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« Scrivere o non scrivere?Un po' di chiarezza »

Gipi e le opinioni sulla satira

Post n°392 pubblicato il 17 Gennaio 2015 da meninasallospecchio

Vi ricordate quando cercavo un toy boy? A dire il vero non l'ho trovato, non come lo volevo io, ma, come scrissi allora, fu l'occasione per avere alcune belle conversazioni e scambi di mail con giovani uomini intelligenti, portatori, dal mio punto di vista, di spunti nuovi e interessanti.

Fu uno di loro a parlarmi per la prima volta di Gipi. Noi babbioni pensiamo che i "giovani d'oggi" non leggano fumetti. In realtà, quelli che non leggono fumetti siamo noi. Al punto che non ci siamo neppure resi conto (parlo per me, ma credo di essere in buona compagnia) che il fumetto è diventato qualcosa di molto diverso da ciò che rappresentava ai nostri tempi. Oggi il fumetto è considerato semplicemente una tecnica narrativa al pari della scrittura. I fumettisti scrivono romanzi, le cosiddette graphic novel, narrati per testi e immagini anziché con le sole parole. Gipi, al secolo Gianni Pacinotti, è forse il più famoso rappresentante italiano di questa tipologia di narratori: il suo ultimo lavoro è stato addirittura fra i finalisti al premio Strega.

Da brava ignorante non lo conoscevo e tuttora non ho letto nessun suo libro, lacuna che mi riprometto al più presto di colmare. Tra l'altro non è un ragazzino: ha la mia età, per cui non mi posso neppure giustificare in nome del gap generazionale.

Ma nel frattempo, da quando so chi è, lo ritrovo dappertutto. L'altra sera era ospite di Daria Bignardi a Le invasioni barbariche. Per inciso, è sua la grafica della sigla. Ovviamente, visti i fatti di cronaca, gran parte dell'intervista verteva sulla satira, sulla libertà di espressione e sulle varie tematiche di cui abbiamo tutti parlato in questi giorni. Gipi ha detto due cose molto acute che, a mio modo di vedere, costituiscono una parola definitiva sul dibattito in corso.

Bignardi gli chiede se si può fare satira sulla religione. Certo, risponde Gipi. Ma non si dovrebbero rispettare le credenze religiose? No, dice. Si rispettano le persone, naturalmente, ma non si può pretendere rispetto per l'invisibile. Altrimenti chiunque si potrebbe inventare una cazzata qualsiasi ed esigere che gli altri ne parlino con deferenza, poiché quello è il suo credo.

Scrive Gipi su Twitter:

Io credo nell’Anatra Dorata. Siete pregati, d’ora in avanti, di evitare di pronunciare con leggerezza le parole “Anatra” e “Dorata”. Grazie.

Che cosa distingue una religione da una cazzata come questa? Be', si obietterà, il fatto che ha molti seguaci, una tradizione, ecc. Allora dobbiamo rispettare anche gli oroscopi e i tarocchi? Anche quelli hanno nobili tradizioni e molti seguaci. Dobbiamo rispettare anche il malocchio, i numeri ritardatari del lotto? E che dire di quelli che credono agli UFO o alle sirene? Per un non credente non c'è, da un punto di vista speculativo, nessuna differenza fra religione e superstizione. Non ci possono chiedere di rispettare una credenza piuttosto che un'altra: nessuno è in grado di mettere un confine filosoficamente difendibile fra una costruzione metafisica degna di rispetto e il delirio di un pazzo. Rispettiamo gli esseri umani, perché quelli esistono in carne e ossa. Rispettiamo le verità storiche, perché non si può negare l'Olocausto. Ma non ci possono imporre di rispettare un credo.

Allora si può fare satira su tutto? chiede ancora Bignardi. No, risponde Gipi, la satira ha una regola, una sola. E' unidirezionale, deve sempre andare dal più debole al più forte. E' un'arma che i deboli e gli oppressi hanno per contrastare il potere. Quando il forte ride del debole non è satira, è un'altra cosa. Per questo non si può ridere delle vittime dei lager: perché sono vittime. Non si può ridere del massacro di Parigi, come ora qualcuno pretenderebbe in nome della libertà di espressione di cui tanto si è parlato. E non è nemmeno opportuno, a mio avviso, fare troppi distinguo o mettere troppi "ma" in questo momento.

La condanna della violenza è stata unanime (con l'eccezione del papa boxeur), ma tutti ci siamo sentiti un po' disorientati in mezzo a questa anarchia: confusamente sentiamo di aver bisogno di qualche regola, perché libertà non significa magma indistinto di opinioni equivalenti. A mio modo di vedere le due affermazioni di Gipi, non si può pretendere rispetto per l'invisibile e la satira è quella del più debole contro il più forte, ristabiliscono delle coordinate morali minime, chiare e definite. Ne abbiamo bisogno, per districarci dentro questa libertà così indispensabile e complicata.

 
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Utente non iscritto alla Community di Libero
UnUomo.InCammino il 19/01/15 alle 14:29 via WEB
> Disprezzare una caratteristica culturale non è affatto diverso dal disprezzarne una fisica.

La teoria quindi è che non si possono disprezzare le caratteristiche culturali. Questo è ovviamente del tutto assurdo, essendo le caratteristiche culturali oggetto di valutazione, positiva ma anche negativa, pacata o radicale, etc. come quasi ogni osservabile della realtà. Supposto che si debba sopprimere una valutazione, allora si dovrebbero esprimere anche quelle positive. Oppure vogliamo la mezza verità delle sole valutazioni positive, demonizzando quelle negative? Il problema non è quello razzista del dire che i verdi a pois rossi sono migliori di quelli a strisce bianche e nere. Il problema è nel fatto che quelli verdi a pois rossi si trovano la casa piena di quelli a strisce bianche e nere. I primi, essendo vegani, proprio non sopportano nella loro cucina i secondi, carnivoristi, nella loro cucina si facciano delle gran grigliate di tricheco e lo pretendono come diritto.
Si capisce?
Si pensa sempre che i conflitti nascano per strane teorie metafisiche, per tentativi di stabilire priorità o valori.

Tra le altre cose, in molti paesi ex comunisti, ora c'è un reato che è simile al reato di apologia del fascismo, un reato di apologia del comunismo. Cambi pochi km e un aggettivo, 'comunista' o 'fascista' perde la connotazione demoniaca. Si ritorna al problema della tua morale che non sopporta questo e che è sicuramente superiore alla mia che non sopporta quello.
Io parlo di marmaglia islamica come massa di osservanti islamici che osservano i dettami anacronistici e violenti di un solo libro. Carl Marx paralva di religioni come oppio dei popoli. Allora, come si comportano, secondo te, masse di persone la cui mente è obnubilata dalle religioni? Vogliamo trovare un termine sostitutivo? Posso avere il diritto di essere insofferente alle religioni e alle masse religiose, pure a quelle islamiche oppure, per queste, ci deve essere un trattamento privilegiato? In base a cosa? Non è mica obbligatorio essere tutti simpatici, tutti belli, tutti giulivi, tutti tolleranti, tutti religiosamente corretti, tutti uguali. Quelli che non lo hanno fatto sono finiti sepolti col piombo in corpo. Ecco, alcuni direbbero che sono stati assassinati in modo barbaramente fascista. Non pensi sia molto importante resistere ai modi fascisti?
 
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