suni à paris

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SO ON....

Post n°23 pubblicato il 23 Ottobre 2007 da suniz
 

Dunque.

La situazione è questa: mi è difficilissimo trovare un lavoro decente senza la laurea, ma a Torino sembrano ben decisi a impedirmi di ottenerla. La burocrazia ha spalancato le braccia per arrestare il mio lento avanzare verso la luce e giuro che ogni tanto mi sembra di essere un parto sventurato della fantasia di Kafka.

Così forse la sessione di gennaio se ne va a ramengo e dovrò aspettare fino a maggio. E non è nemmeno colpa mia! Voglio dire, in quel caso potrei almeno dirmi “ben ti sta!”, invece no, stavolta io non c'entro niente. E’ il collegio decenti e il segretariato e buonanotte al secchio…

Ciò non ha impedito alla mia mamma di farmi una discreta scenata telefonica. E la capisco pure, dopo tre settimane che vaga per uffici al posto mio… Ciò non toglie che la litigata mi abbia incupito l’animo.

A parte questo, a Parigi inizia a fare davvero freddo. Zio Inverno avanza implacabile e l’aria è diventata pungente, gelida nonostante il sole. E’ capitato quasi da un giorno all’altro, come l’anno scorso. Ed è stato di nuovo strano perché in nessun altro posto in cui ho vissuto mi capitava di percepire tanto distintamente il passaggio alla stagione fredda. E’ come se qualcuno avesse premuto un interruttore, il cambiamento è stato brusco, improvviso: da un giorno all’altro si è l’aria si è modificata, la qualità stessa dell’atmosfera è differente, la luce tutt’a un  tratto si è fatta più bianca, più cruda. C’è una certa poetica bellezza nel modo in cui questo cielo così spietatamente chiaro ed etereo fa capolino tra i palazzi, risplendendo di ghiaccio.

Parigi non sembra farci molto caso. Le ragazze in metro continuano a sfoggiare improbabili maglioncini senza giacca e mi chiedo come mai non si trovino cadaveri di fanciulle assiderate ad ogni angolo di via. Dev’esserci qualcosa di strano nel dna dei francesi; forse è qualcosa che mangiano, chi lo sa.

Io continuo a leggere libri per la tesi, sono passata a Tim Burton. Per restare in tema, mi sono procurata l’intera discografia di Danny Elfman e degli Oingo Boingo e in questo momento le dolci note della colonna sonora di Sleepy Hollow allietano la mia serata in solitaria.

Stamattina Simon ha trovato un divano abbandonato per strada e io e Blanca siamo scese per aiutarlo a portarlo in casa: penso che i muscoli delle braccia –che come ben sapete sono perfettamente allenati da anni di nullafacenza- smetteranno di farmi male intorno al 2010. Tuttavia è stato molto divertente, soprattutto quando il custode del palazzo si è affacciato dalla tromba delle scale per chiederci cosa accidenti stavamo facendo: continuavamo a rimbalzare contro i muri e credo che abbiamo infastidito tutti i nostri vicini, tanto per assicurarci il loro odio imperituro.

Splendido.

Per il resto, continuo a stare in uno strano limbo mentale in cui momenti di euforia del tutto ingiustificata si alternano ad attimi di tetro sconforto e ansia folle: ieri pomeriggio mentre andavo a Barbés a prendere la metro ho avuto una specie di attacco di panico e non riuscivo a respirare, ho dovuto fermarmi e appoggiarmi al muro per un paio di minuti.

Non so davvero dove sto andando o cosa sto facendo, vorrei almeno avere un’idea o un obiettivo, qualcosa insomma verso cui puntare in mezzo a questo caos intricato che è il mondo vago delle mie aspirazioni. Vorrei trovare un lavoro, uno qualunque ma che mi stimoli –e già di per sé è evidente la contraddizione insita in questa idea- e brancolo senza decidermi tra un’ipotesi e l’altra, aspettando un’illuminazione divina o più probabilmente di non avere più soldi per l’affitto al punto da dovermi decidere per forza. Cosa che si verificherà anche abbastanza presto.

L’insicurezza mi stronca e mi rende quasi apatica. A volte ho l’impressione di non poter compiere con le mie sole forze nemmeno la più semplice azione; in quei momenti, lo sforzo del recuperare la padronanza di me e muovermi, di qualunque cosa si tratti, è talmente intenso da svuotarmi di quasi tutte le energie. Chiudo gli occhi e mi butto avanti. C’è una certa bellezza nel salto nel vuoto che forse è poi il motivo per cui mi trovo qui, in questo novembre qualunque, lontana da casa e tutto sommato abbastanza sola.

Cioè, ci sono persone intorno e vicino a me, poche ma ci sono. Però a volte non basta. Mi rendo conto che comunque non è come avere vicini gli amici di una vita, e che in fondo ciascuno ha i propri impegni in questa città affollata e deserta al tempo stesso, in cui i rapporti umani talvolta sono così distaccati da sfiorare l’incomunicabilità.

E proprio mentre mi siedo in un posto qualunque, abbattuta, depressa e amareggiata, Parigi mamma indifferente mi abbraccia con uno di quei gesti mozzafiato che solo lei sa. Mi accascio su un autobus ed è il Pantheon che mi scivola di fianco, i Jardins du Luxembourg con i rami mossi da un vento leggero, luminosi.

E tutte le cose spiacevoli svaniscono come fantasmi senza senso.

Per concludere, domenica pomeriggio ho iniziato il mio nuovo passatempo: un amico marocchino mi insegna l’arabo, abbiamo fatto la prima lezione in un bar che conosce lui vicino a Bastille, poco affollato. Mi ha mostrato l’alfabeto, le regole degli accenti e ha tentato di farmi pronunciare alcuni suoni assolutamente impossibili da replicare che fanno parte del loro modo di parlare ma assolutamente non del nostro. Di fronte alla scarsità dei miei risultati, Imad –così si chiama il mio “professore”- si è messo a ridere dicendo che non mi devo preoccupare e che al primo colpo non ce la si fa. Comunque è stata una cosa estremamente affascinante.

E questo è quanto.

 
 
 
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Data di creazione: 14/10/2006
 

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