Creato da agape07 il 14/12/2010

NON SOLO CAFFE'

da Carmensita Bellettieri autrice, giornalista professionista ed esperta di comunicazione

 

 

FoodFileBasilicata: lo storytelling gastronomico

La sensualità di mani che sminuzzano, affettano e trasferiscono tutto il sapiente ardore da un cuore a un piatto. Se da sempre Afrodite è seduta a tavola con gli amanti, in questa video-ricetta è la dea in persona a cucinare. La cuoca parte dalla tradizione culinaria mediterranea, e più precisamente dalla Basilicata, per dirigersi verso le sconfinate regioni dei sensi.

Alla dea dell'amore bastano pochi ingredienti: 4 grosse patate a pasta bianca, 200 gr di baccalà, 8 peperoni secchi di Senise e un cucchiaio di “zafaran” (peperoni secchi di Senise in polvere). L'amplesso dei sapori esplode al solo contatto del fallico “peperone crusco” (è crusco se è di Senise ed è fritto) con la morbida carne del baccalà, per poi penetrare la caverna farinosa della patata. Ed ecco pronto il succulento tortino di patate, baccalà e peperoni cruschi: il #gustoforte di FoodFileBasilicata.

La tradizione vuole che questo piatto nasca ad Avigliano, operoso e creativo paese della provincia di Potenza. Gli aviglianesi hanno saputo esaltare al massimo una delle specialità regionali, conosciuta dalla gran parte delle gole profonde e ben avvezze al #gustoforte del profondo abisso di piacere in cui ci si trova, quando si addenta la dolce croccantezza del peperone di Senise.

Il tortino di patate, baccalà e peperoni cruschi è il primo capitolo di una pentalogia di racconti culinari destinati al web. Una e-mail per raccontare, un allegato per guardare e una ricetta per gustare. E' FoodFileBasilicata... perché l'appetito vien guardando.

 

 
 
 

"L'ardore" per Roberto Calasso

Post n°72 pubblicato il 04 Luglio 2013 da agape07
 
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Come comprendere la lingua degli dèi, e quindi della psiche, senza imparare la liturgia del sacrificio? Fare sacra l'azione significa alimentare quell'energia che costruisce, mantiene e distrugge il tutto. Significa essere consapevoli, coscienti dell'ardore che nutre e divora il mondo. Nelle 560 pagine del libro di Roberto Calasso, L'Ardore (Adelphi, 2010), si dipana tutto il pensiero analogico sopravvissuto ai tremila anni di storia che ci separano dalla civiltà vedica. Di quell'India non abbiamo più nulla se non il canto , gli inni di coloro che non si occuparono di guerre e conquiste ma solo di Sapere (il Veda).

La vulnerabilità dell'uomo, unico animale senza protezione, deve "inebriare" gli dèi per farli scendere sulla terra e "cantare" loro Il desiderio. Nell'India vedica l'ebbrezza è il fondamento dell'asse del mondo, del palo sacrificale dal quale esalano il canto e i fumi per gli dèi. L'ardore si consuma nel momento stesso in cui Agni si ciba del Soma: pianta mitica intorno a cui ruotavano molteplici riti che miravano a raggiungere l'ebbrezza, perché in questo stato di coscienza si poteva sfiorare la conoscenza. Le popolazioni vediche hanno sempre anteposto la conoscenza alla potenza, il mythos al logos.

Come può il "superuomo", pur essendo il più indifeso tra gli animali, aspirare alla comprensione delle regole cosmiche? Praticando il tapas. L'Ardore, che l'officiante emana sulla scena è sempre erotico: nozze mistiche tra fuoco e acqua, tra ying e yang. L'ardore è il respiro del mondo, che è sacrificio.

L'Ardore di Calasso è il settimo anello di un'unica opera, che parte da La rovina di Kasch e attraversa i momenti più significativi della scrittura del dominus Adelphi, da Le nozze di Cadmo e Armonia,  Ka, K. fino a La Folie Baudelaire.

 

 

 
 
 

Le maschere di Dioniso

Post n°71 pubblicato il 21 Luglio 2012 da agape07
 
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Tutto cominciò col ratto di Io, la figlia del re dell’Argolide, fanciulla posseduta da Zeus sotto forma di toro e da questi trasformata in una giovenca per sottrarla alla gelosia di Hera. Da questo simbolismo Ernesto De Martino fa risalire l’antico rito propiziatorio del Carnevale di Tricarico, uno dei sincretismi più emblematici tra la cultura greca e quella dei lucani–sanniti che spodestarono gli enotri nel VI sec. a. C.

 La risposta al ratto di Io è il rapimento della principessa della Fenicia, Europa. E’ ancora Zeus che si trasforma in toro, cattura e possiede Europa. Secondo Roberto Calasso da queste donne rapite hanno origine tutti i disordini: la spedizione della nave Argo e il ratto di Medea, il ratto di Elena e la guerra di Troia. E’l’inizio del caos che genera il nuovo equilibrio.

 La figlia di Europa è Pasifae, impazzita d’amore per un toro e dal quale ha un figlio: il Minotauro. Questa creatura dalla testa di toro è il fratello di Arianna, sedotta e abbandonata da Dioniso, in origine il “toro totale” , come lo definisce Calasso. E il carnevale come lo conosciamo noi sostituisce proprio le “dionisiache greche”, quando il disordine sociale creato dal risveglio degli elementi naturali doveva propiziare un buon raccolto per il nuovo anno. Nel passaggio tra il vecchio e il nuovo ciclo solare c’è un momento durante il quale il caos subentra all'ordine costituito che, una volta esaurito il periodo festivo, riemerge rinnovato e garantito.

 Il totem del toro, come forza indomabile della natura che prorompe senza osservare né vincoli né regole, comincia dalla giovenca Io e termina con Dioniso, dio “ evocato dalle donne di Argo come toro che emerge dalle acque”(1). Non è un caso, dunque, che le maschere di Tricarico siano tori e mucche o che quelle di Aliano siano “cornute” , ancora mandrie di bovini.

 L’ellenizzazione delle genti lucane ha fatto sì che il mito di Io si trasformasse nella transumanza, tipica degli autoctoni, per l’abbondanza che i pascoli vicino al mare portavano al bestiame. Inoltre, la copulazione tra tori e mucche lungo il cammino è l’ennesima dimostrazione della prosperità che nascerà da quella sospensione di regole che anticipa la Quaresima e la Primavera.

 Tricarico.tricarico La maschera da mucca è costituita da un cappello a falda larga coperto da un foulard e da un velo riccamente decorato da nastri multicolori che ondeggiano fin alle caviglie; il volto coperto lascia la sola visione di corpi vestiti da antiche maglie e mutandoni di lana rigorosamente chiari (l’intimo degli originari pastori), anch’essi ravvivati da nastri e fazzoletti sgargianti al collo, alle braccia e alle gambe. La maschera da toro è simile ma si distingue per essere totalmente di colore nero con molteplici nastri rossi. Ogni maschera ha un grosso campanaccio, diverso nella forma e nel suono a seconda se mucca o toro.

 Aliano. alianoLe “maschere cornute” hanno volti d’argilla e cartapesta dalle sembianze di tori. Indossano i classici mutandoni invernali ornati di un nastro di cuoio da cui pendono numerosi campanelli di bronzo e finimenti per muli e cavalli . Una fascia circonda la vita da cui pende una sorta di manganello di crine, dall’evidente forma fallica, col quale colpiscono le giovani donne. Per rimarcare ulteriormente la virilità e il risveglio del sole, esse indossano un gigantesco copricapo fatto di penne di gallo.

 Montescaglioso. montescagliosoDà il via la vecchia Parca che rotea un lungo fuso intorno a se stessa: è la ruota del tempo che uccide l’anno vecchio e tutti coloro che sfiora. Al suo fianco la giovane Quaremma, che piange la morte dello sposo Carnevalone e porta in braccio il neonato anno. Al seguito, lo stuolo di maschere che raccolgono le offerte in natura per propiziare la ricchezza del raccolto futuro.


 


(1) “Le nozze di Cadmo e Armonia” di Roberto Calasso, Gli Adelphi 2009, pag. 59

 
 
 

La fiaba che saluta l'inverno

Post n°70 pubblicato il 21 Luglio 2012 da agape07
 
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C'è un luogo dove una vecchia fila il tempo e la sua trama racconta di un intero anno, da un inverno all'altro. Più tardi la vecchia diventa un vecchio, ma entrambi continuano a filare la storia, che nel nord Europa si chiama Frau Holle, in Russia Morozko e a Venosa il Pozzo incantato o Zi' Minorchio. Non si può spezzare il filo del racconto perché è il tessuto stesso della Primavera.

Elementi caratteristici delle tre versioni di una stessa fiaba sono due fanciulle, una figlia e una figliastra; una matrigna; un pozzo e un mondo ultraterreno dentro il pozzo. La matrigna vuole sbarazzarsi della bella e dolce figliastra, così la caccia di casa per esporla ai pericoli della notte. La fanciulla cade nel pozzo e qui vi trova una magica creatura.

Nella tradizione tedesca Frau Holle è una vecchia dai denti lunghi e affilati, che permise alla giovane di restare nella propria casa in cambio di un aiuto nelle faccende domestiche. In particolare la fanciulla doveva rifare ben bene il suo letto e scuotere via tutte le piume in modo che sulla Terra potesse nevicare. Dietro tale accordo le due vissero armoniosamente per qualche tempo, finché la fanciulla non cominciò a sentire nostalgia di casa. Frau Holle decise di accompagnarla sulla terra non senza ricompensare la sua laboriosità con una pioggia d'oro.

In Russia, il padrone della neve è Nonno Gelo (in russo Ded Morozko) che, quando incontrò la fanciulla scacciata, non solo ne ebbe pietà ma, conquistato dall'estrema gentilezza, le fece tre magnifici doni, tra cui un meraviglioso abito d'oro.

A Venosa, il signore dell'inverno è Zi' Minorchio: uno spirito maledetto che ruba tutte le fanciulle che si avvicinano al suo pozzo. Quando vi giunse la figliastra scacciata, fu tale l' amorevole cura con cui spidocchiò Zi' Minorchio che, appena risalita, le spuntò una stella d'oro in fronte. Utile dono dell'inquilino del pozzo.

Naturalmente le cose non andarono così per l'altra insensibile sorella che, costretta dalla madre a rifare lo stesso cammino della figliastra, anziché oro da Frau Holle ebbe una pioggia di pece, da Morozko ebbe la morte e da Zi'Minorchio una lunga coda d'asino sulla fronte.

Nelle tre versioni della fiaba i simboli fondamentali sono gli stessi: il pozzo e i doni d'oro. L''inizio del "viaggio" avviene all'interno del Pozzo, ovvero un luogo misterioso e sotterraneo che contiene l'acqua creatrice: un confine tra il mondo degli uomini e quello degli dèi. Questo è il regno della morte apparente, dove tutta la natura è congelata, immobilizzata dal ghiaccio; in realtà è il regno della trasformazione, del seme che riposa sotto la neve per germogliare più vigoroso ai primi raggi di sole. E' il luogo dell'inverno.

L'altro simbolo è l'oro: in ogni versione la fanciulla ritorna al proprio mondo con una pioggia d'oro, abito dorato e una stella d'oro sulla fronte. E' tutta qui la funzione di quel che accade nel pozzo, di quella realtà mortifera: è la nascita della nuova Primavera. E' il nuovo sole che riluce d'oro e impregna il risveglio della Natura.

Il filologo e studioso di folklore Vladimir Propp, nel saggio sulle fiabe "Le radici storiche dei racconti di magia", traccia una linea di continuità tra l'oralità della fiaba della Primavera e il mito di Persefone, figlia di Demetra, dea del grano e dell'agricoltura, costante nutrice della gioventù e della terra verde, artefice del ciclo delle stagioni, della vita e della morte, protettrice del matrimonio e delle leggi sacre. La giovane Persefone viene rapita dal dio del mondo sotterraneo con l'intenzione di sposarla. Dopo un lungo peregrinare di Demetra, dal greco "Madre terra", si giunge a un accordo: il marito Ade tiene Proserpina con sé negli inferi per sei mesi e il resto dell'anno la fanciulla può stare sulla terra con la madre. La periodica gioia di Demetra nel rivedere la giovane figlia si manifesta con il rifiorire della Terra in primavera ed estate.

Altre "figure solstiziali" nate più di recente intorno ai racconti simbolici della primavera sono Babbo Natale e la Befana. Il padre del Natale è un erede diretto di Morozko, abbigliato alla stessa maniera, con una lunga barba bianca e, come lui, porta doni. La Befana, invece, è la discendente moderna di Holla (da cui Frau Holle): la dea dell'inverno norreno, custode del focolare, protettrice degli animali e dell'arte della filatura. Nelle notti del solstizio d'inverno, scende sui campi innevati per benedirli e accertarsi che siano pronti per le prossime semine. Col finire dell'inverno, però, e il lento sciogliersi dei ghiacci, la dea Holla muta aspetto, riprendendo tutte le sfumature del Ciclo della Natura. Il suo volto raggrinzito da vecchia ritorna liscio e giovane. Diventa una fanciulla bellissima e radiosa come i raggi del sole che baciano la Primavera.

 
 
 

La Pentecoste di Ronca Battista

Post n°69 pubblicato il 21 Luglio 2012 da agape07
 
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Bum, il colpo degli archibugi rimbomba nel ventre. Risponde l'incoraggiamento degli ottoni che incitano: a la guerre, a la guerre! Comincia l'attacco dei francesi alla Porta Venosina di Melfi per il possesso del Regno di Napoli. Gli spagnoli e i cittadini resistono. Tra questi il leggendario boscaiolo Battista Cerone, che stermina i nemici solo con una roncola. E' la "Pasqua di sangue" del 23 marzo 1528 che rivive lungo le strade di Melfi da ormai 484 anni ogni Pentecoste.

 

L'ingresso delle truppe francesi nella città di Melfi è il momento principale della rievocazione storica di quel lontano marzo, quando i tra i valorosi cittadini comparve Battista, la Ronca che magicamente divenne un'arma imbattibile, grazie al bacio della fata Primavera. Sul calare delle ombre serali, tra le divise di diversi colori, la figura tozza e popolana del boscaiolo è l'emblema della coraggiosa storia di un popolo. Accerchiato e preso alle spalle da numerosi soldati francesi, Battista cade al suolo e la porta s'incendia d'una cascata pirotecnica. E dopo l'ingresso, tocca al castello. L'assedio alla fortificazione è drammatizzato quanto il combattimento per attraversare le mura: il Visconte di Lautrec porta alla vittoria il suo esercito e la fortezza s'illumina e brucia.

 

La città è persa e i superstiti si rifugiano nella selva dello Spirito Santo, sul monte Vulture. Così il sabato notte della Pentecoste, i melfitani s'incamminano a piedi verso la chiesa rupestre dello Spirito Santo, ripercorrendo quel che accadde in quella Pasqua sanguinaria. Alle prime luci dell'alba ascoltano la Messa, poi si dà inizio alla convivialità tra i boschi. Dopo aver ripreso le energie, si torna giù in città, e alla processione si unisce la statua di S. Michele, protettore dei boschi vulturini. Il ritorno è annunciato dalle caratteristiche trombe di terracotta di fattura locale, i primordiali jobel che gli scampati confezionarono per cantare la gioia del ritorno in città.

La manifestazione della Pentecoste di Melfi è una delle rievocazioni storiche più suggestive della Basilicata ed è l'unica festa in onore dello Spirito Santo che si celebra in Italia. Un realistico quadro storico della città, dove i colori della devozione popolare si sono mischiati abilmente con il racconto dei fatti. La suggestione di farne parte, come in una spettacolare memoria cinematografica, e l'incendio della fantasia, rendono la rievocazione imperdibile per chi volesse indagare nell'anima del Vulture.

 
 
 

Li cunti nelle scuole di Melfi

Post n°68 pubblicato il 30 Maggio 2012 da agape07

   

 
 
 

L'Ottocento lucano tra cuore e ragione

Post n°67 pubblicato il 27 Marzo 2012 da agape07
 
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A pochi giorni dalla chiusura dei festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d' Italia e con la mostra di Michele Tedesco nella città di Potenza, quasi un colpo di coda della memoria, si potrebbe per un attimo chiudere gli occhi e fermare in una tela un paesaggio essenziale del Risorgimento lucano.

Sembra strano, ma nella Basilicata del XIX secolo, un Sud degli altri Sud, batteva un cuore internazionale. Spiravano venti da tutte le direzioni e confluivano in un unico vortice di idee, opere e valori che non si è ancora riproposto nella contemporaneità. C'era il fermento per gli ideali liberali, per la costituzione di una Patria comune che rendesse tutti più liberi e forti, aneliti per nuove forme di governo e fede nelle capacità dell'uomo di migliorare il proprio presente. C'era il desiderio del Nuovo.

"La gioventù entusiasta mi spinse a cercare un nuovo indirizzo artistico e girando per la campagna mi sentii attratto a nuovi studi ed a nuove ricerche. Mi vi gettai con altri miei compagni che mi piace nominare fra i primi: Signorini, Borrani, Cabianca, Banti, Sernesi, Abbati, Michele Tedesco. Il 1859 e il 1866. Fu una cospirazione nuova, la guerra dichiarata all'Accademia e all'arte classica. Si chiamò la Macchia e fummo battezzati col titolo di Macchiaioli". In questa lettera Giovanni Fattori descrive efficacemente il clima di quegli anni, quando il lucano Tedesco è nel cuore delle avanguardie. Una lotta spietata contro il vecchiume, contro il canone che recide le ali alle sperimentazioni del pensiero nuovo.

Il 18 agosto 1860 sembra il traguardo di tanti "cospiratori" liberali, capaci di racchiudere tutte le varie anime risorgimentali da quella monarchica costituzionale a quella repubblicana. La Basilicata è stata la prima regione meridionale a combattere Francesco II e proclamare l'Unità. Questo primato le valse un Regio Decreto (n. 395 del 4-9-1898) grazie a cui il gonfalone comunale di Potenza fu insignito della medaglia per "benemerenza risorgimentale". Erano in 27 e solo 5 meridionali. Gli uomini lucani che hanno contribuito a questa data sono Giacinto Albini, i fratelli Pietro e Michele Lacava, Giacomo Racioppi, Gianbattista Pentasuglia. Uomini come Giustino Fortunato ed Emanuele Gianturco l'hanno consolidata.

Il 18 agosto 1860, però, non è soltanto la data d'arrivo della "rivoluzione" ma anche l'inizio della "controrivoluzione", quella per gli ideali traditi, le promesse mancate. La "reazione" a  quel "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi" dei troppi "gattopardi". I lucani, i primi rivoluzionari e i primi reazionari. Dallo stesso ventre, sia carbonari sia briganti. 

Un "brigante della parola" è stato lo scrittore, giornalista e politico Ferdinando Petruccelli della Gattina di Moliterno. Mazziniano convinto, dopo i moti del '48 fuggì in Francia, lì dove ebbe modo di conoscere personalità come Jules Michelet (di cui fu allievo dei corsi di storia), Daniele Manin, Pierre-Joseph Proudhon e Charles Darwin.  Nel 1851, combatté assieme ai repubblicani contro il colpo di stato di Napoleone III ma, sfumata l'insurrezione, fu costretto ad abbandonare Parigi e riparare a Londra.  Qui ha modo di prendere contatti con Giuseppe Mazzini, Louis Blanc e altri esuli democratici. In Gran Bretagna continuò l'attività giornalistica, lavorando per il Daily News di Charles Dickens. Dopo l'impresa dei Mille fu richiamato a Napoli ed eletto deputato nel collegio di Brienza. Si trasferì a Torino, allora sede del Parlamento italiano, sedendo sui banchi della sinistra storica fino al 1865. Rimase, tuttavia, molto amareggiato per come fu concepita la nuova Italia e perse l'entusiasmo che l'aveva caratterizzato inizialmente. Questo rammarico si tradurrà ne "I moribondi del Palazzo Carignano" (1862), uno dei suoi componimenti più famosi, considerato dal critico letterario storicista Luigi Russo «un piccolo capolavoro di arte e di critica politica» e da Indro Montanelli «la perla della nostra memorialistica del tempo». L'opera è lo specchio fedele di quel che era accaduto del Risorgimento italiano: sarcasmo e ironia per tracciare i profili dei suoi avidi colleghi parlamentari, dimentichi e volontari traditori dei valori comuni, con "pensiero ed azione" orientate esclusivamente a interessi egoistici.  Anche in questo caso la lucidità d'avanguardia di un lucano ha scritto una verità della temperie culturale dell'epoca.

Il Petruccelli muore a Parigi nel 1890 e il consiglio comunale di Napoli vorrebbe portare le sue ceneri nel cimitero degli uomini illustri di Poggioreale. La moglie si rifiuta. Lo spregiudicato scrittore lucano soleva dire da vivo: "Tornando sott'altra forma alla vita, da vegetabile, in Inghilterra, sarò ben coltivato; da uomo sarò un moderno civis romanus in qualunque parte del mondo: da animale, sarò protetto dal Comitato che si occupa dei maltrattamenti delle bestie. In Francia, o clericale o comunardo. In Germania, e me ne dispiace, soldato e forse contro il mio paese d'una volta. In Svizzera, albergatore. Negli Stati Uniti, uomo ricco. In Italia... Non so quel che potrò essere in Italia".




La Basilicata al centro della cultura e del pensiero politico del XIX secolo, sì ma non solo. Uno dei più importanti rappresentanti della tradizione vichiana è lo studioso Cataldo Jannelli, nato a Brienza nel 1781. Era il periodo napoleonico e nel quadro del dibattito culturale sulle riscoperta di Giambattista Vico, seguendo le orme di Vincenzo Cuoco sull'importanza della storia e della filosofia della storia, Jannelli si inserì di diritto tra le voci dei più importanti degli storici del tempo.  "Sulla natura e necessità della scienza delle cose e delle storie umane" (1817) è un saggio che si collocò in posizione originale tra i seguaci di Vico, capace di sviluppare un'autonoma riflessione sulla "Scienza Nuova" e la concezione della storia. Il saggio destò grande interesse nei contemporanei, attirando l'attenzione di storici della levatura di J. Michelet e di G.D. Romagnosi, e      nel XX secolo di Croce,  Gentile fino al recentissimo Eugenio Garin.

La cultura Nuova dei lucani non soffiava solo dalla pittura, dalla letteratura, dal pensiero giuridico, storico e politico, ma anche dall'agronomia. Un naturalista, nato a Rionero in Vulture nel 1776, contribuì al progresso delle discipline agronomiche del Regno. Il suo nome è Luigi Granata e nel 1824 dà alle stampe il suo trittico "Teorie elementari per agricoltori". Con un intento divulgativo, chiaramente dichiarato nella prefazione, l'opera espone, con ordine e lucidità, cognizioni che, ancora rigettate da voci autorevoli del tempo, saranno destinate a imporsi come i pilastri delle conoscenze agrarie posteriori. Sul terreno della fisiologia vegetale il Granata professa l'origine atmosferica del carbonio assorbito dalle piante; su quello chimico attribuisce al lievito, di cui non può, palesemente, definire la natura vivente, il ruolo di agente della fermentazione; su quello patologico asserisce la natura crittogamica delle fondamentali malattie dei vegetali. Grazie al successo delle Teorie, Granata si collocò al centro della cultura agronomica del Reame e, avvalendosi del proprio prestigio, si impegnò per la creazione di un'azienda sperimentale che assolvesse alle finalità di sperimentazione e divulgazione. Una fattoria sperimentale era l'obiettivo di tutti gli alfieri dell'agronomia europea e tra questi il Granata. Ricalcando le orme dei padri dell'agricoltura moderna, il lucano promuoveva la costituzione di una società per azioni che avrebbe dovuto acquisire un latifondo di 2099 moggi napoletani (706 ettari) nella piana di Eboli, coltivato secondo il più arcaico sistema cerealicolo-pastorale, e intraprendervi un piano di trasformazione che ne facesse un'azienda agraria e zootecnica d'avanguardia. La testimonianza sull'apprezzamento dell'opera del Granata arriva da parte del più autorevole cenacolo di studi agrari, l'Accademia dei Georgofili, la storica istituzione fiorentina che dal 1753 promuove, tra ricercatori e proprietari agrari, gli studi di agronomia, selvicoltura, economia e geografia agraria. La recensione fu del più importante georgofilo rinascimentale: Cosimo Ridolfi.

Questa "retrospettiva" partita dal più importante pittore lucano del Risorgimento, Michele Tedesco, a lui torna.  La pittura e la poetica di Tedesco sembrano essere una metafora eloquente di quel "mitico XIX secolo lucano": uno scontro viscerale tra istinto e ragione, che ben si sostanzia nelle parole di Roberto Bracco, tra i più grandi autori del teatro del Novecento, diverse volte candidato al Premio Nobel per la letteratura. In merito alla tela "Invasione di una scuola pitagorica in Sibari" esposta a Londra, il Bracco scrive: "Michele Tedesco, l'ordinatore a Londra della mostra napoletana, di cui la rettitudine e la solerzia bene compendiano tutta la responsabilità di questa rappresentanza meridionale della pittura italiana, esponendo una grande tela, nella quale si vede agevolmente il prodotto d'un lungo e profondo studio storico e d'un lavoro arduo e penoso, dà prova d'una fermezza di propositi assai onorevole e benefica, qui dove si dubita alquanto della lena e della tenacia e della cultura dei pittori nostri. Egli ha ricostruito una scena dell'antico sibarismo, molle, impudente, invadente. E, infatti, il quadro raffigura una comitiva di giovani e splendide e voluttuose sibarite che, sdraiate sopra un carro, invadono il recinto d'una di quelle scuole pitagoriche -consensi monastici- austeri, riuniti lontano e in odio ai sibariti- delle quali gli avanzi di Metaponto ricordano ancora la gravità dei colonnati. E, mentre le donne, inebriate, schiamazzano e beffeggiano mettendo a soqquadro gli erbaggi- il cibo dei pitagorici, vegetariani- essi, sprezzanti e dignitosi, non interrompono le filosofiche discussioni. Voi capite, signori, che mettersi a dipingere un quadro di questo genere, se non è pazzia, è certamente un eroismo"

 

 
 
 

Presentazione "Li cunti"

Post n°66 pubblicato il 21 Marzo 2012 da agape07

aGocceFiabe, leggende, racconti e modi di dire. Gocce d’Autore, la rassegna dedicata alla letteratura, alla musica e all’arte, si occuperà al suo quarto appuntamento di letteratura fiabesca e di racconti fantastici. Un genere narrativo che va ad alimentare il patrimonio letterario infantile, recentemente rivalutato per l’importante lavoro di recupero delle tradizioni popolari e delle culture orali. E la nostra terra di Basilicata offre numerosi spunti essendo essa stessa terra di magie e di mistero, avvolta da boschi incantati e cupe montagne. Gli autori delle inedite Gocce, le Associazioni culturali Tumbao e Ama, proporranno dunque al salotto potentino una riflessionesul valore antropologico e pedagogico delle fiabe, parlando con una delle protagoniste della scena letteraria lucana che ha recentemente pubblicato una raccolta di racconti. Carmensita Bellettieri, scrittrice esordiente e giornalista, è l’autrice dell’originale lavoro di ricerca e di raccolta dei racconti appartenenti alla tradizione orale di alcune località della Basilicata.
Attraverso le sue pagine si compie un viaggio immaginifico tra i luoghi intrisi di “magia e incantamenti”, attingendo dalla memoria popolare una visione mistica di un territorio carico di pathos e poesia. Un viaggio affascinante tra demoni e santi, maghi ed eroi che abitano i miti di questa terra, intessuto dei racconti orali che di padre in figlio sono stati tramandati e che permeano tout court la struttura sociale della Lucania arcaica. “Li cunti” della Lucania Mia, il titolo del libro edito da Arduino Sacco Editore, rimanda ad una dimensione domestica e raccolta, dove accanto ad un focolare acceso i nonni “cuntano”, raccontano le storie ai propri nipoti. E proprio a questa figura così importante per l’universo infantile, la nonna, l’alfa di tutte le fantasie, l’autrice dedica il suo libro.
Alla serata riservata alle fiabe e leggende lucane, che si terrà mercoledì 25 gennaio alle 21 ad Art Park in viale del Basento 118, prenderà parte anche il professor Donato Allegretti, scrittore e artista di Brindisi di Montagna, con un contributo sul valore antropologico del libro della Bellettieri. Saranno presenti anche Oreste Lo Pomo, caporedattore della Tgr Rai Basilicata, che ha curato la prefazione del libro e l’artista Pierluigi Lo Monte che ha realizzato la copertina della pubblicazione e arricchito le fiabe raccontate con i propri disegni. Le sue opere saranno esposte all’interno della sala “G. Picerni” in una piccola vernissage che, oltre a colorarne le pareti, va a completare il valore e la ricchezza della proposta culturale.
Il connubio tra le arti verrà poi suggellato dalla musica dal vivo, vera perla di Gocce d’Autore. Il pianista Toni De Giorgi, sui testi dell’autrice ospite, comporrà inedite melodie eseguite insieme alla cantante Iole Cerminara, che conducono lo spettatore direttamente nel libro. Un processo di sinestesia che fa vedere con le orecchie ed ascoltare con gli occhi. Un esperimento riuscito e che raccoglie sempre più consensi intorno ad una nuova formula di fruizione della cultura nella città di Potenza. La voce dell’attrice Lorenza Colicigno, annunciatrice e regista per la Rai, sede di Basilicata, autrice di programmi culturali per la televisione, farà rivivere i personaggi e le epoche raccontate da Carmensita Bellettieri, attraverso la lettura di alcune delle fiabe pubblicate.
Il coinvolgimento attivo del pubblico è l’elemento finale che consente una partecipazione corale con la possibilità di interloquire direttamente con gli autori delle inedite Gocce.

 

 
 
 

"Li cunti della Lucania Mia" a Gocce d'Autore

Post n°65 pubblicato il 22 Gennaio 2012 da agape07
 

 

Un’altra protagonista del panorama letterario lucano sarà ospite della rassegna Gocce d’Autore. Il salotto della letteratura, della musica e dell’arte si appresta a ricevere gli autori del quarto appuntamento della rassegna che raccoglie le più autentiche espressioni della lucanità. Carmensita Bellettieri, giornalista e scrittrice esordiente, parlerà della sua raccolta di racconti dal titolo in vernacolo “Li cunti” della Lucania Mia, edita da Arduino Sacco Editore. Un viaggio nel mondo immaginifico della Basilicata mistica che recupera la memoria popolare in un prezioso lavoro di trasmissione dei valori che hanno sorretto la civiltà lucana. Un’eredità che la giovane scrittrice ha ricomposto nelle pagine del suo libro e che ha consegnato al popolo dei lettori perchè diventino parte integrante dell’importante processo di diffusione.

Alla serata dedicata alle fiabe e leggende lucane prenderà parte anche il professor Donato Allegretti, scrittore e artista di Brindisi di Montagna, con un contributo sul valore antropologico del libro della Bellettieri e il capo redattore RAI Basilicata Oreste Lo Pomo, autore dell'introduzione. Il connubio tra le arti verrà poi suggellato dalla musica eseguita dal vivo dal pianista Toni De Giorgi che comporrà le melodie inedite sui testi dell’autrice ospite, oltre che a creare, insieme alla cantante Iole Cerminara, la suggestione dei racconti permeati di grande liricità. La voce dell’attrice Lorenza Colicigno, annunciatrice e regista per la Rai, sede di Basilicata, autrice di programmi culturali per la televisione, farà rivivere i personaggi e le epoche raccontate da Carmensita Bellettieri. Le tele di Pierluigi Lo Monte coloreranno le pareti di Art Park, l’artista che ha realizzato la copertina del libro e corredato il testo delle sue opere.

Mercoledì 25 gennaio alle 21,00 nella sala “G. Picerni” di Art Park in viale del Basento 118 appuntamento con gli autori delle inedite Gocce da gustare insieme ai numerosi ospiti. L’incontro sarà moderato da Eva Bonitatibus.

 
 
 

Potenza nel ventre della Balena

Post n°61 pubblicato il 23 Novembre 2011 da agape07
 

   

 

Una città sui monti ingoiata da una balena bianca per una sera intera. Tre ore di navigazione stipati negli incubi e nei miracoli dell’animo umano. E c’è da dire che Vinicio con Potenza e, soprattutto, Pignola, ha un rapporto speciale, fatto di fiumi d’aglianico e ‘mbriacate da notti bianche. Così in un glu glu l’inconscio marino ha sommerso la salda montagna in un’onirica ebbrezza.

Si comincia con la giga e le atmosfere dei mari del Nord, dove i marinai più coraggiosi affrontano i propri limiti e le proprie paure in botti piene di rum. Si leva l’ancora per intraprendere il Viaggio dell’Eroe. Cuore grande e timori celati riemergono nel momento della Scelta: diventare Uomo e Dio? La sfida di Achab si vince solo combattendo col pallido mostro marino, il simbolo dell’inestricabile tensione della morte verso la vita e della vita verso la morte. E, soprattutto, il vaso di entrambe e il Senso l’una dell’altra. Con la conquista del significato del Totem si giunge all’uso della Lancia, del cammino, unico possibile: l’amore. E’ la destrezza di quest’arma che permette di guarire ciò che essa squarcia. La dama è sedotta dal Pelide: l’Anima Mundi è tornata all’amante pellegrino. Il de-siderio è soddisfatto: la lontananza dalle Pleiadi si è ridotta e l’attesa è Parte essenziale. Ne è la Trama, filata dai tre volti della Luna. La nascente, la gravida e la vecchia Parca tessono le parole dell’aedo col filo degli ostacoli, ma solo per farne cantare la gloria nella vittoria.

L’eroe trionfa e conosce. Abbatte il gigante col sangue della terra: l’uomo, che dalla terra e alla terra torna, ne esplora i segreti. Come si apprende il mistero della Grande Madre? Si patisce l’incantesimo di un’eterna stagione, ci si lascia sedurre da quel che si è e quel che si è diventato, ci si perdona e si ascolta il canto del tempo. Tutto in attesa del tellurico bacio che ci restituisce all’Unità del Tutto. E non c’è ritorno da questo viaggio, perché Itaca ha dato il viaggio ma non il Nostos. Non si può tornare dalle Colonne d’Ercole, si deve proseguire oltre, fino alla considerazione della semenza umana.

 
 
 

Festival della Terra e dell'Acqua (Tito-Pz, 28/08/2011)

Post n°58 pubblicato il 05 Settembre 2011 da agape07

   

 
 
 

Lucania

Post n°56 pubblicato il 24 Maggio 2011 da agape07
 
Foto di agape07

 

 

 

La voce cupa e intensa di una viola.

Sempre una valigia pronta

nella stanza di chi ti ama.

Appartengo ai tuoi monti

a sfida col silenzio di Dio,

appartengo al vino nero,

al croccare dei peperoni,

al piccante delle mani.

Mi appartiene il tuo pudore

e la sfrontata nudità.

Mi appartengono i tuoi fantasmi.

Divenni strega per vedere meglio.

("La antologia del terzo millennio"

antologia di poesie a cura di Santino Spartà e Lucio Zaniboni, Casa Editrice MARNA s.c.r.l. ottobre 2007, Lecco)

 

 

 

 
 
 

Librerie in cui trovare "Li cunti della Lucania Mia"

Post n°55 pubblicato il 02 Maggio 2011 da agape07

1. diffusione editoriale ERMES libraria
85100 Potenza (PZ)
10, Viale Firenze
tel: 0971 443012, 0971 445435, 0971 445515
2. PITAGORA Scolastica - Via Dei Normanni, 37 75100 Matera
tel 0835.386291/0835.386353

LIBRERIE ON LINE

 

http://www.arduinosacco.it/product.php?id_product=492

 

http://www.ibs.it/code/9788863543568/bellettieri-carmensita/-laquo-li-cunti-raquo-della-lucania.html?shop=5313

 

http://www.libreriauniversitaria.it/libri-autore_bellettieri+carmensita-carmensita_bellettieri.htm

 

http://www.unilibro.it/find_buy/findresult/libreria/prodotto-libro/autore-bellettieri_carmensita_.htm

 

http://www.webster.it/vai_libri-author_Bellettieri+Carmensita-shelf_BIT-Bellettieri+Carmensita-p_1.html

 

http://www.deastore.com/autore/Carmensita%20Bellettieri.html

 

http://libri.dvd.it/altri-generi/li-cunti-della-lucania-mia/dettaglio/id-3173738/

 

http://www.wuz.it/libro/9788863543568/bellettieri-carmensita/laquo-cuntiraquo-della-lucania-mia.html

 

http://compraonline.mediaworld.it/webapp/wcs/stores/servlet/LibriProductDisplay?storeId=20000&catalogId=20000&productId=6092407&category_rn=60650633&siteId=libri

 
 
 

Li cunti della Lucania Mia alla Rai Basilicata 18/04/2011

Post n°54 pubblicato il 28 Aprile 2011 da agape07

 
 
 

La Loba de "Li cunti della Lucania Mia"

Post n°53 pubblicato il 18 Aprile 2011 da agape07
Foto di agape07

"C'è una vecchia che vive in un luogo nascosto che tutti conoscono ma pochi hanno visto, pare in attesa di chi si è perduto, di vagabondi e cercatori.
E' circospetta, spesso pelosa, sempre grassa, e desidera evitare la compagnia. Emette suoni più animaleschi che umani. Dicono che viva tra putride scarpate di granito nel territorio indiano di Tarahumara. Dicono che sia sepolta alla periferia di Phoenix, vicino ad un pozzo. Dicono che è stata vista in viaggio verso il monte Alban su un carro bruciato. Sta accanto alla strada poco distante da El Paso, dicono. Cavalca impugnando un fucile da caccia insieme ai coltivatori di Morelia. L'hanno vista avviarsi al mercato di Oaxaca con strane fascine sulle spalle. Ha molti nomi: la Huersera, la donna delle ossa; la Trapera, la raccoglitrice; la Loba, la Lupa. L'unica occupazione della Loba è la raccolta delle ossa. Raccoglie e conserva in particolare quelle che corrono il pericolo di andare perdute per il mondo. La sua caverna è piena delle ossa delle più varie creature del deserto.  

Ma si dice che la sua specialità siano i lupi. Striscia e setaccia le montagne e i letti prosciugati dei fiumi, alla ricerca di ossa di lupo, e quando ha riunito un intero scheletro, quando l'ultimo osso è al suo posto e la bella scultura bianca della creatura sta di fronte a lei, allora siede accanto al fuoco e pensa a quale canzone cantare. E quando è sicura si leva sulla creatura, solleva su di lei le braccia e comincia a cantare. Allora le costole e le ossa delle gambe cominciano a coprirsi di carne e di pelo. La Loba canta ancora, e quasi tutte le creature tornano alla vita, con la coda ispida e forte che si rizza. E ancora la Loba canta e il lupo comincia a respirare. E ancora la Loba canta così profondamente che il fondo del deserto si scuote, e mentre lei canta il lupo apre gli occhi, balza in piedi e corre lontano giù per il canyon.

In un momento della corsa, o per la velocità, o perché finisce in un fiume, o perché un raggio di sole o di luna lo colpisce alla schiena, il lupo è di un tratto trasformato in una donna che ride e corre libera verso l'orizzonte". (Clarissa Pinkola Estés)

 

Io, seguendo l’esempio della Loba, ho raccolto le “ossa”, ovvero i racconti che si tramandano da nonna a nipote, da madre a figlia e ho tentato di “cantarci” sopra per riportarli a nuova vita e sottrarli alla dimenticanza del tempo. Quando nonna Maria, originaria di Laurenzana, raccontava a me bambina “La gatta alla finestra” o “La volpe e il lupo”, io ho scoperto che esistevano anche fiabe lucane e che i miei coetanei non le conoscevano. In effetti anche da adulta ho scoperto che i miei coetanei non conoscevano le fiabe della propria terra … così è nato in me il desiderio di cercare quelle “ossa”, quel valore inestimabile che è la voce delle Nonne e delle Donne “selvagge” lucane e, dal profondo dei boschi della memoria, ho cercato un canto mio per restituire a questi lupi, che non a caso sono personaggi tipici delle fiabe, una forma che potesse circolare più agevolmente tra piccoli e non. In questo modo la voce di quelle donne uscirà dal ventre del lupo e potrà arrivare ai cuori delle generazioni future.

 
 
 
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