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Post n°667 pubblicato il 08 Novembre 2008 da tonny88

Venerdì

Luci riflesse sull’acqua. Si spezzano in mille increspature, allungando la vista. Colori che si fondono nel buio della notte. Punti ben visibile che segnano confini. Vicini, lontani. Infiniti. Un treno che corre veloce. Un paesaggio invisibile, nascosto. Vuoto, pieno. E luci che diventano stelle. Poterle toccare col pensiero. Poterle sentire vicine. Poterle capire.

Il vetro che diventa specchio. I sedili, le persone e i neon. Non voglio vedermi. Mi conosco, conosco il mio volto, conosco il mio sguardo. Cerco di vedere oltre ma l’oscurità me lo impedisce. Una barriera che mostra solo me stesso. Non riesco a sostenere il mio stesso sguardo. I pensieri fermi ad aspettare, un momento di silenzio di stasi, con la sola voglia di tornare a casa. Al sicuro. Nel mio letto. Eppure riesco ancora a sopportare e a contenere la malinconia. L’università, lo stare con gli altri, il viaggio in treno, mi aiuta. Ma appena sento la voce metallica registrata pronunciare la mia stazione sento che è davvero tutto finito. Mi preparo, raccolgo le mie cose, spengo il lettore mp3 e mi avvicino alla porta. Altri cominciano ad avvicinarsi. Lancio occhiate per capire chi sono, e torno a fissare il mio riflesso sul vetro. Il treno rallenta, si ferma. La gente pian piano scende. Li osservo. Molti si salutano tra di loro. Io non conosco nessuno. C’è un ragazzo che frequenta la mia stessa università. Mi guarda, lo guardo. Cammino verso l’auto di mia madre. E li tutta la stanchezza pesa più di un macigno. Subito torna il mio caratteraccio, non si ride, non si scherza, non si parla. Minuti di silenzio. Solo la musica di anni passati alla radio come sottofondo. Arrivati davanti al garage, spento il motore, rimango li seduto ancora qualche secondo. Come immobilizzato. Esco. Sento il mio cane arrivare. Lo saluto, lui mi guarda appena e non si lascia nemmeno accarezzare è solo interessato a rimarcare il suo territorio. Come se io non contassi nulla nemmeno per lui. Salgo. E ad ogni gradino mi sento più stanco. Finalmente nella mia stanza faccio sparire ogni brutto pensiero. Vedo il mio letto, grande, azzurro, come il mare, come il cielo. E aspetta me. Ma non è il momento. È ora di cena. Parlo poco, l’indispensabile. Irritabile e nervoso cerco di contenermi il più possibile. Mio fratello che mi chiede i soldi per i libri che sono arrivati nel pomeriggio. Lo evito, e rispondo evasivamente che non ho soldi. Durante la cena dice che il pane ingrassa. Mia madre mi chiede cosa penso della cena. Evito entrambi i discorsi. Sposto il mio sguardo dal piatto, allo schermo della tv, al buio della finestra. Mi sento sempre più schiacciato dal peso di questa vita. Sento pronunciare i soliti discorsi. Insopportabili discorsi. Non sanno cosa mi passa per la mente. Nervoso, disperato e rassegnato, torno nella mia stanza. Sento ancora le loro voci provenire dalla cucina. Risate. E io penso a come vorrei ammettere quelle 3 parole. Me le ripeto in testa. Senza immaginare la reazione loro. Un tuffo nel mio letto e tutto passa. I cuscini sotto la mia testa scaldano i miei pensieri, e per un attimo anche loro si riposano.

Ombre di oggetti conosciuti. Familiari. Miei. Ombre della mia vita. Vestiti buttati alla rinfusa tra la sedia e l’attaccapanni. La borsa che appoggiata male lentamente scivola, cede, cade. Macchine che nella notte passano. E il loro suono si perde lontano nella strada. Rumori di una tv accesa che non seguo nemmeno. Rumori dalla cucina sotto di me. Rumori del mondo esterno a queste 4 mura.

Io disteso a letto penso. Penso a quello che mi succede.

Mi trovo seduto nell’aula c dell’università. Sono da solo e sfibrato e rassegnato fingo di disegnare e di occuparmi del progetto. Gli altri si sono allontanati. E io so dove sono, ma rimango al mio posto. Fedele. Ricevo un messaggio di chiarimenti da parte di una mia compagna, e la capisco. Li seduto solo mi appare un solo pensiero. Non ho alcun amico qui dentro. Mi ripeto questa frase. E più la ripeto più mi appaiono immagini che mi danno ragione. Un ragazzo interrompe i miei pensieri, mi chiede se posso guardargli la sua roba mentre esce a mangiare. Ripeto stupidamente 2 volte si, e se va. E li da solo davanti ad un foglio bianco vorrei disegnare la mia vita, progettarne una nuova, come progetto un palazzo. Schizzarne gli aspetti principali che voglio mantenere. Poi approfondirli, sfaccettarli. Deciderne ogni aspetto. Ma come in ogni progetto la realtà è ben diversa e difficile.
Non sono capace a creare dei legami o a mantenerli. No. Eppure ci sono dei momenti in cui fingo che vada tutto bene. Me lo impongo. In genere sono una persona fredda e scostante per cui è facile evitarmi. E pure io evito gli altri. È sciocco, no è stupido evitare gli altri quando ci si sente già soli. Eppure ci sono dei momenti in cui lo stare soli non implica alcuno sforzo ed è più facile.

Mi rigiro nel letto. Sento gli occhi irritati e di una pesantezza estrema. So che potrei addormentarmi da un momento all’altro. Ma non voglio è presto. E la mia dose quotidiana di internet non l’ho ancora presa. Una droga. Che ormai sta perdendo i suoi poteri iniziali. Ma che ormai è diventata routine. E io che sono un tipo estremamente abitudinario certi vizi non riesco a togliermeli. Come la classica sigaretta dopo pranzo o dopo cena. Comincia ad entrare il gelo dalla finestra aperta. Lo sento pungente rabbrividirmi le mani e infiltrarsi lungo i fianchi e la schiena. Il freddo che mi circonda e che mi piace. Il freddo che è dentro di me. Il freddo che mi danno gli altri. Il calore di un cuscino che stringo forte a me, l’unico calore che riesco a sentire adesso. Arriva la notte, e stringo più forte il cuscino. Il silenzio avvolge questa casa. Ma non la mia mente. Che si perde nel sonno, lasciando interrotti pensieri, immagini, parole.

Sabato sera

So già che lo passerò a casa completamente solo. I miei genitori sono usciti a cena con amici. E mio fratello a breve si preparerà per la serata. Un cellulare che squilla, mio fratello che risponde, ride, organizza la serata con i suoi amici. Quel genere di cose che io non posso fare. Ho ricevuto solo un messaggio sul rinvio a sabato prossimo di un uscita con marco. Io sono una persona che si lascia molto influenzare, condizionare, sono anche un sognatore. Sognare mi piace. Eppure fa male. A volte.

Sento l’eco di risate lontane. L’eco di passi di ragazzi che vivono la loro vita. Che si divertono. Che gioiscono. Che amano. Forse il mio è un sentire sbagliato, un preconcetto, un mito. Ma lo è perché io non vivo le stesse esperienze degli altri ragazzi. Mi sono sempre lamentato di essere solo, mi sono sempre lamentato di non avere amici, mi sono sempre lamentato di essere diverso. Qual è la verità più vera. Cosa voglio, chi sono, cosa cerco, tutte domande sospese come nuvole nel cielo.

So che probabilmente piangerò questa sera. Lacrime che non laveranno nulla. Lacrime che non serviranno a nulla. Lacrime che partono da un dolore profondo e sempre uguale. L’infelicità che mi segna e mi accompagna come un marchio a fuoco sulla pelle. Pelle fredda, pallida. Pelle stanca. Una pelle che vorrei cambiare, strappare. Ma non è possibile cambiare. Non posso cambiare. Non posso avere la vita che hanno gli altri.

 
 
 
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NESSUNO

Sono nel buio un’ombra,
sono nel nulla un’orma,
sono il vuoto,
sono un malato.
Sono la foglia che cade,
Il deserto e il mare,
sono l’errore,
sono odio e amore.
Sono la tela bianca,
il libro strappato,
sono il vetro rotto,
un panno consumato.
Sono l’attesa, la speranza.

L’indecisione e la tristezza.
Sono l’infinito senza arrivo.
sono morto e vivo.
Sono un fantasma,
lo spirito errante,
sono l’animale estinto,
l’escluso, sono il vinto,
sono un uomo solo,
io sono nessuno.

 

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