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La partenza per il mare - Mal d'auto

Post n°449 pubblicato il 24 Giugno 2015 da meninasallospecchio

Da bambina soffrivo il mal d'auto. Cioè... non esistono prove scientifiche in proposito, perché di fatto non ho mai vomitato in nessun viaggio in pullman, per esempio.

In realtà la buonanima di mio padre, parlandone da vivo, guidava da schifo. In macchina con lui avrebbe vomitato anche Samantha Cristoforetti. A ciò si aggiunga che la strada che percorrevamo per andare al mare è una sequenza di 113 km di curve. Di prendere l'autostrada non se ne parlava, i miei non hanno mai guidato in autostrada in vita loro, per qualche ragione ne avevano paura. Ma, essendo l'autostrada in questione la Torino-Savona, le loro paure non erano del tutto ingiustificate.

Apro parentesi. La Torino-Savona è oggi un'autostrada quasi normale. Dico quasi, perché l'ultimo tratto in direzione Savona (ci sono due diverse carreggiate nelle due direzioni) sembra progettato dallo stesso designer del Blue Tornado di Gardaland. Io forse non sarò una guidatrice provetta, ma lo faccio ai 60-70 km/h perché vorrei vivere ancora a lungo. Comunque fino a non molti anni fa, dell'autostrada aveva soltanto il pedaggio che, peraltro, caso unico in Italia e forse nel mondo, veniva richiesto all'ingresso anziché all'uscita, probabilmente perché la quantità di incidenti era tale da suggerire al gestore una riscossione anticipata. Non per niente era allegramente soprannominata "autostrada della morte". Per gran parte del percorso c'era un'unica carreggiata, con una corsia per senso di marcia, più una corsia centrale per il sorpasso alternato fra le due direzioni. Il paradiso dello scontro frontale. Soltanto quando l'unione europea intimò al gestore di eliminare il pedaggio, fu completato il famoso raddoppio, una storia durata decenni, non diversamente da quanto succede al sud.

In ogni caso per noi niente autostrada. E in effetti anch'io non la farei per andare al mare, si allunga parecchio il tragitto. Meglio inerpicarsi per le Langhe, valicare le Alpi Liguri sempre coperte di nubi e poi scendere in Riviera fra borghi di pietra e il frinire delle cicale.
Ma bando alla poesia e torniamo al vomito.

Per contrastare il mal d'auto venivano poste in essere diverse strategie. Intanto la partenza pomeridiana era considerata più sicura rispetto a quella mattutina. Poi mi veniva impedito di assumere liquidi, in quanto ritenuti ad alto rischio. Per un certo periodo mi venne anche somministrata prima della partenza una minuscola pastiglietta gialla amarissima. Mi era consentito, anzi raccomandato, mangiare alimenti solidi. Una volta mi fu suggerito addirittura di sgranocchiare grissini durante il viaggio, idea poi abbandonata quando vomitai l'intero pacchetto.

Per quanto mi ricordo non ho mai fatto disastri in auto. Avvisavo per tempo, mio padre si fermava e io scendevo. A volte erano falsi allarmi, oppure mi era sufficiente prendere un po' d'aria e fare quattro passi. Perché, a parte le strategie e i vari riti tribali volti a scongiurare il peggio, il viaggio si svolgeva con i finestrini rigorosamente chiusi. Inutile vi dica che l'aria condizionata sulle auto era di là da venire, ma non si potevano tenere i finestrini aperti (cosa che probabilmente avrebbe risolto tutti i miei problemi) perché la corrente d'aria era considerata altamente nociva. Soltanto il finestrino di mio padre, in omaggio al suo eroismo di guidatore, poteva restare aperto per pochi centimetri. Non so se un filo di brezza arrivasse a mio fratello, seduto dietro di lui. Io stavo dietro al sedile del passeggero, pronta a fiondarmi fuori dall'abitacolo in caso di emergenza. Soltanto dopo il primo giro di vomito, potevo godere del sommo privilegio di essere ricollocata sul sedile anteriore (all'epoca le cinture di sicurezza non sapevamo neppure cosa fossero), dove, in via del tutto eccezionale, avevo il permesso di aprire un pochino, ma solo un pochino, il deflettore.

 

(continua)

 
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Rispondi al commento:
meninasallospecchio
meninasallospecchio il 25/06/15 alle 20:49 via WEB
No, l'ho scoperto prima. Ho notato che i miei periodi felici erano quelli da single, e mi sono regolata di conseguenza. Cosa c'entra l'infanzia? dirai tu. Be', anche quello era un periodo in cui non ero indipendente.
 
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