NON SOLO CAFFE'
da Carmensita Bellettieri autrice, giornalista professionista ed esperta di comunicazione
Post n°73 pubblicato il 03 Dicembre 2014 da agape07
La sensualità di mani che sminuzzano, affettano e trasferiscono tutto il sapiente ardore da un cuore a un piatto. Se da sempre Afrodite è seduta a tavola con gli amanti, in questa video-ricetta è la dea in persona a cucinare. La cuoca parte dalla tradizione culinaria mediterranea, e più precisamente dalla Basilicata, per dirigersi verso le sconfinate regioni dei sensi. Alla dea dell'amore bastano pochi ingredienti: 4 grosse patate a pasta bianca, 200 gr di baccalà, 8 peperoni secchi di Senise e un cucchiaio di “zafaran” (peperoni secchi di Senise in polvere). L'amplesso dei sapori esplode al solo contatto del fallico “peperone crusco” (è crusco se è di Senise ed è fritto) con la morbida carne del baccalà, per poi penetrare la caverna farinosa della patata. Ed ecco pronto il succulento tortino di patate, baccalà e peperoni cruschi: il #gustoforte di FoodFileBasilicata. La tradizione vuole che questo piatto nasca ad Avigliano, operoso e creativo paese della provincia di Potenza. Gli aviglianesi hanno saputo esaltare al massimo una delle specialità regionali, conosciuta dalla gran parte delle gole profonde e ben avvezze al #gustoforte del profondo abisso di piacere in cui ci si trova, quando si addenta la dolce croccantezza del peperone di Senise. Il tortino di patate, baccalà e peperoni cruschi è il primo capitolo di una pentalogia di racconti culinari destinati al web. Una e-mail per raccontare, un allegato per guardare e una ricetta per gustare. E' FoodFileBasilicata... perché l'appetito vien guardando.
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Post n°72 pubblicato il 04 Luglio 2013 da agape07
Come comprendere la lingua degli dèi, e quindi della psiche, senza imparare la liturgia del sacrificio? Fare sacra l'azione significa alimentare quell'energia che costruisce, mantiene e distrugge il tutto. Significa essere consapevoli, coscienti dell'ardore che nutre e divora il mondo. Nelle 560 pagine del libro di Roberto Calasso, L'Ardore (Adelphi, 2010), si dipana tutto il pensiero analogico sopravvissuto ai tremila anni di storia che ci separano dalla civiltà vedica. Di quell'India non abbiamo più nulla se non il canto , gli inni di coloro che non si occuparono di guerre e conquiste ma solo di Sapere (il Veda). La vulnerabilità dell'uomo, unico animale senza protezione, deve "inebriare" gli dèi per farli scendere sulla terra e "cantare" loro Il desiderio. Nell'India vedica l'ebbrezza è il fondamento dell'asse del mondo, del palo sacrificale dal quale esalano il canto e i fumi per gli dèi. L'ardore si consuma nel momento stesso in cui Agni si ciba del Soma: pianta mitica intorno a cui ruotavano molteplici riti che miravano a raggiungere l'ebbrezza, perché in questo stato di coscienza si poteva sfiorare la conoscenza. Le popolazioni vediche hanno sempre anteposto la conoscenza alla potenza, il mythos al logos. Come può il "superuomo", pur essendo il più indifeso tra gli animali, aspirare alla comprensione delle regole cosmiche? Praticando il tapas. L'Ardore, che l'officiante emana sulla scena è sempre erotico: nozze mistiche tra fuoco e acqua, tra ying e yang. L'ardore è il respiro del mondo, che è sacrificio. L'Ardore di Calasso è il settimo anello di un'unica opera, che parte da La rovina di Kasch e attraversa i momenti più significativi della scrittura del dominus Adelphi, da Le nozze di Cadmo e Armonia, Ka, K. fino a La Folie Baudelaire.
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Post n°71 pubblicato il 21 Luglio 2012 da agape07
Tutto cominciò col ratto di Io, la figlia del re dell’Argolide, fanciulla posseduta da Zeus sotto forma di toro e da questi trasformata in una giovenca per sottrarla alla gelosia di Hera. Da questo simbolismo Ernesto De Martino fa risalire l’antico rito propiziatorio del Carnevale di Tricarico, uno dei sincretismi più emblematici tra la cultura greca e quella dei lucani–sanniti che spodestarono gli enotri nel VI sec. a. C. La risposta al ratto di Io è il rapimento della principessa della Fenicia, Europa. E’ ancora Zeus che si trasforma in toro, cattura e possiede Europa. Secondo Roberto Calasso da queste donne rapite hanno origine tutti i disordini: la spedizione della nave Argo e il ratto di Medea, il ratto di Elena e la guerra di Troia. E’l’inizio del caos che genera il nuovo equilibrio. La figlia di Europa è Pasifae, impazzita d’amore per un toro e dal quale ha un figlio: il Minotauro. Questa creatura dalla testa di toro è il fratello di Arianna, sedotta e abbandonata da Dioniso, in origine il “toro totale” , come lo definisce Calasso. E il carnevale come lo conosciamo noi sostituisce proprio le “dionisiache greche”, quando il disordine sociale creato dal risveglio degli elementi naturali doveva propiziare un buon raccolto per il nuovo anno. Nel passaggio tra il vecchio e il nuovo ciclo solare c’è un momento durante il quale il caos subentra all'ordine costituito che, una volta esaurito il periodo festivo, riemerge rinnovato e garantito. Il totem del toro, come forza indomabile della natura che prorompe senza osservare né vincoli né regole, comincia dalla giovenca Io e termina con Dioniso, dio “ evocato dalle donne di Argo come toro che emerge dalle acque”(1). Non è un caso, dunque, che le maschere di Tricarico siano tori e mucche o che quelle di Aliano siano “cornute” , ancora mandrie di bovini. L’ellenizzazione delle genti lucane ha fatto sì che il mito di Io si trasformasse nella transumanza, tipica degli autoctoni, per l’abbondanza che i pascoli vicino al mare portavano al bestiame. Inoltre, la copulazione tra tori e mucche lungo il cammino è l’ennesima dimostrazione della prosperità che nascerà da quella sospensione di regole che anticipa la Quaresima e la Primavera. Tricarico.tricarico La maschera da mucca è costituita da un cappello a falda larga coperto da un foulard e da un velo riccamente decorato da nastri multicolori che ondeggiano fin alle caviglie; il volto coperto lascia la sola visione di corpi vestiti da antiche maglie e mutandoni di lana rigorosamente chiari (l’intimo degli originari pastori), anch’essi ravvivati da nastri e fazzoletti sgargianti al collo, alle braccia e alle gambe. La maschera da toro è simile ma si distingue per essere totalmente di colore nero con molteplici nastri rossi. Ogni maschera ha un grosso campanaccio, diverso nella forma e nel suono a seconda se mucca o toro. Aliano. alianoLe “maschere cornute” hanno volti d’argilla e cartapesta dalle sembianze di tori. Indossano i classici mutandoni invernali ornati di un nastro di cuoio da cui pendono numerosi campanelli di bronzo e finimenti per muli e cavalli . Una fascia circonda la vita da cui pende una sorta di manganello di crine, dall’evidente forma fallica, col quale colpiscono le giovani donne. Per rimarcare ulteriormente la virilità e il risveglio del sole, esse indossano un gigantesco copricapo fatto di penne di gallo. Montescaglioso. montescagliosoDà il via la vecchia Parca che rotea un lungo fuso intorno a se stessa: è la ruota del tempo che uccide l’anno vecchio e tutti coloro che sfiora. Al suo fianco la giovane Quaremma, che piange la morte dello sposo Carnevalone e porta in braccio il neonato anno. Al seguito, lo stuolo di maschere che raccolgono le offerte in natura per propiziare la ricchezza del raccolto futuro.
(1) “Le nozze di Cadmo e Armonia” di Roberto Calasso, Gli Adelphi 2009, pag. 59 |
Post n°70 pubblicato il 21 Luglio 2012 da agape07
C'è un luogo dove una vecchia fila il tempo e la sua trama racconta di un intero anno, da un inverno all'altro. Più tardi la vecchia diventa un vecchio, ma entrambi continuano a filare la storia, che nel nord Europa si chiama Frau Holle, in Russia Morozko e a Venosa il Pozzo incantato o Zi' Minorchio. Non si può spezzare il filo del racconto perché è il tessuto stesso della Primavera. Elementi caratteristici delle tre versioni di una stessa fiaba sono due fanciulle, una figlia e una figliastra; una matrigna; un pozzo e un mondo ultraterreno dentro il pozzo. La matrigna vuole sbarazzarsi della bella e dolce figliastra, così la caccia di casa per esporla ai pericoli della notte. La fanciulla cade nel pozzo e qui vi trova una magica creatura. Nella tradizione tedesca Frau Holle è una vecchia dai denti lunghi e affilati, che permise alla giovane di restare nella propria casa in cambio di un aiuto nelle faccende domestiche. In particolare la fanciulla doveva rifare ben bene il suo letto e scuotere via tutte le piume in modo che sulla Terra potesse nevicare. Dietro tale accordo le due vissero armoniosamente per qualche tempo, finché la fanciulla non cominciò a sentire nostalgia di casa. Frau Holle decise di accompagnarla sulla terra non senza ricompensare la sua laboriosità con una pioggia d'oro. In Russia, il padrone della neve è Nonno Gelo (in russo Ded Morozko) che, quando incontrò la fanciulla scacciata, non solo ne ebbe pietà ma, conquistato dall'estrema gentilezza, le fece tre magnifici doni, tra cui un meraviglioso abito d'oro. A Venosa, il signore dell'inverno è Zi' Minorchio: uno spirito maledetto che ruba tutte le fanciulle che si avvicinano al suo pozzo. Quando vi giunse la figliastra scacciata, fu tale l' amorevole cura con cui spidocchiò Zi' Minorchio che, appena risalita, le spuntò una stella d'oro in fronte. Utile dono dell'inquilino del pozzo. Naturalmente le cose non andarono così per l'altra insensibile sorella che, costretta dalla madre a rifare lo stesso cammino della figliastra, anziché oro da Frau Holle ebbe una pioggia di pece, da Morozko ebbe la morte e da Zi'Minorchio una lunga coda d'asino sulla fronte. Nelle tre versioni della fiaba i simboli fondamentali sono gli stessi: il pozzo e i doni d'oro. L''inizio del "viaggio" avviene all'interno del Pozzo, ovvero un luogo misterioso e sotterraneo che contiene l'acqua creatrice: un confine tra il mondo degli uomini e quello degli dèi. Questo è il regno della morte apparente, dove tutta la natura è congelata, immobilizzata dal ghiaccio; in realtà è il regno della trasformazione, del seme che riposa sotto la neve per germogliare più vigoroso ai primi raggi di sole. E' il luogo dell'inverno. L'altro simbolo è l'oro: in ogni versione la fanciulla ritorna al proprio mondo con una pioggia d'oro, abito dorato e una stella d'oro sulla fronte. E' tutta qui la funzione di quel che accade nel pozzo, di quella realtà mortifera: è la nascita della nuova Primavera. E' il nuovo sole che riluce d'oro e impregna il risveglio della Natura. Il filologo e studioso di folklore Vladimir Propp, nel saggio sulle fiabe "Le radici storiche dei racconti di magia", traccia una linea di continuità tra l'oralità della fiaba della Primavera e il mito di Persefone, figlia di Demetra, dea del grano e dell'agricoltura, costante nutrice della gioventù e della terra verde, artefice del ciclo delle stagioni, della vita e della morte, protettrice del matrimonio e delle leggi sacre. La giovane Persefone viene rapita dal dio del mondo sotterraneo con l'intenzione di sposarla. Dopo un lungo peregrinare di Demetra, dal greco "Madre terra", si giunge a un accordo: il marito Ade tiene Proserpina con sé negli inferi per sei mesi e il resto dell'anno la fanciulla può stare sulla terra con la madre. La periodica gioia di Demetra nel rivedere la giovane figlia si manifesta con il rifiorire della Terra in primavera ed estate. Altre "figure solstiziali" nate più di recente intorno ai racconti simbolici della primavera sono Babbo Natale e la Befana. Il padre del Natale è un erede diretto di Morozko, abbigliato alla stessa maniera, con una lunga barba bianca e, come lui, porta doni. La Befana, invece, è la discendente moderna di Holla (da cui Frau Holle): la dea dell'inverno norreno, custode del focolare, protettrice degli animali e dell'arte della filatura. Nelle notti del solstizio d'inverno, scende sui campi innevati per benedirli e accertarsi che siano pronti per le prossime semine. Col finire dell'inverno, però, e il lento sciogliersi dei ghiacci, la dea Holla muta aspetto, riprendendo tutte le sfumature del Ciclo della Natura. Il suo volto raggrinzito da vecchia ritorna liscio e giovane. Diventa una fanciulla bellissima e radiosa come i raggi del sole che baciano la Primavera. |
Post n°68 pubblicato il 30 Maggio 2012 da agape07
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Post n°66 pubblicato il 21 Marzo 2012 da agape07
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Un’altra protagonista del panorama letterario lucano sarà ospite della rassegna Gocce d’Autore. Il salotto della letteratura, della musica e dell’arte si appresta a ricevere gli autori del quarto appuntamento della rassegna che raccoglie le più autentiche espressioni della lucanità. Carmensita Bellettieri, giornalista e scrittrice esordiente, parlerà della sua raccolta di racconti dal titolo in vernacolo “Li cunti” della Lucania Mia, edita da Arduino Sacco Editore. Un viaggio nel mondo immaginifico della Basilicata mistica che recupera la memoria popolare in un prezioso lavoro di trasmissione dei valori che hanno sorretto la civiltà lucana. Un’eredità che la giovane scrittrice ha ricomposto nelle pagine del suo libro e che ha consegnato al popolo dei lettori perchè diventino parte integrante dell’importante processo di diffusione. |
Una città sui monti ingoiata da una balena bianca per una sera intera. Tre ore di navigazione stipati negli incubi e nei miracoli dell’animo umano. E c’è da dire che Vinicio con Potenza e, soprattutto, Pignola, ha un rapporto speciale, fatto di fiumi d’aglianico e ‘mbriacate da notti bianche. Così in un glu glu l’inconscio marino ha sommerso la salda montagna in un’onirica ebbrezza. Si comincia con la giga e le atmosfere dei mari del Nord, dove i marinai più coraggiosi affrontano i propri limiti e le proprie paure in botti piene di rum. Si leva l’ancora per intraprendere il Viaggio dell’Eroe. Cuore grande e timori celati riemergono nel momento della Scelta: diventare Uomo e Dio? La sfida di Achab si vince solo combattendo col pallido mostro marino, il simbolo dell’inestricabile tensione della morte verso la vita e della vita verso la morte. E, soprattutto, il vaso di entrambe e il Senso l’una dell’altra. Con la conquista del significato del Totem si giunge all’uso della Lancia, del cammino, unico possibile: l’amore. E’ la destrezza di quest’arma che permette di guarire ciò che essa squarcia. La dama è sedotta dal Pelide: l’Anima Mundi è tornata all’amante pellegrino. Il de-siderio è soddisfatto: la lontananza dalle Pleiadi si è ridotta e l’attesa è Parte essenziale. Ne è la Trama, filata dai tre volti della Luna. La nascente, la gravida e la vecchia Parca tessono le parole dell’aedo col filo degli ostacoli, ma solo per farne cantare la gloria nella vittoria. L’eroe trionfa e conosce. Abbatte il gigante col sangue della terra: l’uomo, che dalla terra e alla terra torna, ne esplora i segreti. Come si apprende il mistero della Grande Madre? Si patisce l’incantesimo di un’eterna stagione, ci si lascia sedurre da quel che si è e quel che si è diventato, ci si perdona e si ascolta il canto del tempo. Tutto in attesa del tellurico bacio che ci restituisce all’Unità del Tutto. E non c’è ritorno da questo viaggio, perché Itaca ha dato il viaggio ma non il Nostos. Non si può tornare dalle Colonne d’Ercole, si deve proseguire oltre, fino alla considerazione della semenza umana. |
Post n°58 pubblicato il 05 Settembre 2011 da agape07
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Post n°55 pubblicato il 02 Maggio 2011 da agape07
1. diffusione editoriale ERMES libraria LIBRERIE ON LINE
•http://www.arduinosacco.it/product.php?id_product=492
•http://www.libreriauniversitaria.it/libri-autore_bellettieri+carmensita-carmensita_bellettieri.htm
•http://www.deastore.com/autore/Carmensita%20Bellettieri.html
•http://libri.dvd.it/altri-generi/li-cunti-della-lucania-mia/dettaglio/id-3173738/
•http://www.wuz.it/libro/9788863543568/bellettieri-carmensita/laquo-cuntiraquo-della-lucania-mia.html
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Post n°54 pubblicato il 28 Aprile 2011 da agape07
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Post n°53 pubblicato il 18 Aprile 2011 da agape07
"C'è una vecchia che vive in un luogo nascosto che tutti conoscono ma pochi hanno visto, pare in attesa di chi si è perduto, di vagabondi e cercatori. Ma si dice che la sua specialità siano i lupi. Striscia e setaccia le montagne e i letti prosciugati dei fiumi, alla ricerca di ossa di lupo, e quando ha riunito un intero scheletro, quando l'ultimo osso è al suo posto e la bella scultura bianca della creatura sta di fronte a lei, allora siede accanto al fuoco e pensa a quale canzone cantare. E quando è sicura si leva sulla creatura, solleva su di lei le braccia e comincia a cantare. Allora le costole e le ossa delle gambe cominciano a coprirsi di carne e di pelo. La Loba canta ancora, e quasi tutte le creature tornano alla vita, con la coda ispida e forte che si rizza. E ancora la Loba canta e il lupo comincia a respirare. E ancora la Loba canta così profondamente che il fondo del deserto si scuote, e mentre lei canta il lupo apre gli occhi, balza in piedi e corre lontano giù per il canyon. In un momento della corsa, o per la velocità, o perché finisce in un fiume, o perché un raggio di sole o di luna lo colpisce alla schiena, il lupo è di un tratto trasformato in una donna che ride e corre libera verso l'orizzonte". (Clarissa Pinkola Estés)
Io, seguendo l’esempio della Loba, ho raccolto le “ossa”, ovvero i racconti che si tramandano da nonna a nipote, da madre a figlia e ho tentato di “cantarci” sopra per riportarli a nuova vita e sottrarli alla dimenticanza del tempo. Quando nonna Maria, originaria di Laurenzana, raccontava a me bambina “La gatta alla finestra” o “La volpe e il lupo”, io ho scoperto che esistevano anche fiabe lucane e che i miei coetanei non le conoscevano. In effetti anche da adulta ho scoperto che i miei coetanei non conoscevano le fiabe della propria terra … così è nato in me il desiderio di cercare quelle “ossa”, quel valore inestimabile che è la voce delle Nonne e delle Donne “selvagge” lucane e, dal profondo dei boschi della memoria, ho cercato un canto mio per restituire a questi lupi, che non a caso sono personaggi tipici delle fiabe, una forma che potesse circolare più agevolmente tra piccoli e non. In questo modo la voce di quelle donne uscirà dal ventre del lupo e potrà arrivare ai cuori delle generazioni future. |