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« LU TUMAZZU DI PECURALA MORTI »

LA LEGGENDA DELL’AIRONERA DI CASTELVETRANO

Post n°27 pubblicato il 13 Aprile 2014 da vito.marino01

LA LEGGENDA DELL’AIRONERADI CASTELVETRANO

Il Medioevo era ricco dileggende, alcune fantasiose, altre rispecchiavano fatti effettivamente accadutima gonfiati da quei contorni colorati e fantastici, che dipendevano dallabravura di chi raccontava la vicenda.

Durante la scomparsa civiltà contadina,molte leggende, provenienti da un lontano passato, facevano parte di quelgenere letterario che si tramandava oralmente da padre in figlio a causadell’analfabetismo, allora molto esteso fra la classe povera della popolazione.“Li cuntura” (i racconti) della nonna facevano parte di questa letteraturafantastica. La mia generazione fa parte dell’ultimo anello di questo genereletterario orale; mia nonna non si stancava mai di raccontarmi storielle ed iostavo delle ore ad ascoltarla con la bocca aperta. Onde evitare che siperdessero nel nulla, ho provveduto a trascriverli in siciliano per come li hosentiti raccontare. Purtroppo, la cultura odierna non accetta questo genere diletteratura dialettale, e 120 racconti aspettano tempi migliori.

Tutti i racconti avevano unoscopo educativo e finivano sempre a lieto fine, con la giustizia e la bontà cheprevalevano sul male.

In uno di questi racconti “Lu mammaddau”,rappresentava la somma delle cattiverie umane, personificate in un riccocastellano; costui godeva a seviziare le fanciulle e ad ammazzarle con laspada. La seguente leggenda, che ricordo di aver sentito raccontare o letto daqualche parte, ha delle somiglianze con quella del mammaddau citato.

Una volta i nobili avevano lapassione per la caccia che praticavano nei loro vastissimi possedimentiterrieri. Essi potevano disporre anche di una tenuta di caccia, con un’abitazionepiù o meno lussuosa, dove andavano ad abitare solo durante il periodo della cacciagione.

A Castelvetrano, in periferiaoltre l’autostrada, ne esiste una molto bella, che, purtroppo, come tutti gliedifici architettonici di Castelvetrano, va cadendo a pezzi: “L’Aironera”, chiamatacosì perchè il duca, Don Diego D’Aragona, proprietario della tenuta, qui davala caccia all’airone.

Per la cronaca, nel 1627 lapalazzina passa alla nobile famiglia De Blasi, quindi ritorna di proprietà delduca di Castelvetrano. Dopo tanti altri passaggi di proprietà, passa infinealla famiglia Saporito, oggi appartiene al Dott: Campagna.

Il Siciliano, che storpia semprele parole nuove acquisite, per adattarle al suo vocabolario ha chiamato semprel’edificio, e tutte le campagne circostanti:  “Lariuni”. 

Siccome il duca era sempre ingiro, continua la leggenda, per motivi amministrativi e politici, la moglieduchessa, per non annoiarsi, si trasferiva in questa palazzina ed organizzavasempre grandi feste, dove partecipavano i nobili più in vista di Castelvetranoe dei paesi vicini.   

La duchessa era ancora giovane edattraente e fra i nobili c’erano anche molti giovani di rare bellezze, che la corteggiavano.

Così, stando alla leggenda,l’attrazione fisica spinse qualcuno di questi bei giovani fra le braccia delladuchessa. Siccome il fattaccio poteva essere raccontato in giro, anche insegreto, la duchessa pensò bene di fare eliminare i suoi amanti da uno schiavonero, che teneva al suo servizio. Costui, molto fidato e con una corporaturaeccezionale, nottetempo badava a fare scomparire i cadaveri. Queste misteriosesparizioni, purtroppo, si ripetevano nel tempo e, per come dice un proverbioantico “li mura hannu l’occhi e li troffi hannu l’aricchi” o “nun c’è cosa ntastu munnu ch’un si sapi,”, un giovane nobile venne a conoscenza della realtàdei fatti. Così, rischiando la vita, ha accettato l’invito della duchessa e,dopo aver fatto l’amore con lei, invece di farsi ammazzare, per com’erasuccesso ai suoi predecessori, prese il pugnale che aveva nascosto e uccise disorpresa lo schiavo e scappò di corsa.

La notizia si sparse in unbaleno, tanto che arrivò alle orecchie del duca, che tornò in fretta e furia alsuo palazzo ducale. Qui fece rientrare la duchessa dall’Aironera e la feceammazzare. Il giovane riuscì a fuggire in altri paesi lontani e fece perdere lesue tracce, viceversa poteva finire male anche per lui.

Il finale tragico non fa partedei racconti della nonna. I racconti della nonna finivano sempre così: “tuttiarristaru filici e cuntenti e niatri n’ammulamu li denti”, quindi si pensa che questastoriella non sia frutto della fantasia ma di una realtà verosimile.

VITO MARINO    

 
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