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Messaggi del 19/10/2022

 

Un castello, un papero, una Rosa ( Primo tempo)

Post n°2986 pubblicato il 19 Ottobre 2022 da paperino61to

Prologo: Un papero caduto in disgrazia per colpa del Mago delle Tasse, vaga ramingo nel suo castello immenso ai piedi della di una boscaglia ripensando ai bei tempi andati.

Mentre la bella e dolce Rosa, ha lasciato che il suo destino fosse scritto nelle parole di una canzone: “Fin che la barca va lasciala andare Fin che la barca va tu non remare Fin che la barca stai a guardare Quando l'amore viene il campanello suonerà Quando l'amore viene il campanello suonerà”.

Fu così che iniziò la storia che andrò a narrarvi con la barca che approdò sulle riva di una boscaglia. La donna spaventata scese e si incamminò tra gli alti alberi dove la luce del sole penetrava raramente.

Aveva smarrito la retta via, e si ritrovò in una selva oscura che nel suo pensier rinova la paura. La poverella si abbandonò a un pianto disperato che giunse alle orecchie di un personaggio alquanto strano e fosco.

Girava per la boscaglia con una tunica di rosso con tanto di cappuccio in testa e sopra essa una corona di alloro, il naso aquilino e un paio di occhi coloro nero squadravano la piccola Rosa. Con un accento fortemente toscano, così parve intuire la donzella che va nel bosco e non in campagna, domandò chi fosse.

“Gli uomini mi chiameranno Dante di Alighieri, ma io modestamente preferiscono mi chiamino il Vate Alighieri”.

“Vate?” e proseguì con uno strano linguaggio chiedendo se l’aveva capita.

“No, come fu possibile capirti con questa tuo strano linguaggio? Non sei di queste parti? Mi sembri più un abitante della Apulia…ma poco importa quel che intriga il mio cuor è che ti chiamerò Beatrice”.

La donna costernata e spaventata ripeté che si chiamava Rosa e che di questa Apulia non sapeva manco dov’era. Ma il Vate insisteva e alla decima volta che la chiamava Beatrice, lei scocciata dalla sua dolce bocca uscirono queste parole: “Le murte de chi

t’ è murte, vid sci te ne và, dia dà nu tuzz’( espressione colorita seguita da vedi di andartene altrimenti ti do una testata) di chiamarmi Beatrice una testata ti arriva”.

Il Vate, pardon colui che conosceremo nel corso dei secoli a venire come Dante di Alighieri rimase sorpreso a codesto linguaggio non propriamente femminile, ma fece spallucce e domandò alla donzella se voleva andar con lui nell’Inferno: “Vedrai il posto ti piacerà, l’albergo si chiama il Girone dei lussuriosi, ti farò conoscere tanti miei amici e quando la luna sarà alta nel ciel ci divertiremo…ti piace fare il trenino?” Un sorriso malizioso comparve sul volto del Vate mentre per tutta risposta arrivò dritto sul suo occhio un pugno che in confronto a quelli di un certo Cassius Clay erano carezze.

Rosa scappò a più non posso sfrecciando come un Superman in gonnella in quell’intricata selva fino a giungere innanzi al castello, pur paurosa decise di entrare, mentre alle sue spalle un certo Pietro Mennea le urlava: “Donna, viene con me a Città del Messico, insieme batteremo il record del mondo”.

Il cigolio del cancello non presagiva nulla di buono, tremante e spaventata domandò se vi era qualcuno. In risposta arrivò solo il silenzio. Il salone era immenso, con un dito toccò la polvere che la faceva da padrona sul divano.

“Qui non c’è nessuno, troppa polvere e ragnatele negli angoli” poi tra se e se esclamo: “Non è che sono finita nel castello di Dracula? Anche lì ci saranno polvere e ragnatele…Mudu’ Mia!!”(Madonna Mia).

Due occhi nascosti da dietro una porta la osservavano in silenzio, era il proprietario del castello.

Quando la donna continuava a criticare le condizioni del suo maniero il papero non resistette più ed uscì fuori gridando: “Donna, perché perdi fiato a criticare la mia magione, prendi scopa, straccio e secchio e pulisci se non ti aggrada ciò che vedi”.

 “Mò mange!(Stiamo freschi) Questo chi è?”.

“Il mio nome è Paperino, Conte di Vattelapesca e lei chi è signora?”.

“Mi chiamo Rosa e se lei è conte io sono la Regina dei taralli e delle cime di rape”.

“Pfui e doppio pfui…non conosco queste montagne”.

“Che montagne?” domanda la bella Rosa.

“Le cime di rape, io conosco solo delle cime di Lavaredo”.

La donna si mise le mani in testa e dalla sua bocca escono idiomi che è meglio non tradurre.

“Dimmi cosa fai nel mio bel castello paperindirondirondello
ma che bel castè paperindirondirondà”.

Sempre più basita donna Rosa tentò di dire al piumato alias Paperino cosa ci facesse in quella dimora ma dopo diversi tentativi rinunciò.

“Sgrunt, il nome non ha importanza sta di fatto che il castello bello è mio e tu cosa fai intrusa in gonnella?”.

“Cercavo riparo dall’assatanato Vate di Alighieri”.

“E tu perché una persona ti fa la corte, magari impalmandoti sull’altare entri in casa, pardon, castello altrui? Lo sai che hai disturbato le mie piume?”.

Rosa da donna furbetta capendo l’antifona esclama:

“Messer papero, cavaliere integerrimo e magari interista…”.

“Argh!! Blasfemia! Vade retro Satana bionda! Io inter….ioooo inter….non riesco manco a pronunciarla questa parola!”.

“Chiedo venia, perdono, cavalier messere, volevo solo dire che ho bisogno di aiuto e che domani mattina al sorgere del sole lascerò il vostro castello e la vostra persona”.

Il papero iniziò a passeggiare su è giù per la stanza, passeggiò per ore senza proferire parola. La luna era sorta e un vento gelido si era alzato.

“Va bene donna, potrai rimanere qui, vieni di farò vedere la tua stanza. E’ la migliore, la potrai paragonare a una suite imperiale”.

Detto ciò spalanco la porta, la quale per un miracolo non cadde in terra.

“Mudù mia!(Madonna mia) Questa è la suite? Posso immaginare le stanze meno nobili, mo t na da sci da do, please!”(Sei pregato di andartene via, per piacere).

“Madamigella Rosa, se lei parla in lingua straniera non capisco, qui, noio, siamo in Italia, Italy…conosce Italia vero?”.

“Noto cavaliere papero che tu sei sempre più assà u danne, flippato (Sei sempre più fuori di testa), conosci questo termine? Lasciami sola che è meglio altrimenti queste mura vedranno un sedere senza piume vagare per il castello…FILA!!!!!”.

Il cavalier sentendo il tono della voce non ci pensò due volte a fare dietrofront e ritirarsi nella sua stanza.

L’alba vide la dolce donzella uscire di soppiatto dal castello, tutto era silenzio, persino gli allegri fringuelli dormivano. Del sommo vate chiamato Dante manco l’ombra. Rosa guardò a destra, sinistra, centro in alto e in giù, ma niente quel tizio era sparito. Tirò un sospiro di sollievo ed iniziò ad avviarsi verso il sentiero. Percorse solo qualche passo che dietro alle sue spalle sentì questa frase: “Conoscete Porfirio Villarosa dalla bocca fascinosa?”.

Rosa si voltò e vide un tizio con una tuta da operaio avanzare verso di lei, capelli neri impomatati, camminata alla latin lover.

“Permette senora, il mio nome è Porfirio Villarosa, ogni suo desiderio è un ordine con mucho gusto”.

Rosa non sapeva se essere orgogliosa o arrabbiarsi, diffidava di questi sconosciuti.

Nel frattempo una piccola fauna si era formata accanto all’uomo e all’unisono iniziarono a cantare: “Porfirio, Porfirio, alle donne cosa fai? Tutte quante tu le inguai,

come mai, come mai. Porfirio, Porfirio, alle dive sai piacer. Qualche cosa devi aver, come fai, come fai?”

Rosa iniziò anche a lei a cantare ma nella suo dialetto e per fortuna il Porfirio Villarosa che non era né spagnolo né portoghese ma torinese e faceva il manovale alla Viscosa non capì cosa stesse dicendo. Nessuno donna aveva usato quel linguaggio strano. Ma poco importava, lui era affascinato dai suoi occhi e dal colore dei suoi capelli, dalle sue labbra dal sapor medio orientale.

La donna girò sui tacchi e ritornò di gran carriera al castello, dove il conte Paperino trasecolò nel vederla tornare, dentro di sé, una lotta si stava svolgendo. Una parte di lui la voleva fuori dai piedi, non sopportava la presenza di nessuno tantomeno femminile. Dall’altra però sperava si fermasse, c’era qualcosa in lei che le piaceva.

“Guarda, guarda, la passeggiata è già finita? Stavolta chi ha incontrato la dolce donzella, Yoghi e Bubu? Maga Magò?”.

“Ma quanto sei spiritoso piumato dei miei stivali. Ho solo incontrato un tizio di nome Porfirio…Porfirio qualche cosa di Viscosa”.

“Viscosa? Non conosco nessun nobile con questo nome. Immagino che mi domandi la grazia e magari anche la graziella per rimanere di nuovo al castello per non incontrare un futuro spasimante’”.

“Si se non le è troppo di disturbo…e visto che è ora di pranzo che dice se vado a metter su il mangiare?”.

Il papero la guardò con aria sospetta, donna in cucina è come dire donna al volante: pericolo costante. Ma sapeva che il suo stomaco si era stufato di mangiare sempre insalata, tonno in scatola e biscotti.

“Va bene donna, ti concedo il permesso…la cucina è in fondo al corridoio, lo capisci dalle pentole, stufe e tutto ciò che serve”.

Ce’ ta na sciut a Lecc? “(Per caso con la mente ti trovi a Lecce?) domandò Rosa, ma il papero la guardò stralunato, non aveva capito.

“Lascia perdere papero, non spremere troppo i neuroni…ora vado, ti chiamerò quando sarà pronto il pranzo”.

 (Continua) 

 
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