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Quale italiano parliamo? - 4

Post n°481 pubblicato il 20 Ottobre 2015 da meninasallospecchio

Prima di proseguire il discorso parlando del congiuntivo, vorrei chiarire la differenza che per me intercorre fra un errore e una variante linguistica. Lo accennavo nella risposta a un commento. Ero partita da Manzoni e dal suo "fiorentino delle persone colte" e lo ribadisco ancora una volta. Anche se una semplificazione delle nostre regole sarebbe nel lungo termine auspicabile, la lingua a cui mi riferisco è sempre quella parlata dalle persone istruite. Persone istruite normali, non tromboni di 80 anni che parlano in burocratese; e nemmeno inventori di neologismi dalla diffusione limitata a un blog. Le persone normali che si esprimono per lo più correttamente in italiano.

Quindi perché no al passato remoto e sì al congiuntivo? Primo: perché in tutto in nord-Italia il passato remoto non viene utilizzato da nessuno, istruito o non istruito. Secondo: perché non solo non lo usiamo, ma lo percepiamo come un arcaismo che ci fa sorridere.

Vale lo stesso per il congiuntivo in centro-Italia? No. E' vero che molti romani, anche istruiti, ne fanno un uso più limitato rispetto alle prescrizioni della sintassi. Però non è che non lo usino, lo usano meno; e soprattutto non troverebbero insolito o buffo il sentirlo utilizzare da altri in modo più esteso. In altre parole il congiuntivo non è considerato un arcaismo in nessun posto in Italia.

Dice l'Accademia della Crusca:

Nonostante le frequenti dichiarazioni sulla presunta morte del congiuntivo nelle frasi dipendenti nell'italiano contemporaneo, esso è ancora vitale; in alcuni casi, però, per i parlanti è poco economico (nel senso linguistico del termine, ovvero difficile da gestire) e quindi viene sostituito con l'indicativo.  ...  "se, [...] dopo aver studiato il congiuntivo, e sapendolo usare, voi deciderete di «farne a meno», di sostituirlo con altri modi, questa sarà una scelta vostra. Ciò che importa, in lingua, non è scegliere il modo più elegante, più raffinato, ma poter scegliere, adeguando le scelte alle situazioni comunicative" (ALTIERI BIAGI 1987: 770).

Bene. Con questo spero di aver chiarito la mia posizione che, rispetto al congiuntivo, non è affatto per l'eliminazione, anche se considero ragionevole guardare con tolleranza all'uso ridotto che se ne fa in alcuni contesti.

Non posso fare a meno di rimarcare che in una grammatica francese le regole del congiuntivo occupano sì e no una decina di righe, mentre in quella italiana servono parecchie pagine di esempi e contro-esempi. Non so voi, ma io il perché me lo chiedo. Il francese non è una lingua da baluba: ha la stessa origine neo-latina dell'italiano ed esprime una civiltà e una cultura che da almeno 500 anni a questa parte è più viva e importante della nostra. Perché loro hanno delle regole e noi no?

Semplificando, siamo soliti dire che il congiuntivo è il modo della possibilità, mentre l'indicativo è quello della certezza. I francesi usano l'indicativo con tutti i verbi di opinione, forse sono sicuri di quello che pensano. Usano invece il congiuntivo con i verbi di sentimento: volere, preferire, desiderare, temere, ecc., perché evidentemente questi ti proiettano in un mondo di incertezza. Ma di questi verbi che reggono il congiuntivo c'è una bella lista; ti impari quella e les jeux sont faits.

In italiano invece posso dire:

Se penso che uno è un coglione, manco gli rispondo.

oppure

Se penso che uno sia un coglione, manco gli rispondo.

Sono entrambe giuste, con una sfumatura di significato diversa. Nel primo caso "penso" significa "sono convinta", esprime una realtà; nel secondo significa "ipotizzo", considero la possibilità. Per inciso sono entrambe false, come avrete notato rispondo sempre a tutti.

Invece il romano che dice:

Vuoi che ti preparo un caffé?

questo in teoria sarebbe un errore. Ma se fossi una prof credo che lascerei correre (a Roma, a Torino no): metterei uno di quei segnetti rossi a forma di vermicello sotto al verbo, ma non conterei errore, concederei il beneficio del dubbio della variante.

A Torino non lascerei correre perché per noi il congiuntivo non è "anti-economico", perché è nativo nel regionalismo. Esiste, vivo e vegeto, in dialetto, persino nelle canzoni da osteria. Un giorno o l'altro vi parlerò di Maria Giuana, una nenia da ciucchi che si dice risalga al 1400 e che è piena di congiuntivi in tutte le salse, persino laddove nemmeno l'italiano lo userebbe.

Vabbé, spero si sia capito che tutti questi errori o varianti di cui ho parlato non sono un mio problema. A me si attaglia perfettamente la citazione di cui sopra: faccio alcuni "errori" non per ignoranza ma per scelta, ne parlerò al prossimo post. Mi piacerebbe tuttavia che la lingua italiana avesse, al di là delle scelte, regole un po' più chiare, tali da poter essere spiegate a chiunque non le applichi nativamente, che sia un bambino di 10 anni, un romano, un francese o un tunisino. E mi piacerebbe poter fare qualche riflessione, magari anche un po' provocatoria, con rilassatezza, senza troppe levate di scudi ideologiche. Tranquilli, non sto proponendo a Renzi di fare la riforma della grammatica.

 
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