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Fallimenti
Post n°137 pubblicato il 08 Gennaio 2013 da meninasallospecchio
Di recente un “amico”, simpaticamente, mi ha detto che sono una fallita. Sono quelle piccole cose che fanno sempre piacere. Ora, io stessa, in un post precedente, ho dichiarato il mio fallimento rispetto alla mia attuale condizione: anni fa, con il mio ex, ci siamo lanciati in un progetto megalomane per ristrutturare una grande cascina e farne un agriturismo, senza avere i mezzi economici, le risorse di energia e probabilmente neanche le capacità. Ne è uscita una cosa a metà: una bella casa in un un bel posto, ristrutturata solo in parte, un agriturismo microscopico che è poco più di un hobby. Ci si poteva anche accontentare dopotutto, vivevamo d'altro, in teoria non ci mancava nulla, ma sulle macerie di questo progetto si è schiantata anche la nostra coppia. Il risultato è che sono qui da sola, con un sacco di difficoltà logistiche, a fare una vita che è molto diversa da quella che vorrei. Ok, me la sono cercata, dice l'amico. Ok, c'è chi sta peggio di me, non c'è nessun dubbio. Potrebbe anche succedere che non ne esca tanto male. Per me resta lo stesso un fallimento, un conto è buttare un pezzo di vita alle ortiche quando hai realizzato quello che volevi, un conto è lasciare il tavolo prima della fine della partita, anche quando è la scelta giusta perché stai perdendo. Nel frattempo faccio o dovrei fare un altro mestiere, quello per cui ho studiato. Sono una ex Giovane di Belle Speranze, prima della classe, brillante e disinvolta. Figlia di piccola borghesia, non abbastanza proletaria per avere il mito del denaro, la determinazione a sgomitare nella vita per l'ascesa sociale. Quelli come me avevano piuttosto l'aspirazione al lavoro “bello”, interessante, non i soldi o la carriera. Io ho sbagliato a monte, a scegliere un campo che non mi dispiace ma verso il quale non nutro nessuna passione, ammesso che sia capace di nutrire passione verso alcunché, dato che, a onor del vero, mi interessa tutto e niente (sono sempre quella del nulla cosmico, ricordate? :-) ). Nonostante questo per qualche tempo ho avuto la fortuna di essere appagata da quello che facevo: amo le relazioni sociali più di qualsiasi sfera dell'attività umana, per un periodo ho avuto la mia parte di soddisfazioni, anche se il tempo passava e io restavo ex Giovane di Belle Speranze. Comunque non è durata, non per colpa mia. Non c'era modo di riprodurre la situazione, ho ricominciato su un altro binario, poi è andata così. Adesso sono quasi senza lavoro. Oggi stavo iniziando a scrivere una mail, probabilmente inutile. E' un tizio con cui avevo parlato tempo fa, mi aveva accennato alla possibilità di darmi del lavoro. “Non ti chiedo nemmeno di mandarmi il curriculum” mi ha detto, anche se a dire la verità ci conosciamo appena. Botta di autostima, dopo un decennio fuori dal mondo. Ma non l'ho più sentito. Insomma, la mia bozza di mail comincia così: “Spero che ti ricordi di me”. No! Non ce la posso fare. E non è uno stronzo questo tizio. Uno di quelli che ti trattano dall'alto in basso e ci godono a farti sentire una merda quando sei in difficoltà. No, al contrario, è simpatico e amichevole. Va be', la mail la scriverò domani, magari inizierò in modo meno pietoso. Sono sicura che altri al mio posto non si farebbero tutte 'ste pippe. A volte sarebbe meglio non essere ex Giovani di Belle Speranze. Torniamo alla questione iniziale: sono una fallita? L'amico naturalmente includeva nel pacchetto anche il fatto che ho lasciato due mariti e sono sola. Mah... devo dire che, mentre l'aver mancato un obiettivo è una cosa che riconosco e in qualche modo mi affligge, l'essere falliti come condizione esistenziale è un concetto che mi è estraneo. Come si riconosce il fallimento dalla riuscita? Rispetto a quale sistema di valori? Io non ce l'ho questo metro, se altri ce l'hanno potranno giudicare me o se stessi. A quest'ora potrei essere con il mio primo marito in una bella casa, con un buon lavoro, la casa al mare e la noia che mi divora. Questo farebbe di me una persona riuscita? La mia ottantasettenne genitrice è famosa per le sue gaffe e le uscite surreali. La sua ultima trovata è una lamentazione sul mio primo marito (ci siamo lasciati nel '96!) e sulla vanità dei suoi sforzi culinari. “Per 13 anni l'hai portato a mangiare a casa mia, tutti i tajarin che ho fatto, tutto per niente!”. Già. Siccome ci siamo lasciati (e senza nemmeno aver “prodotto” un figlio), i tajarin di mia madre sono andati sprecati. La butterei volentieri dalle scale, ma l'immagine dell'infinita vanità dei tajarin è attraente metafora esistenziale. Ho fatto tante cose nella mia vita e tante spero ne farò ancora. Tutte sbagliate? Sono pezzi di vita, alcuni belli, alcuni brutti. Alcuni apparentemente lieti ma noiosi, altri sofferti ma intensi. Non ho dei gran rimpianti, guardo avanti, non ho sprecato i miei tajarin. Non ho la sensazione di aver buttato via la mia vita, ce l'avrei se fossi rimasta immobile. Il lavoro è andato com'è andato, ho voluto fare altre cose, le ho fatte. Ho privilegiato la varietà rispetto alle scelte focalizzate, è la mia natura. Conosco persone che hanno fatto scelte diverse. Come il venditore di almanacchi di Leopardi mi guardo intorno e non trovo vite altrui da desiderare. Non chi ha fatto carriera e non trova il tempo per godersi la vita o si rode il fegato perché non è mai abbastanza. Non chi ha o si illude di avere la famigliola felice, impacchetta regali di Natale e si mette in coda sull'autostrada a Ferragosto. Non posso onestamente essere soddisfatta di quello che ho fatto, ma sono soddisfatta di quello che sono, credo sia più importante. Mi tengo le mie rogne, la mia solitudine, la mia bozza di mail a metà, le mie elucubrazioni senza scopo e le tante storie che mi piace raccontare.
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