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Tamara de Lempicka, scandalo e modernità

Post n°5 pubblicato il 13 Ottobre 2006 da eleperci
 

A Palazzo Reale di Milano una mostra sulla grande artista polacca


di Elena Percivaldi



"Alta, morbida ed armoniosa, nelle movenze, tutta accesa di vita, col volto
illuminato dai grandi occhi un poco artificiali, con la bocca facile al
sorriso e rossa dei più rari rouges parigini, ella fa convergere sulla sua
persona tutti gli sguardi e tutte le curiosità. Che passi inosservata non è
possibile tanto splende nei colori dei suoi abiti, nei toni della pelle,
nella femminilità raggiante da tutta la persona". Così Tamara de Lempicka
veniva colta, come un'apparizione, da un giornalista italiano in articolo
pubblicato nel 1930 dalla rivista "La Donna". Un'apparizione folgorante,
quella dell'allora trentaduenne artista di origine polacca nei Salon
parigini, in un mix tra Greta Garbo e Theda Bara, in cui della prima
sfolgorava la naturale eleganza e l'ambigua sensualità, e della seconda il
fascino tenebroso e a tratti malinconico, comunque profondamente tragico. Il
paragone tra l'artista e le due dive del cinema non è azzardato: fu per
prima lei, che era nata (forse) a Varsavia nel 1898, agli albori del
cinematografo, a comprendere lo straordinario potere dell'immagine, anzi a
giocare con esso come seppe fare prima di lei un'altra incantatrice delle
élite della Ville Lumiére, la Contessa di Castiglione. Fino a diventare un'icona
capace di stregare intere generazioni. E' ciò che emerge prepotentemente
dalla mostra allestita a Milano, Palazzo Reale, da oggi al 14 gennaio
prossimo (catalogo Skira). Curata da Gioia Mori, la rassegna ripercorre
attraverso un'ottantina di opere la carriera di quest'artista cosmopolita
(ma italiana di formazione) ricreando anche le suggestive e raffinate
atmosfere di un'epoca, quella tra gli Anni Venti e la seconda guerra
mondiale, che ne vide l'apogeo pittorico, prima del declino, della
depressione, della morte, le sue ceneri sparse in un vulcano in Messico.

Proprio a Milano, nella galleria del conte Emanuele Castelbarco (la celebre
"Bottega di Poesia") Tamara nel '25 tenne, sconosciuta a tutti, la sua prima
personale. La sua pittura atipica, fortemente plastica, coi volumi dei corpi
resi attraverso lo scorrere liquido della luce e i forti contrasti
cromatici, colpirono l'attenzione di molti tra cui D'Annunzio, come lei
filosofo della vita intesa come opera d'arte, da lei attratto ma respinto.
Sono anni intensi, questi, gli anni della restaurazione dopo la rottura
compiuta ancora a Milano dal Futurismo, con protagonisti i Casorati, gli
Oppi, i Wildt, i Trombadori, i Funi: artisti che al mito della velocità e
della macchina rombante sostituiscono il ritorno al figurativo, in altre
parole al classico. Del resto l'amore di Tamara per l'arte antica -
Botticelli e Raffaello, ma soprattutto Pontormo - riecheggia in opere come
"Le voile vert" o "Maternitè", del Pontormo negli spigoli nervosi e nella
brillantezza del colore.

Un matrimonio fallito, l'esilio dopo la rivoluzione d'ottobre, in fuga poi
dai nazisti, amanti raffinati scelti con cura in ambo i sessi tra le file
delle élite culturali parigine e italiane, di Tamara si è sempre
sottolineato l'accesa sensualità tradotta in una pittura «perversa», che sa
di alcova e di sigarette, di vestaglie di seta e capelli alla garçonne. La
vediamo, in mostra, in uno straordinario quanto breve filmato del '32 mentre
ritrae una modella: le pennellate stese sulla tela sono vigorose, violente,
quasi una metafora del sesso. Emblematicamente la pellicola termina  con l'artista
che si sveste e riveste davanti allo specchio, dandosi civettuola la cipria,
come dopo l'amore.  Lo scandalo, del resto, è la sua cifra: basta guardare
opere come "Rafaëla su fond vert"('27) o "Nux aux buildings" ('30). Nella
prima la modella copre pudicamente il petto ma lo sguardo è sfrontato,
diretto; nella seconda i veli, caduti, svelano tra la bianca veste seni
pieni e conici, e pare di sentir riecheggiare il "Cantico dei Cantici": «I
tuoi seni sono come due caprioli, gemelli di gazzella, pascenti in mezzo ai
gigli».

Profetessa della donna libera ed emancipata, Tamara diventa un'icona della
moda e del nuovo, nei suoi ritratti compaiono gioielli, abiti, palazzi,
persino il telefono. Lei stessa si rappresenta seduta in auto, i capelli
alla maschietto trattenuti da una cuffietta chiara, il manifesto della
modernità. Fino alla crisi finale, che la porterà a meditare, depressa ed
esaurita, i temi sacri. Femme fatale, angelo arcano, donna segnata dalla
violenza della Storia e perciò tanto femminina quanto virile - dalla radice
latina del termine, "vis", cioè forza -, Tamara fu questo e molto di più. Fu
ghiaccio bollente, protagonista di un'epoca, "arbitra elegantiarum" di un
mondo attraversato da contraddizioni telluriche, sospeso tra ammirazione per
l'antico e anelito verso il futuro, senza certezze e piena di ambiguità. E
per questo oggi affascina come non mai.



Milano, Palazzo Reale. Orari: 9.30-19.30 (giovedì 9.30-22.30, lunedì
chiuso). Info 0254919.

 
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NE PARLANO:

GR2 (RAI RADIO 2): INTERVISTA (9 gennaio 2008, ore 19.30) Dal minuto 20' 14''
http://www.radio.rai.it/radio2/gr2.cfm#

ASSOCIAZIONE CULTURALE ITALIA MEDIEVALE
http://medioevo.leonardo.it/blog/la_navigazione_di_san_brandano.html

IL SECOLO D'ITALIA 12 dicembre 2008 p. 8 - SEGNALAZIONE
http://www.alleanzanazionale.it/public/SecoloDItalia/2008/12-dicembre/081214.pdf

IL SECOLO D'ITALIA  01 gennaio 2009 p.8 - RECENSIONE
http://www.alleanzanazionale.it/public/SecoloDItalia/2009/01-gennaio/090110.pdf

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http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=23436

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1 novembre, Europa tra sacro e profano

1 novembre, Europa tra sacro e profano. Ne hanno parlato al microfono di Giulia Fossà: Elena Percivaldi, giornalista e studiosa di storia antica e medievale; Flavio Zanonato, sindaco di Padova; Marino Niola, Professore di Antropologia Culturale all'Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli; Sonia Oranges, giornalista de 'Il Riformista'; Alberto Bobbio, capo della redazione romana di 'Famiglia Cristiana'; Ennio Remondino, corrispondente Rai in Turchia. La corrispondenza di Alessandro Feroldi sulle politiche dell'immigrazione a Pordenone.

ASCOLTA: http://www.radio.rai.it/radio1/nudoecrudo/view.cfm?Q_EV_ID=230636

 

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I MIEI LIBRI / 1

ELENA PERCIVALDI, "I Celti. Una civiltà europea", 2003, Giunti (Firenze), pagine 192, euro 16.50

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I MIEI LIBRI / 2

ELENA PERCIVALDI, I Celti. Un popolo e una civiltà d'Europa, 2005, Giunti, pagine 190, euro 14.50

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L'alfabeto ogamico è un originalissimo modo di scrivere che fu inventato presumibilmente intorno al IV secolo d.C. Il nome "ogam" è stato collegato a quello di un personaggio chiamato Ogme o Ogmios: per i Celti il dio della sapienza. Nella tradizione irlandese del Lebor Gàbala (Libro delle invasioni), Ogma è un guerriero appartenente alle tribù della dea Danu (Tuatha Dé Danann). Un testo noto come Auraicept na n-éces (Il Manuale del Letterato), che contiene un trattato sull'alfabeto ogam, dice: "al tempo di Bres, figlio di Elatha e re d'Irlanda (...) Ogma, un uomo molto dotato per il linguaggio e la poesia, inventò l'Ogham.”

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Volti, cerimonie rituali, frammenti di vita in seno ai templi delineano attraverso la fotografia i segni del ritratto di un mondo in cui le difficoltà morali, il fervore spirituale e la profondità d’animo vanno di pari passo con la gentilezza, l’allegria e l’immensa generosità.  Le suggestive immagini in bianco e nero, fortemente spirituali, della prima parte del volume si contrappongono alle intense fotografie a colori dedicate alla realtà di tutti i giorni (centri commerciali, prostitute) pubblicate nella seconda parte. Il libro è introdotto da un accorato messaggio di pace del Dalai Lama che pone l’accento sulla grande forza d’animo con cui il popolo tibetano affronta continuamente ardue prove nel tentativo di continuare a perpetuare l’affermazione delle proprie idee e della propria spiritualità.

 

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