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La partenza per il mare

Post n°448 pubblicato il 23 Giugno 2015 da meninasallospecchio

Visto che mi si è scatenato questo amarcord vacanziero, vi racconterò l'epopea dei viaggi verso il mare della mia infanzia. Gli accadimenti di seguito narrati si sono ripetuti pressoché invariati lungo un arco di tempo di circa un ventennio, a partire della mia primissima infanzia fino alla laurea.

Si partiva per il mare il 28 di giugno. Ho guardato ora su google maps: l'appartamento in Liguria che all'epoca possedevamo dista da casa nostra 113 km, anche se noi impiegavamo per raggiungerlo circa due ore e mezza. Eppure lungo tutto l'arco dell'anno non ci andavamo MAI. Soltanto per le vacanze, il 28 di giugno. Perché proprio il 28? Be', prima c'erano gli scrutini e non si poteva partire. A quel punto tanto valeva aspettare il 27, quando si prendeva lo stipendio e poi si poteva andare in vacanza senza pensieri.

Si preparavano bagagli per una settimana. Ci portavamo dietro TUTTO, compresi viveri per un mese, perché in Liguria tutto costava più caro. Durante questa settimana di preparazione, mia madre era totalmente intrattabile: più del solito intendo. Io e mio fratello le stavamo accuratamente alla larga, ma questo peggiorava la situazione quando ci intercettava, perché era inammissibile che noi ce ne stessimo a leggere giornalini mentre lei si faceva il mazzo. Pertanto ci trovava immediatamente qualche lavoro da fare, che noi facevamo controvoglia e in ogni caso non nei modi e nei tempi che lei voleva. Per cui ci urlava contro per tutto il tempo, finché veniva distratta da altre incombenze e noi trovavamo il modo di eclissarci nuovamente.

Finalmente arrivava il giorno X. Si partiva nel pomeriggio, verso le 3, dio solo sa perché si dovesse partire nell'ora più calda, ma probabilmente era il risultato dei complessi algoritmi organizzativi di mia madre. Mio padre era dispensato da qualsiasi attività perché lui guidava. Impresa che era considerata particolarmente eroica, alla quale si preparava con qualche esercizio ginnico e un coscienzioso riposo, come un gladiatore che si appresti a scendere nell'arena.

Fra le 2 e le 3, mentre il capofamiglia riposava, io, mia madre e mio fratello scendevamo per riempire il bagagliaio. E qui si apre una parentesi. Alle auto appartenute alla mia famiglia si imponeva un solo requisito: che avessero il bagagliaio GRANDE. Perché serviva per andare al mare. Ovviamente questa caratteristica ci consentiva di ottenere significativi risparmi su fusilli e fette biscottate che in Liguria costavano molto più cari e che noi astutamente stipavamo nell'auto.

L'operazione trasporto bagagli in questa fase era piuttosto semplice, perché c'era l'ascensore. Naturalmente tutto il condominio era al corrente delle nostre grandi manovre, per cui attendevano pazientemente che si spegnesse la lucina di Occupato, anziché gridare ASCENSORE!!! battendo sulla grata. Alla fine tutti i bagagli erano accumulati davanti al garage.

Ai fini di ottimizzare lo spazio nell'auto, c'erano molte borse di piccole dimensioni, ciascuna con un contenuto ben preciso attinente ad una specifica funzione. Su queste spiccava la mitica Borsa delle Uova, che nessuno a parte mia madre aveva il permesso di toccare. Era uno scatolone di quelli dei Novellini formato famiglia, riempito di uova fasciate in carta di giornale a gruppi di 3 e poi di 6, chiuso con uno spago e inserito in un sacchetto di nylon. Toccare la Borsa delle Uova era un sacrilegio pari alla profanazione dell'ostia. Ma quando cessai di essere una bambina e mi fu conferita la qualifica di vergine (insomma...), condivisi il privilegio di vestale della Borsa delle Uova.

L'operazione di riempimento del bagagliaio era il capolavoro del talento organizzativo di mia madre. Soltanto lei riusciva nell'impresa. Ricordo che ogni anno, alla vista di borse e borsine distese nel cortile, con una rapida valutazione del volume a disposizione, tutta la famiglia e qualche condomino di passaggio affermava convintamente: "Non ci staranno mai". Ma mia madre risoluta rispondeva: "C'è sempre stato tutto". Dopo di che, come un chirurgo intento a una impegnativa operazione, chiedeva a noi suoi assistenti di passarle i vari colli, che lei conosceva per forma, colore e contenuto, e sapientemente li piazzava a riempire ogni interstizio, finché nel bagagliaio non sarebbe entrata neanche una formica. Alla fine sorrideva soddisfatta.

Ancora un giretto in casa per chiudere acqua, gas e abbassare le tapparelle (non del tutto perché i ladri non sapessero che la casa era vuota), mio padre scendeva con noi e si poteva partire.

 

(continua)

 
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