Creato da tonny88 il 14/07/2005

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MATISSE - ICARO

e alla fine...

 

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“Molte persone entreranno e usciranno dalla tua vita, ma soltanto i veri amici lasceranno impronte nel tuo cuore.”
Eleanor Roosevelt

“Esiste una sola felicità nella vita, amare ed essere amati"

George Sand

“La solitudine è come una lente d'ingrandimento se sei solo e stai bene stai benissimo, se sei solo e stai male stai malissimo.”
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ESISTE L'AMORE???

Amore - klimt

 

 

poesia

Post n°694 pubblicato il 06 Marzo 2009 da tonny88

La pioggia nel pineto - Gabriele D'Annunzio

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

Ascolta, ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode voce del mare.
Or s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Piove su le tue ciglia nere
sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.

 
 
 

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Post n°693 pubblicato il 06 Gennaio 2009 da tonny88

Guardava film alla tv. Disteso nel caldo del suo letto, in quell’ultimo giorno di festa, non riusciva a fare altro. Quella mattina non era riuscito ad alzarsi presto come voleva. Dormì vestito, la sera prima tremava, ma non per il freddo e credeva di avere la febbre. Non era riuscito a fare niente di quanto si era ripromesso in quei giorni.

Una lacrima, lenta e solitaria, scese sulla sua guancia. Quasi non se ne accorse. La lasciò fare, fino a quando arrivò sul cuscino, asciugandosi. Non era stata l’unica però quel pomeriggio. Ne vennero altre. Raminghe in cerca di pace. Sole, stanche, disperate.
Non capiva cosa gli stesse succedendo. Non sapeva definire il suo stato d’animo, e tanto meno non riusciva a comunicarlo con nessuno. Ma anzi, parlare con qualcuno, anche se lui lo voleva, lo faceva apparire nervoso e distaccato.

Domani sarebbe ricominciato tutto, e non sapeva se ce l’avrebbe fatta.

 
 
 

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Post n°692 pubblicato il 05 Gennaio 2009 da tonny88

Si svegliò stancamente, come le altre mattine. Non si sentiva del tutto riposato, quelle ore di sonno gli avevano lasciato un retrogusto di insoddisfazione e perdita. C’erano stati particolari sogni quella notte, che a tratti riusciva ancora a ricordare. Erano ben raccontati, chiari e decisi. Ma anche se popolati da animali fantastici, o luoghi e persone che ben conosceva, non gli avevano lasciato niente, nemmeno la sana curiosità di chiedersi cosa potessero significare. Domande che un tempo ogni mattina si faceva. Ma aveva ormai perso qualsiasi tipo di curiosità da quando quei sogni si erano fatti rari.
Non voleva alzarsi. Continuava a rigirarsi nel letto, dormendo così per quasi tutta la mattina. Seduto sul letto la sua unica domanda in testa era perché?. Perché alzarsi, perché andare avanti, perché vivere. Un solo perché capcace di racchiuderne infiniti altri, che non hanno bisogno di essere elencati. Una volta in piedi si guardò allo specchio. Era sempre lui.

In bagno, davanti ad un altro specchio, decise finalmente di radersi. Quella barba di forse un mese, che in parte lo copriva, era continuamente criticata da sua madre. Ma che ammetterà poi, dopo il taglio, che avrebbe preferito la lasciasse un po’ più lunga. Sotto la doccia sentiva l’acqua calda scivolare via e niente altro. Se un tempo adorava stare li sotto quel getto rilassate, ora si annoiava. Solo il contatto con le piastrelle gelide della parete lo riportavano alla realtà. Ma quel tempo li dentro, rimaneva dilatato e lungo solo perché era quello, solo un altro rifugio dove stare da solo.

Con sua madre litigava spesso. Quasi quotidianamente. Era sempre lui a cominciare, sempre per delle sciocchezze. Era il suo unico momento di sfogo e di rabbia che poteva permettersi. Durava poco, e poi come se niente fosse, tornava la vita di prima. Tornavano i silenzi, le indifferenze. La mancanza di dialogo era tipico in quella famiglia.
Ordinò dei libri su internet, anche se con una certa difficoltà, a causa di un malfunzionamento del sito. Ma era contento. Ordinare, comprare, sfogliare libri lo metteva generalmente di buon umore. E quando arrivava il pacco, lo apriva mantenendo una certa sorpresa ed eccitazione, nonostante sapesse benissimo cosa contenesse.  Quando avvertì sua madre, lei staccò gli occhi da un giornale di pettegolezzi, e togliendosi gli occhiali gli chiese con tono infastidito se quei libri li comprasse solo per bellezza o se li leggesse davvero. Questa sua domanda lo irritò, ma si trattene da dire qualcosa, e se ne tornò nella sua stanza. Sua madre non poteva capire. Erano così distanti loro due. Sentiva di non aver ricevuto niente da lei. Tutte le cose che lui amava, le aveva apprese da solo. I libri, l’arte, quella famiglia non sapeva cosa fossero. Sentiva di non aver qualcosa in comune con nessuno di quella casa. Sapeva che non poteva raccontare molto a sua madre, anche quando provava a spiegarle come andavano gli studi e i corsi, lei sembrava non ascoltare o non capire. Forse non gli interessava. Infatti non andava mai oltre le domande di rito, e poi le risposte rimaneva vane e sospese nell’aria. Si sentiva solo anche a casa, per questo non resisteva più del dovuto seduto a tavola con loro, per questo se ne stava sempre rinchiuso da qualche parte.

Passò così il pomerggio seduto davanti alla scrivania nel suo studio, ascoltando musica, con dei fogli bianchi davanti e matite e sqadre a disposizione. Ma dopo aver tirato qualche linea, gli tornò negli occhi la disperazione. Non sapeva cosa e come doveva fare. E quel tentativo di riappropriasi di certe abitudini, scemò sul nascere. La musica catturò la sua attenzione. E subito dopo la tastiera del portatile. Che decise di pulire come meglio poteva. Distraendosi ed estraniandosi dal mondo per qualche decina di minuti.

Dei botti in lontananza. Molti stavano festeggiando quella sera. Perfino suo padre decise di fare un falò, probabilmente per il nipote. Il cane, spaventato, grattava la porta in cerca di attenzione e rassicurazioni. Quello che forse voleva anche lui, ma non erano i botti a spaventarlo. Non era solo per una sera. Ma era così da sempre.

Anche in quel momento, ancora seduto alla scrivania ad ammirare i suoi libri e a non fare altro, aveva voglia di piangere. Era da tanto che non si faceva un bel pianto liberatorio, pensava.

 
 
 

3

Post n°691 pubblicato il 04 Gennaio 2009 da tonny88

Voleva piangere, ma si trattenne, perché il vuoto glielo permetteva. Non gli restava altro che camminare. Camminava nel buio e nel silenzio in cui era immersa la sua casa. Non riusciva a dormire nemmeno quella notte, ormai era diventata un’abitudine. Vagava lentamente, con passo morbido, mani in tasca e lo sguardo fisso nel vuoto. Come un fantasma infestava quella casa, mentre i suoi genitori dormivano ignari nella loro stanza. Ma conoscevano poco il figlio.

Quanto valeva la sua vita? Non era diverso da molti altri, eppure credeva che il suo dolore fosse  unico e incomprensibile ai più.
Aveva fame, il suo stomaco brontolava, ma non era quello il momento di mangiare.

Voleva uscire, fuggire. Ma anche se non fossero state le 2 notte non avrebbe avuto il coraggio di andare via. Si sentiva un mostro per come si era ridotto in quelle 2 settimane. Il suo volto era ora segnato, deturpato e non voleva più farsi vedere. Uscire da quella soglia sembrava solo un lontano ricordo.

Tornato nella sua stanza si spogliò e con calma si infilò sotto le coperte. Non aveva freddo, anzi lo preferiva. Anche in pieno inverno, la sera con temperature attorno allo zero, era solito tenere la finestra aperta. Tremare lo costringeva a credere di essere ancora vivo. C’erano sere in cui si sporgeva da quella finestra guardandosi attorno e respirando a pieni polmoni quell’aria gelida. E poi guardava giù. Al buio era poco nitido il marciapiede li sotto. Non era molto in alto, meno di 10 metri, ma l’oscurità riusciva a modificare le percezioni. Si chiedeva cosa sarebbe successo se si fosse buttato. Cosa avrebbe provato. Niente, diceva, non è abbastanza alto, non ci sarebbe il tempo di provare nulla. Solo un fortissimo dolore fisico se le cose fossero andate per il peggio, pensava.

Che soluzione poteva esserci per lui. Non ascoltava le poche persone che dicevano di volerlo aiutare, non faceva niente per cambiare. Voleva degli amici, voleva essere come gli altri, ma teneva tutti a debita distanza, non riusciva ad allacciare alcun nuovo rapporto e mandava in malora i pochi che era riuscito a creare col tempo. Stava male. Non lo voleva ammettere, nemmeno a se stesso, ma stava male.

Sistemò i cuscini e le coperte, e si girò poi di lato, fissando la luce della lampada sopra al comodino. Era calda e luminosa. E quasi si aspettava che da un momento all’altro si spegnesse da sola, stanca di essere sempre accesa. Ma ogni sera era lui stesso a spegnerla, e a volte inconsapevolmente, la accarezzava. Questo naturalmente solo dopo aver letto qualche pagina del libro di un libro che teneva sempre sulla scrivania. E come una medicina ogni sera doveva leggere. Spenta la luce, rimaneva ad occhi aperti, aspettando di abituarsi al buio e rivedere pian piano, alla fioca luce proveniente da un lampione fuori, i contorni sfocati della sua stanza. Ma subito si voltava dall’altra parte per afferrare il cuscino, e stringerlo forte a se. Chiuse i suoi occhi sempre più stanchi e infelici, e cercava di aprirli in un altro mondo, quello fatto di fantasia e speranza. Ma negli ultimi giorni non riusciva più nemmeno in questo. Il vuoto gli aveva rubato tutto. I suoi pensieri, i suoi sogni, i suoi racconti prima di dormire. Doveva sforzarsi. Ma quelle che gli apparivano in testa erano solo immagini che non significavano nulla. Cominciava allora a parlarsi. Lunghi monologhi interiori in cui esprimeva a parole quei sogni che non riusciva più a fare. Aspettava con ansia che il sonno lo prendesse e mettesse, anche se per poco, la pace nei suoi pensieri. E alla fine arrivava, lasciando interrotti quei discorsi. Parole che si ripetevano sempre ma che non sortivano alcun effetto. Parole che si perdevano in quello stesso vuoto. In quello stesso freddo. Nel buio di una notte come tante.

 
 
 

viola

Post n°690 pubblicato il 04 Gennaio 2009 da tonny88

matisse - la conversazione

 
 
 
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NESSUNO

Sono nel buio un’ombra,
sono nel nulla un’orma,
sono il vuoto,
sono un malato.
Sono la foglia che cade,
Il deserto e il mare,
sono l’errore,
sono odio e amore.
Sono la tela bianca,
il libro strappato,
sono il vetro rotto,
un panno consumato.
Sono l’attesa, la speranza.

L’indecisione e la tristezza.
Sono l’infinito senza arrivo.
sono morto e vivo.
Sono un fantasma,
lo spirito errante,
sono l’animale estinto,
l’escluso, sono il vinto,
sono un uomo solo,
io sono nessuno.

 

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