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Guido piano

Post n°28 pubblicato il 18 Settembre 2008 da threecharlie
 

Il titolo è un omaggio ad un brano simbolo di Fabio Concato, autore che ho sempre trovato affine e che ha accompagnato alcune fasi della mia vita facendomi conoscere un gruppo di persone, lo zoccolo duro dei partecipanti del forum ufficiale (ma questa è un’altra storia). I miei amici e conoscenti, virtuali o meno, sanno che lavoro faccio, per i lettori occasionali ricordo che faccio il taxista per cui capita, anche se non spesso, il viaggio fortunato,
che per alcuni miei colleghi non significa molto di più che un bel guadagno. Io non sono così alieno da non riconoscere che l’aspetto economico non sia importante ma questa settimana ho avuto la fortuna di fare due viaggi, un po’ stancanti fisicamente magari, ma ne valeva la pena. Domenica sono andato con dei clienti a Follonica; avevano fatto un incidente stradale che era costato loro la macchina (da buttare) ma sostanzialmente se l’erano cavata con poco dal punto di vista fisico. Non avendo voglia, perché esausti, di aspettare treni e coincidenze hanno deciso di spendere molto di più ma di raggiungere prima possibile casa. Al momento di mettermi sulla strada del ritorno mi sono detto “ma sì chi se ne frega (di tornare velocemente), ora vado a ca… (torno a caso)”, e così ho fatto. Guidavo “a vista”, niente cartine, solo istinto, dirigendomi dove mi sembrava ci fosse qualcosa che appagasse la mia curiosità, trovandomi inizialmente in uno sterminato (vabbeh, non era sterminato ma grande sì, quello sì) “Getsemani”. Ulivi ovunque, e girandomi verso il Tirreno, una gran vista su quel che penso fosse l’Isola d’Elba (se poi non lo era poco male, era bello pensarlo), e poi via, all’incrocio giro a destra o a sinistra? Non è importante, quanto è bello guidare ad istinto. Sapevo solo, o forse è più corretto dire volevo solo, che era giusto avvicinarsi a Firenze, all’entrata dell’autostrada che mi avrebbe riportato verso casa, a Rovigo. L’unica concessione del viaggio al soddisfare un paio di curiosità precise era il passare a Larderello (i soffioni boraciferi mi affascinavano da quando li ho letti sul sussidiario scolastico, anni settanta) e una puntatine a Pontedera, giusto per inveire verso il museo Piaggio, reo di non aver mai risposto ad una mia mail in cui chiedevo informazioni da riversare in wikipedia. Tra le colline attorno a Larderello non ho trovato i soffioni, me li immaginavo come piccoli geyser sparsi, non sfruttabili commercialmente, o forse non ho solo saputo trovarli, In compenso ci sono tubi dappertutto, in acciaio inox, che scintillavano nel sole che ogni tanto faceva capolino tra le nuvole. L’immagine mi ricordava un LP degli Alan Parsons Project, Ammonia Evenue, che razionalmente non si avvicina alla realtà di quel che stavo vedendo, ma le associazioni sono belle e libere anche per quello, e il bambino che era in me si comportava come in un negozio di giocattoli. Con Pontedera è andata inizialmente male. Alla delusione dell’aver scoperto il museo più “modesto” di quanto mi aspettassi (solo una opinione basata sull’aspetto dell’edificio, tutt’altro che qualcosa di autorevole) si è contrapposta la meraviglia, quella del bimbo che è in me, nello scoprire invece la presenza delle centrali eoliche, dei gran ventilatori che “funzionano al contrario” e che invece di consumare energia elettrica per muovere l’aria delle giornate afose la generano muovendo le tre pale nel vento, evoluzione tecnologica dei mulini. Altro
scaffale di giochi ed altri sorrisi “ebeti” nel guardare all’insù commentando la scoperta con l’amica Paola (chachechichochu) al cellulare oltre alla sensazione di comunismo radicato per una serie di manifesti affissi per un non ricordo quale avvenimento legato a Mao Tse Tung (mah, sono perplesso). Ok, questa la finisco qui che probabilmente non vedete l’ora (se non l’avete già fatto) che sta cosa finisca (3C o non scrive mai o vi assassina la pazienza), tanto, ora apro un altro thread tiè.

 
 
 
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