito”.

“Allora signor Luigi, è stato il ragazzino ad aver trovato il corpo?” .

“Si, l’avevo mandato a prendere del ghiaccio, poi quando ho visto che tardava sono andato a cercarlo ed ho visto che…”.

“Come si chiama il vostro bocia?”.

“Berto. E’un bravo ragazzo, ligio al dovere e senza grilli per la testa. E’ il nipote di mia moglie…poverino, immagino come si senta dopo aver visto quel…quel cadavere, a le mort vero?”.

“Si, la piccozza gli ha rotto la testa. Quell’uomo non  l’avete mai visto da queste parti ?”.

“No, mai visto, comunque non siamo solo noi a servirsi della ghiacciaia”.

“Immagino, potrebbe farmi una lista? Appena è pronta me la faccia portare dal suo Berto”.

“A va bin commissario”.

“Andiamo Tirdi, hai preso i documenti della vittima?”.

“Presi. Si chiamava Ettore Beraudo è nato in un paesino vicino a Ivrea. Come professione risulta essere insegnante di latino”.

“Vediamo se ha parenti, era sposato?”.

“Sulla carta è scritto celibe”.

“In questura diramiamo i suoi dati ai colleghi del Piemonte, poi chiamo il nostro amico alla Stampa e  chiederò di pubblicare la foto che gli manderemo. Se siamo fortunati qualcosa salterà fuori”.

La piazza si sta animando degli ambulanti e dei clienti ma per ora la notizia del morto non è ancora trapelata. Passo da Romolo, una nostra vecchia conoscenza, che sovente ci ha dato informazioni sulla malavita locale.

“Ciao Romolo”.

“Berardi, che piacere rivederla, immagino che abbia bisogno del mio aiuto! Sempre a sua disposizione”.

Chiedo se conosceva un certo Ettore Beraudo, ma la risposta è negativa.

“Se mi concede del tempo posso chiedere in giro. Che ha combinato per avere la sua attenzione?”.

“Lo hanno ammazzato”.

“Poveretto, pace all’anima sua, chiederò in giro oggi stesso e se vengo a conoscenza di qualcosa l’avviso”.

Arrivati in questura chiamo il redattore della Stampa dicendo che in capo a breve riceverà la fotografia della vittima con il suo nome e cognome”.

“Commissario, ha chiamato Maria, chiede se può passare da lei al negozio”.

“Le è successo qualcosa Perino?”.

“Non credo, non ha detto nulla, ma sa come sono le donne…”.

Sbrigo alcune vecchie pratiche e poi mi incammino verso il negozio dove lavora Maria. Evidentemente sul mio volto traspare una nota di preoccupazione.

“Marco tranquillo non è successo nulla, è che non avevo voglia di tornare a casa da sola, ti va di fermarci da qualche parte a cenare?”.

La tensione sparisce e sorrido rispondendo di si,  così ci avviamo verso via Po’ per cenare al locale di Mamma Gina.

Maria mi racconta della sua giornata, chiedendomi se la mia è stata noiosa come la sua. Rispondo che a parte un morto a Porta Pila, il resto della giornata è trascorsa nel compilare scartoffie.

“Pover’uomo, sapete chi è?”.

“Si, aveva i documenti addosso, è un professore ma non sappiamo se ha famiglia”.

“Come si chiama? Magari è un cliente”.

Dico il nome della vittima e vedo Maria sbiancare.

“Lo conosci?”.

“Abbiamo una cliente con quel cognome, si chiama…si ricordo, Alice…Alice Beraudo”.

“Sai anche dove abita?”.

“Mi sembra in via Stampatori, ma non ne sono certa”.

Arrivati da Mamma Gina chiedo di fare una telefonata.

“Sei tu Tirdi? Ascolta, vai in via Stampatori e guarda se trovi una certa Alice Beraudo…non so dirti il numero civico, tu guarda sui campanelli o prova a domandare ai negozi intorno. Avvisami se la trovi, io sono da Mamma Gina con Maria”.

Come sempre Mamma Gina è insuperabile come cuoca, peccato non possa gustarmi la cena per intero poichè una chiamata mi avvisa di recarmi in via Stampatori. Hanno trovato la signora Alice Beraudo.

“Scusami Maria ma devo andare, rimani qui o vuoi che ti faccia accompagnare da un’agente a casa?”.

“Se a Gina va bene rimarrei qui, mi fa piacere scambiare due parole con lei”.

“Figliola, puoi rimanere quanto vuoi, tanto lo vedi anche tu, degli uomini non ci si può fidare, chi scappa davanti a questo fritto misto a lè ne tant a post”.

Maria ride di gusto mentre io concordo con Mamma Gina.

Dopo una ventina di minuti arrivo in via Stampatori e trovo Tirdi ad aspettarmi.

“Venga commissario, la signora abita al numero dieci. Non sono salito, mi sono limitato a chiamarla”.

“Hai fatto bene, è stata Maria a darmi il suo indirizzo è una loro cliente…potrebbe anche non c’entrare nulla con la vittima”.

La signora abita al secondo piano, la porta  ci viene aperta direttamente da lei. E’sui trent’anni, capelli biondi e un viso tondo. Domanda chi siamo.

“Ci spiace disturbarla signora Beraudo, siamo della polizia. Io sono il commissario Berardi e lui è l’agente Tirdi. Conosce un certo Ettore Beraudo?”.

La signora risponde che è suo fratello :” Non capisco…gli è successo qualcosa?”.

“Possiamo entrare?”.

L’appartamento è modesto, c’è una stanza sola, una brandina vicino alla finestra; il bagno è sul ballatoio all’interno del cortile.

“Purtroppo è stato ucciso”.

La donna viene sorretta da Tirdi perché ha avuto un mancamento. La fa sedere, lei si prende il volto tra le mani ed inizia a piangere, poi domanda come sia successo.

“E’ stato ritrovato nella ghiacciaia di Porta  Pila. L’ha trovato un ragazzino e in tasca aveva il documento di identità”.

“Immagino non sappiate chi sia l’assassino!” le parole le escono a fatica.

“Non ancora, stiamo cercando testimoni. Lei sa dirci qualcosa? Chi frequentava suo fratello? I suoi amici, il lavoro…”.

“Lavorava come  insegnante al liceo Belli, in fondo a corso Cairoli. Solo l’altra sera è venuto a trovarmi, mi ha detto di non preoccuparmi perchè sarebbe stato via per qualche giorno”.

“Quindi non abitava con lei? Sa dove andava?”.

“Ettore abita in via Vanchiglia al numero dieci. No, non mi ha detto nulla, anche se io ho chiesto un paio di volte la destinazione”.

“Aveva amici? Una fidanzata?”.

“No, fidanzata direi di no, me lo avrebbe detto. Era piuttosto solitario, di amici…una volta mi aveva nominato un certo Claudio…Claudio Ferrini”.

“Sa dove possiamo trovarlo?”.

“Non ho idea, io l’ho visto una volta sola, erano venuti da me, ma sto parlando di un anno fa, se non di più”.

“Che impressione le ha fatto questo Ferrini?”.

La donna volta lo sguardo verso la finestra, poi risponde che non gli piaceva : “A pelle mi era antipatico, mi dava l’impressione che si sentisse superiore non solo a me ma anche a Ettore”.

“Capisco. Purtroppo devo chiederle domani di recarsi alla sala mortuaria delle Molinette per il riconoscimento, l’accompagneranno i miei agenti”.

“Se devo…ora mi scusi commissario ma non c’è la faccio a rispondere alle sue domande…mi comprenda. Io ed Ettore eravamo molto legati, anche se non sempre mi diceva tutto”.

“La capisco signora, nessun problema, quando si sentirà meglio venga in questura e domandi di me…se le viene in mente qualcos’altro che ritiene utile per l’indagine me le comunichi”.

L’indomani mattina all’interno della Stampa compare la fotografia della vittima con accanto il suo nome. Verso metà mattinata ricevo una telefonata anonima :” Al suo posto lascerei perdere commissario, mi dia retta…lasci perdere l’indagine!”.

“Chi è lei? Pronto…pronto…”

Ha messo giù, Tirdi mi chiede chi era: rispondo che solo l’assassino ha interesse a fare cessare l’indagine.

“Credo che sia qualcuno che conoscesse Beraudo…magari quel Ferrini, a proposito sappiamo nulla di quel tizio?”.

“Ho mandato un’agente all’anagrafe”.

Solo dopo pranzo  l’agente torna con l’informazione che aspettiamo.

“Buongiorno commissario, sono riuscito a trovare l’indirizzo di Claudio Ferrini e della sua occupazione. E’ segretario della sezione fascista di via Alfieri e abita in Corso Parigi numero due ed è sposato con Clelia Arbuni”.

“La figlia di Adorno Arbuni?”.

“Esatto, il padre è un noto notaio in questa città, fervente fascista della prima ora”.

“Buon lavoro agente. Tirdi andiamo a parlare con questo Ferrini”.

Via Alfieri non dista tanto dalla questura, ma la calura che copre la città sembra raddoppiare i metri che percorriamo.

Entriamo nella sede fascista con l’immancabile saluto romano. Un paio di miliziani mi guardano torvo. Sanno benissimo chi sono.

“Cerchiamo Claudio Ferrini”.

“Perché lo cerca commissario Berardi?” domanda un miliziano.

Lo guardo e non rispondo : “ Si trova qui in sede?”.

Il miliziano risponde con la domanda precedente: perché lo sto cercando.

“A te non deve interessare, dimmi solo se è qui presente…occhio a non mentire altrimenti ti arresto per complicità in un delitto…e sai che non scherzo!”.

“Ufficio in fondo al corridoio, prima porta a destra”.

Una voce ci intima di entrare, è Ferrini. L’uomo è seduto alla scrivania, i capelli impomatati, un viso lungo e magro, un paio di occhiali, il labbro leporino.

“Chi è lei e cosa vuole? Si qualifichi!”.

“Sono il commissario Berardi…devo rivolgerle delle domande in merito…” non mi fa finire la frase.

“Io non ho nulla da rispondere qualsiasi sia l’argomento, ora esca dal mio ufficio, ho del lavoro da sbrigare”.

“Come vuole, nessun problema…una cosa sola, domani mattina alle nove in questura…altrimenti sarò costretto a richiedere un mandato di arresto”.

“Come si permette? Ma chi crede di essere? Lei non ha la minima idea di chi sono io!”.

“Claudio Ferrini amico di Ettore Beraudo”.

A sentire quel cognome il segretario si risiede e cambia tono di voce, meno arrogante e più accondiscendente.

“Va bene commissario, ricominciamo da capo. I miei nervi sono piuttosto scossi in questo periodo, cosa vuol sapere di Ettore, in quale guaio si è cacciato?”.

“E’ morto, lo hanno assassinato alla ghiacciaia di Porta Pila”.

Il segretario mi guarda sorpreso da questa affermazione, se mente è da attore consumato.

“Come morto? Ettore?...ma ne è sicuro?”.

“Si, la sorella ha confermato l’identità, ucciso da una piccozza lasciata sul posto. Purtroppo non ci sono impronte sul manico”.

“ Ghiacciaia? E cosa faceva li?”.

“E’ quello che stiamo cercando di capire, lei sa chi frequentava? Aveva una fidanzata? Parlava mai del suo lavoro?”.

“Una donna lo escludo, non perché fosse come quegli essere lascivi e disgustosi, ma perché era un solitario, amava starsene per conto suo. Ci vedevamo un paio di volte a settimana, si parlava soprattutto di come il nostro beneamato Duce spazzerà via gli oppositori e di come farà grande il nostro paese. E per quanto riguarda il suo lavoro so che era insegnante al liceo Belli, ma non me ne parlava quasi mai, anzi era piuttosto reticente in merito”.

( Continua)

 

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963