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1994
Post n°337 pubblicato il 20 Maggio 2014 da meninasallospecchio
Ve le ricordate le elezioni politiche del 1994? Certo, come dimenticarle: quelle in cui assistemmo attoniti alla vittoria di Berlusconi. E ancora non sapevamo che non ce ne saremmo più liberati. Bene. Lo sapete che cosa ho votato in quelle elezioni? No, non lo sapete, ma io adesso ve lo dirò. Ho votato Alleanza Democratica. Ecco, adesso che ve l'ho detto ne sapete tanto come prima. Perché, direte voi, che cazz'è, o meglio che cazz'era, Alleanza Democratica? Boh, faccio fatica a ricordarmelo anch'io, ma evidentemente allora doveva essermi sembrata una buona idea. Non vorrei farla tanto lunga. Diciamo che sulle ceneri della prima repubblica erano nate diverse formazioni politiche. L'idea era quella del bi-partitismo, ma per coltivarla efficacemente ognuno fondava il proprio partito e diceva che gli altri avrebbero dovuto confluirci dentro. Alleanza Democratica era uno di questi partitini, nato per essere una coalizione delle forze di centro-sinistra e poi rimasto isolato rispetto al PdS. Successivamente, l'idea del bi-partitismo si stemperò nel bi-polarismo e AD confluì nell'Alleanza dei Progressisti, primo e fallimentare embrione di quello che nel '96 sarebbe stato l'Ulivo. AD era stata fondata da personaggi all'epoca nuovi e piuttosto limpidi, anche se in questi vent'anni hanno avuto quasi tutti modo di sputtanarsi fra trasformismi e opportunismi di vario genere. Adornato, Bordon. Si sono salvati quelli che si sono ritirati dalla politica: fra loro l'ex sindaco di Torino Valentino Castellani, personalità degna di ogni rispetto. Chissà, forse fu dopo aver votato lui come sindaco, che pensai di votare il suo partito alle politiche. Ad ogni modo AD prese l'1,2%. I miei ricordi sono confusi. Giurerei che si trattasse della sera in cui uscirono i risultati delle politiche. Però era marzo, mentre io ricordo una serata tiepida, quindi forse mi confondo con le europee dello stesso anno. Doveva essere il lunedì o forse il martedì, quando per la prima volta si scoprì che gli exit poll in Italia non funzionano e che chi vota Forza Italia non lo dice, né ai sondaggisti né al confessore. Come dicevo, era una serata tiepida a Torino. Con il mio primo marito uscimmo quella sera insieme a una coppia di vicini di casa. Una coppia come noi, entrambi laureati, senza figli. Appena un po' più vecchi e più benestanti di noi. Lui aveva votato Forza Italia. Gongolava. Non so che cosa avesse votato lei, ma non era berlusconiana, e, blandamente, si fingeva indignata con il marito. Il mio, di marito, era decisamente contrariato; io invece ero nera. L'amico mi prendeva per il culo. Che cosa hai votato? Alleanza Democratica? Ahaha! Quanto hanno preso? L'1%? Ahaha. Andavamo al ristorante libanese, in via Monte di Pietà, a due passi da casa nostra. Chissà se c'è ancora. Era un bel locale e si mangiava bene; sempre le stesse cose, ma ogni tanto si poteva fare. Il proprietario era un bell'uomo alto e magro, la carnagione chiara, i baffetti corti e negli occhi azzurri uno sguardo malinconico da esule. I suoi modi erano gentili e distaccati, troppo signorili per non sembrare inadeguati nel servire a tavola. Di fianco, a pochi passi dal ristorante, c'era la sede di Alleanza Democratica. Ci passammo davanti, all'andata e al ritorno. La porta era aperta. Dentro si vedeva una stanza non molto grande, le schiene di persone sedute in alcune file. Chi ci sarà stato? Castellani, sicuramente. Franco Debenedetti. Non so chi altro militasse in AD a Torino. "I tuoi amici sono lì che piangono", rise il vicino insistentemente. L'ho perso di vista, ma non credo che rida ancora, dopo vent'anni in cui immagino che anche il suo, di benessere economico, sia stato fortemente ridimensionato, con questa situazione di pezze al culo in cui ci siamo ridotti. Comunque quella sera rideva. Non soltanto della mia condizione di perdente, ma credo soprattutto di questa mia scelta, così assurdamente minoritaria. Quelli di AD sostennero in seguito che, anche se il loro partito si dissolse, la loro idea si realizzò. Accadde anni dopo con Veltroni, quando finalmente nacque il Partito Democratico, anche se l'unità della sinistra resta una chimera, il sogno di un partito in cui tutte le idee si confrontano ma, alla fine, si resta uniti dietro alla linea maggioritaria. Non succederà mai, siamo l'Italia dei venti tipi di caffé diversi. Ma io non lo faccio più. Se vuoi un grande partito di sinistra, voti un grande partito di sinistra; non uno che prende l'1% sostenendo che quello che ci vorrebbe è proprio un grande partito di sinistra. Non voglio essere la solita snob testa di cazzo che ritiene più importante una minuscola rappresentanza di un'idea piuttosto che la possibilità di agire e modificare la realtà. Non voglio erigere la diversità a scelta di vita, non in politica. Come se la vocazione minoritaria fosse il segno distintivo dell'essere migliori, più nobili, più giusti, più etici. Se sarò perdente perché ho perso, me ne farò una ragione. Ma non voglio scegliere di essere perdente, soltanto perché sembra intellettualmente più elegante.
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