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§ Il caso Asia
Incompresa, come recita il titolo del suo ultimo film da regista, lo è stata sin dall'inizio: già dalla nascita, quando la vollero chiamare Asia. Che uno zelante funzionario dell'anagrafe trasformò però in un nome non meno originale e ambizioso, Aria. A 9 anni già recitava: ma è stata anche cantante, scrittrice, modella. Si è coperta da capo a piedi di tatuaggi, ha baciato un rottweiler in un film di Abel Ferrara e ha fatto una figlia con un altro dissidente della normalità, il cantante Morgan: può non starvi simpatica, ma fatico a pensare che si meriti, a maggior ragione dopo quello che le è successo, tutto il fango che le sta piovendo addosso. Carrierista, troia, complice schifosa: sono solo alcuni dei «complimenti» che il popolo social (in particolare donne: e non è un dato da poco) le ha recapitato. E' vero: Asia Argento avrebbe potuto denunciare prima Harvey Weinstein, il produttore-orco che l'ha molestata vent'anni fa, sorte condivisa da decine di altre, notissime e meno, attrici. Non c'è dubbio. Ma viene da chiedersi, in questo sport tutto italiano di infamare la vittima piuttosto che il carnefice, se davvero esiste un timing, una scadenza, una data, per fare i conti con i propri traumi e i propri fantasmi. Se c'è un momento giusto per vincere la vergogna e la paura di confessare il sopruso, l'umiliazione, l'incubo. Asia ha raccontato di essersi sentita in colpa per non essere riuscita a scappare e per non avere avuto il coraggio di denunciare: ma a molti non è bastato. E giù insulti, spregio, rancore. Non proprio un grande incoraggiamento, un bell'esempio, per tutte le ragazze che ovunque, anche nella nostra città, sono vittime di abusi: chi avrà più voglia di denunciare se il rischio (ne sa qualcosa anche la mantovana stuprata in via Testi nell'allora sede della Rete anti fascista) è quello di avere in cambio non solidarietà o comprensione, ma la gogna? di Filiberto Molossi
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