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Nuovi generi letterari

Post n°501 pubblicato il 09 Marzo 2016 da meninasallospecchio

Pare che io abbia inaugurato un nuovo genere letterario: la nota sul registro.

L’altro giorno c’era il collegio dei docenti. Uhm… sarà meglio che spieghi a voi babbani di cosa si tratta. Ogni tanto il preside, pardon, il dirigente, convoca una riunione di tutto il personale docente, cioè dei prof, per discutere di argomenti di rilevanza topica, come ad esempio il PTOF. Il PTOF… vabbé, non fa niente, cose che voi babbani non potete capire.

Comunque. Il collegio dei docenti si svolge in una saletta nel seminterrato, denominata pomposamente aula magna. Del resto è tutto è relativo. La saletta è in realtà composta da due vani comunicanti. I secchioni si siedono davanti, mentre i cazzari allignano nelle retrovie, dove, grazie anche alla mezza parete che separa i due vani, si possono fare impunemente i cazzi propri. Non diversamente dagli studenti che studiano un’altra materia nella tua ora, infatti, anche i prof si portano compiti da correggere, tablet e smartphone con cui messaggiare. Ovviamente mi pregio di appartenere alla stirpe dei cazzari. D’altronde, che mi frega del PTOF, chissà il prossimo anno dove sarò. Ciò nondimeno partecipo scrupolosamente alle votazioni su qualsiasi argomento, prediligendo quelle a scrutinio segreto in cui posso esprimermi in modo vagamente destabilizzante.

L’altro giorno, seduta dietro di me, c’era una prof che non conosco. Tenete presente che sono lì da meno di 5 mesi. Neanche pochi, direte voi. Già, ma bisogna fare i conti con il fatto che a una certa età si è un po’ rincoglioniti. Aggiungo che nel mio caso non si tratta solo dell’età: per me l’identificazione delle facce delle persone è sempre stata un problema, anche quand’ero giovane. Ho cercato ora in rete: pare che questo disturbo si chiami prosopagnosia e ho appena fatto un test dal quale risulto senza speranza.

Vabbé, ma non è solo questo. Certi prof, con cui non abbiamo classi in comune, non li incrocio mai. Oltretutto ci sono due sale professori e ciascuno di noi abita, per così dire, in una specifica, quella dove ha l’armadietto. Al piano terra c’è la sala professori più frequentata, gente che va e viene, un porto di mare. Sopra invece c’è una saletta più intima, ma dotata di tutti i comfort, compreso un bagno interno, dove i prof possono svolgere le proprie funzioni senza mischiarsi alla plebe studentesca. Io abito in questa seconda sala, dove ho già avuto modo di farmi apprezzare dai colleghi per la proprietà linguistica del mio francese.

Ma torniamo a noi. Dicevo di questa prof che non conosco, che stava seduta dietro di me e se la rideva con il vicino di sedia. Siccome le serviva qualcosa su cui appoggiarsi per scrivere, aveva preso dalla sala professori un registro a caso, di una classe non sua. Poi, distrattamente, aveva cominciato a sfogliarlo, e a quanto pare aveva trovato la lettura di suo gradimento, al punto da condividerla con il collega. Insomma, a un certo punto sento dietro di me leggere le mie note: “Senti questa: X è sdraiato sotto al banco. E quest’altra: Y esce dall’armadio. Z si fa un selfie. Ma chi è che le scrive?”. Mi giro: “Sono io l’autrice”. “Ma sono fantastiche, dovresti scrivere un libro”.

La seconda volta che me lo sento dire. Il mio primo libro si doveva intitolare “200 km per una scopata non certa”, sugli incontri on line. Questo secondo come lo intitoliamo? Alle note sul registro non avevo ancora pensato. Mi stavo più focalizzando sullo stupidario studentesco, tipo quando gli dici di scrivere nome e cognome e loro scrivono “Nome e cognome”, oppure gli dici di scrivere la formula chimica dell’acqua e loro scrivono “Formula chimica dell’acqua”.
Pensavo di intitolarlo “Corso di informatica per allievi carabinieri”. 

 
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