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Scrittura e verità

Post n°345 pubblicato il 20 Giugno 2014 da meninasallospecchio

Ci sono tre cose nella vita che tutti dovrebbero provare: la droga, il sadomaso e scrivere. Guardate che non scherzo. Probabilmente ce ne sono anche altre, per esempio il combattimento tipo Fight Club. Che cos'hanno in comune queste esperienze? Sono viaggi della mente, percorsi introspettivi al confine con la psicoanalisi; è come se aprissero delle porte interiori, che poi rimangono spalancate, a lasciar fluire una coscienza di sé più rilassata, più indulgente. Quello che sta dietro quelle porte può essere positivo, negativo, bello, brutto, non importa: è l'io con tutta la sua ricchezza e i suoi limiti, con tante facce che ci appartengono tutte e svelano non soltanto le debolezze, ma anche mille potenzialità.

Di droga vi ho già parlato, e di sadomaso... non sono pronta. A questo giro parlerò dello scrivere. Non è la prima volta che propongo delle considerazioni su questo argomento, perché trovo utile e interessante fermarmi ogni tanto a riflettere su quello che faccio.

Vorrei partire dal racconto che forse ricorderete delle lettere di mia madre. Faccio una premessa: tutto quello che ho raccontato è assolutamente vero, ammesso che questo abbia qualche importanza. In realtà lo sto dicendo soltanto per spiegare quello che segue. Forse avrete notato in quei post, soprattutto nell'ultimo, un registro piuttosto diverso dal mio solito, molto più serio, più drammatico. Naturalmente avrete pensato che era il contenuto a giustificarlo. Bene, non è così. La verità è che quel registro l'ho scelto deliberatamente.

Un lettore che non mi commenta in pubblico, e che suole rivolgermi critiche feroci, mi aveva detto: sei come uno strumento che suona sempre la stessa nota; prova a suonare altre note. E così ho provato. La domanda è: ora che sapete che ho fatto una fredda scelta di stile, cambia qualcosa nell'empatia che molti di voi hanno mostrato nei miei confronti in quella circostanza? Il fatto che io scriva con il cervello e con la tecnica anziché con il "cuore" rende falso quello che dico?

Il punto è che tutti scriviamo con il cervello, non esiste un altro modo. Dove c'è una tecnica, e nell'articolare parole, fosse pure per dire ti amo o vaffanculo, c'è sempre una tecnica, ci sono anche un pensiero e delle scelte.

La storia delle lettere di mia madre avrebbe potuto benissimo essere raccontata con un registro ironico, quello che uso nella maggior parte dei casi. E non sarebbe stata né più né meno vera. E anch'io sono la stessa persona, e posso ridere o piangere della stessa cosa.

E qui vengo al punto. Perché c'è un ritorno, dalla scrittura, qualcosa che lo scrivere ti restituisce, indipendentemente dalla qualità del risultato. Nella scelta del registro, all'apparenza così distaccata, c'è l'opzione fra il ridere e il piangere. Non il lettore, ma chi scrive; il lettore riderà e piangerà soltanto come conseguenza e soltanto se la qualità della scrittura avrà trasmesso l'emozione. Credetemi, non è il contrario: non è l'umore a condizionare la scrittura, non per me almeno. Il mio "esercizio di stile" mi ha fruttato parecchi giorni di sofferenza autentica. Avrei potuto affrontare tutta la vicenda in chiave umoristica e mettere quella merda nel tritacarne dell'ironia. Ne sarei uscita fresca come una rosa. Perché è così che funziona, è così che ho usato il blog tante volte.

Mentre scrivi scegli chi vuoi essere, come vuoi essere. Non è finzione, possiamo essere tutto quello che c'è nella nostra mente, il chiaro e lo scuro, il camionista, la signora, la puttana, l'intellettuale, la buffona, il riso, il pianto, la forza, la fragilità. Scegliamo l'abito da metterci, ma è un abito che fa il monaco, uno strumento da manipolare con cautela, perché agisce sulla nostra pelle. Sono scelte, naturalmente. Si può anche decidere di rimanere in superficie, non è obbligatorio farsi del male. Del male e del bene, o entrambi o né uno né l'altro: semplicemente delle esperienze, uno scavare dentro di sé.

Accidenti, non ho mica finito. Volevo parlare della scrittura creativa, mi tocca continuare in un altro post.

 
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