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Umorismo piemontese
Post n°253 pubblicato il 24 Ottobre 2013 da meninasallospecchio
Ho voluto parlare dell'origine del termine lapalissiano e dell'uso comico della tautologia, per introdurre l'umorismo piemontese. Minchia, direte voi, il famoso umorismo piemontese! Vabbé, non sarà famoso, ma è quello che passa il convento, vedete di accontentarvi. Lo humour piemontese non è quello della Littizzetto, che pure è mia grande maestra. Quello ha una matrice cittadina, poco tradizionale. Pensate per esempio a Odifreddi: ovviamente lui non è un comico, ma è sempre brillante e spiritoso: il suo understatement non deriva dall'essere un matematico e un razionalista, come vorrebbe far credere, ma dall'essere piemontese. Ancora più tipici erano Fruttero e Lucentini: loro hanno proprio le caratteristiche della piemontesità, l'understatement e l'autoironia, declinati in una forma morbida, che suscita più il sorriso che la risata. Comunque, nell'umorismo piemontese, quello tradizionale e dialettale, la figura più tipica è proprio la tautologia. Credo che faccia ridere soltanto noi; gli altri, non solo non ci trovano niente da ridere, ma non capiscono neanche di che cazzo stiamo parlando, e non soltanto a causa del dialetto. A una serata di canti popolari, il capo della corale di Ivrea sciorina un detto: Quandi la Cavalaria l'ha el capèl, o c'a fa brüt o c'a fa bel Il mio ex ligure traduce: Quando la Cavallaria (montagna nei pressi di Ivrea) ha il cappello di nubi, il tempo sarà variabile; aggiungendo ilarità all'ilarità. Nooo. Vuol proprio dire: o fa brutto o fa bello. Cioè, non si sa un cazzo di che tempo farà. Non so se apprezzate. La tautologia in forma di proverbio è proprio la saggezza popolare che prende in giro se stessa. Come a dire l'impossibilità e il ridicolo dell'attività stessa del sentenziare. Ci sono anche dialoghi di questo tipo: - e se piove? - se piove facciamo come fanno i francesi - cioè??? - lasciamo piovere C'è una canzone da osteria, uno dei miei cavalli di battaglia, si chiama I'alpìn à la stasiùn, Gli alpini alla stazione. Descrive una situazione tipica di una stazione, il treno che arriva, la gente che si saluta e prende posto, il treno che parte. E' una canzone lunghissima, in cui, come spesso succede nei canti popolari, ognuno è libero di cantare le strofe che preferisce o aggiungerne di nuove. Ma la caratteristica di ogni strofa è quella di essere tautologica, proprio come la chanson di Monsieur de La Palice. Per esempio: Cun en pé ans'el predelìn... Con un piede sul predellino. Il verso è ripetuto tre volte. Cun en pé ans'el predelìn... Voi dovete immaginarvi una canzone lenta e strascicata, cantata con intonazione triste. Per ripetere il verso tre volte ci vuole un quarto d'ora. Cun en pé ans'el predelìn... A questo punto l'aspettativa è al massimo. Non tutti conoscono la canzone, il gruppo si limita a ripetere il primo verso. Quelli che la conoscono sogghignano pregustando l'effetto. E l'atr an tera E l'altro per terra! E già, se un piede sta sul predellino, l'altro dove potrà mai essere? Ok, lo so che non vi fa ridere, noi invece ridiamo come pazzi. Ma il problema è vostro, non nostro. Il fatto è che non avete del vino abbastanza buono.
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