Creato da tonny88 il 14/07/2005

dedalo

si fa quel che si può!

MATISSE - ICARO

e alla fine...

 

UCCIDIAMO IL MINOTAURO!

 

HANS HARTUNG

 

BARNETT NEWMAN

 

CITAZIONI

immagine

“Molte persone entreranno e usciranno dalla tua vita, ma soltanto i veri amici lasceranno impronte nel tuo cuore.”
Eleanor Roosevelt

“Esiste una sola felicità nella vita, amare ed essere amati"

George Sand

“La solitudine è come una lente d'ingrandimento se sei solo e stai bene stai benissimo, se sei solo e stai male stai malissimo.”
 Giacomo Leopardi

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana, ma riguardo l'universo ho ancora dei dubbi."
 

Albert Einstein

 

FACEBOOK

 
 

ULTIMI COMMENTI

Un giorno tutto questo passerà... non abbatterti!
Inviato da: Oxumare81
il 05/01/2009 alle 10:18
 
e per la grazia di quel sogno cosa vide? che fosse la...
Inviato da: Anonimo
il 01/01/2009 alle 21:58
 
Vedo che ti sei descritto molto bene Andrea,e questo mi...
Inviato da: Anonimo
il 01/01/2009 alle 21:54
 
Ti auguro un 2009 ricco di felicità e di belle sorprese!
Inviato da: Oxumare81
il 30/12/2008 alle 09:04
 
Andrea le opere d'arte sono altra cosa. Questa è...
Inviato da: Anonimo
il 29/12/2008 alle 21:50
 
 

ULTIME VISITE AL BLOG

cassetta2Oxumare81francamar0Pilly1961aemmeci63marilenamusettibaktiario_martina8MAN_FLYsols.kjaermulas.simonecrazy_21_1945IrrequietaDc.ric
 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Aprile 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30          
 
 

NIKE DI SAMOTRACIA

 

ESISTE L'AMORE???

Amore - klimt

 

 

2

Post n°689 pubblicato il 03 Gennaio 2009 da tonny88

Chi si ferma è perduto. Si ripeteva in testa quella frase. Che lo riportava agli anni del liceo. Rimastagli impressa durante un’interrogazione in scienze, detta dalla sua prof come battuta ad una sua risposta. Non ricordava ora però quale fosse stata la sua risposta, e né tanto meno la domanda. Ma sicuramente riguardava lo spazio. Geografia astronomica era l’argomento, ne era certo. Forse la sufficienza l’aveva presa. Non era un asso in scienze, ma se la cavava sempre. A parte un quadrimestre, in cui aveva preso un 5, che in un qualche modo era riuscito poi a recuperare.
Quegli anni gli mancavano. Sono gli anni di transizione. Di traghettamento verso la vita adulta, quella fatta di responsabilità e di indipendenza. Anni che forse non aveva vissuto con la spensieratezza necessaria, e di cui ora, sentiva di pagarne le conseguenze. Anni che erano volati e che gli avevano lasciato in testa pochi ricordi. Anni che probabilmente non sarebbe riuscito a vivere in altro modo, anni però in cui era ancora lontano dai pensieri negativi sul futuro e sulla vita che oggi lo affliggevano.

Eppure lui tra questi ricordi era fermo. Si sentiva perduto, imprigionato in una vita che si era creato sa solo. Secondino di se stesso. Vittima e carnefice allo stesso momento.
Credeva di sapere tutto. Credeva di aver già conosciuto o di prevedere, tutto quello che la vita poteva offrire. Credeva ormai di non poter far più niente. Eppure le esperienze erano poche e di certo non conosceva tutte le gioie e le vere sventure che il destino, a volte meschino e crudele, a volte benevolo e magnanimo, poteva ancora regalare alla sua vita. Che in fin dei conti sarebbe stata ancora lunga e carica di eventi.

Ma lui stava fermo. A contorcersi tra dilemmi che credeva possibile solo in tragedie shakespeariane.
Fermo, a sprecare il suo tempo, pensando. A perdersi in se stesso.

È arrivato il momento di agire, pensava. Ed era vero. Doveva agire. Ma nonostante sapesse quello che avrebbe dovuto fare, non lo faceva. Per paura forse. Perché prevedeva già i risultati dei suoi tentativi. Perché credeva che stare fermo ed invisibile era più facile, anche se ugualmente doloroso. Se non di più. Perché sentiva di non essere fatto per questo mondo e per i suoi abitanti. Che a volte vedeva così lontani, capaci di muoversi e andare avanti. Non come lui che invece provava solo disagi e paure.
Si sentiva diverso. Lui era diverso. E anche questo lo spaventava.

Disteso a letto, si rintanava nel suo mondo. Fatto di gioie e dolori irreali, di fantasie ed invenzioni. Ascoltava musica, direttamente nelle orecchie per non farsi sentire dal mondo esterno della sua casa, della sua famiglia. Si tamburellava la dita della mano destra ora sul petto, ora sulla coscia. Se gliel’avessero chiesto, non sarebbe riuscito a definire l’umore di quell’istante. A mente vuota, riempita dalle solo note musicali e da quelle vibrazioni ritmate che imitava con mani e piedi, poteva definirsi tranquillo. Un sorriso ogni tanto gli si stampava in faccia mentre ridicolmente cantava, con il solo uso delle labbra, una qualche canzone. Ma se si concentrava, se tornava alla realtà della sua vita, agli obblighi universitari che di li a breve lo avrebbero nuovamente impegnato, all’insoddisfazione e alla solitudine che molto spesso lo coglieva, ecco che allora quel sorriso si spegnava. La musica nella sua testa non c’era più, e tornava a regnare la confusione. Un intricato dedalo di pensieri veri che lo atterrivano. E una voglia di piangere si faceva spazio tra quel caos.
Per questo non voleva più pensare. Per questo non si occupava più di nulla. Per questo si teneva lontano dal mondo, tenendo spento il cellulare e stando lontano da internet, che lo assorbiva ancora molto, ma che ormai non gli interessava più.
Voleva, doveva rimanere vuoto.

Anche se quel nuovo anno era appena cominciato, non ce la faceva a pensare che doveva cominciare a cambiare. Doveva svegliarsi da quel sonno che lo immobilizzavo. Mi devo svegliare, devo riprendermi, si diceva sempre. Ma non era abbastanza. Era il vuoto a vincere.

Cominciava ad avere fame. Le sue giornate in breve tempo si erano già ben scandite. Era l’ora dello spuntino di metà pomeriggio. Lentamente si diresse in cucina, nel più assoluto silenzio di quella casa. I suoi genitori erano usciti, forse senza nemmeno avvertirlo, o forse lo avevano chiamato invano ma con la musica nelle orecchie non poteva sentirli. Il fratello era invece via da giorni. Aveva organizzato il suo capodanno a casa di amici a Milano, e non aveva lasciato detto quando sarebbe tornato.
Ormai si era abituato a queste situazioni, e a volte si sentiva sollevato nel ritrovarsi da solo. Il senso di abbandono, almeno in quella casa, lo aveva perso da tempo. Era un estraneo anche nella sua famiglia.

Prese posto al tavolo, pronto ad abbuffarsi di qualcosa di qualunque cosa. Non gli interessava più il gusto di quello che mangiava, non ci faceva più caso. A volte gli bastava mangiare e basta. Ma non per riempire quel vuoto, già lo sapeva che non era mangiare la soluzione. Ma diventava solo un modo per passare il tempo. Un tempo che non voleva né sentire né vedere. Non aveva più alcuna importanza. Non c’era più per lui il significato del tempo.  Voleva che anch’esso si fermasse. E in fondo era così. Il tempo era già fermo, perché non succedeva nulla.

 
 
 

Post N° 688

Post n°688 pubblicato il 01 Gennaio 2009 da tonny88

pieter bruegel il vecchio - cacciatori nella neve

 
 
 

1

Post n°687 pubblicato il 31 Dicembre 2008 da tonny88

Di chi era quel volto? Si guardava allo specchio senza riconoscersi. Come un pagliaccio con troppo trucco in faccia. Non vedeva oltre ai suoi difetti che cercava di nascondere, mentendo, fuggendo. Fissava intensamente i suoi grandi occhi verdi. Nella speranza che gli raccontassero qualcosa. Una verità, una rivelazione. Una risposta. Quegli occhi, i suoi occhi, invece erano spenti. Come astri privi luce propria, ma capaci solo di luce riflessa. La luce fredda di due lampadine che dall’alto illuminavano lo specchio.
Oltre la barba di qualche giorno e i capelli spettinati, che gli conferivano un’aria vissuta e trasandata, si nascondeva qualcosa. Fragilità, debolezza, inquietudine. Sorrise pensando a ciò. Descriveva la figura di fronte a se come fosse un estraneo. Invece conosceva bene quell’individuo. Conosceva bene se stesso.
Provava rabbia ora. Rassegnazione adesso. Non riusciva più nemmeno  a dire di essere infelice. Non c’era più bisogno di quella parola. Gli era ormai entrata dentro da esserne diventato l’impersonificazione completa.
Si guardò ancora. Disarmato e atterrito abbassò lo sguardo. Le sue mani aprivano il rubinetto dell’acqua fredda. Si sciacquò il viso, cercando di pensare ad altro. Appoggiando i gomiti sul freddo marmo del lavandino. Verde. Screziato di nero e oro. Come le piastrelle alle sue spalle. Come il tappeto ai suoi piedi. Come le tende che coprivano la finestra alla sua sinistra. Come i suoi occhi, che tornò a guardare non appena finì di asciugarsi con un asciugamano verde anch’esso. Si sentiva più vecchio dell’età che aveva e quella macchia rossa sul naso lo faceva odiare ancora di più.

Sentiva freddo. Non gli capitava spesso, ma le dita sei suoi piedi erano indolenzite e gelide. Tremava un po’. Entrando nella sua stanza andò subito al termosifone. Un tenero tepore gli saliva dalle mani. Dopo aver scostato un poco la tenda rimase li in piedi a scaldarsi e ad osservare fuori. Il crepuscolo lasciava in cielo resti di un pallido sole invernale. Il penultimo di quell’anno. Le luci colorate del natale erano state accese da poco in alcune case, anche le sue, constatò guardando verso il basso. Di fronte al portico, un arbusto completamente spoglio, ma che in primavera regala dei bei fiori viola e foglie di un verde chiaro, era stato addobbato alla bell’è meglio da un lungo filo di piccole luci vivaci che lampeggiavano in continuazione cambiando ritmo con una logica che solo stando a controllare attentamente si sarebbe capita. Ma a lui questo non interessava. Quel paesaggio era sempre lo stesso, da anni. Solo gli alberi crescevano, quella stessa pianta era ogni anno più grande. Ogni anno ne rimaneva colpito.
Si abbandonò al calore del radiatore, fino a scivolare e a sedersi per terra. Lo voleva quasi abbracciare. Decise di sistemare dei cuscini, recuperati da una poltrona li vicino, per stare meno scomodo. Prese un libro da sopra il letto. E tornò al suo nuovo spazio cercando una posizione più comoda per dedicarsi alla lettura. Ma non era facile. Aveva sempre sognato di avere nella sua stanza quel genere di sedute che si vedono nei film anglofili. Quegli antri comodi ricreati dalle bow windows tipiche nell’architettura inglese.
Troppo distratto da fantasie e dalla seduta scomoda, tornò nel suo freddo letto con il suo libro. Sola e unica consolazione di quei giorni.

Trasportato dalla lettura, sentiva di divorare quel libro pagina dopo pagina. Ma non voleva finirlo. Avrebbe potuto farlo forse qualche giorno fa. Ma sempre con parsimonia dedicava alla lettura un certo tempo. Quasi avesse paura che tutto quel magico mondo di parole e immagini inventate nella sua testa finissero da un momento all’altro e non gli rimanesse altro che un libro chiuso nell’attesa di sceglierne un altro e ricominciare così tutto da capo. La paura della fine, la paura del ricominciare. O forse solo pigrizia. Un po’ come tutta la sua vita. Ed ora, ad un giorno alla fine di quell’anno, sapeva che le cose dovevano ricominciare. Che fuori era un uomo, e che doveva adesso diventarlo anche dentro.

Ma ormai aveva perso ogni interesse. Non aveva alcuna forza o stimolo che lo facesse andare avanti. Perfino i suoi sogni notturni, anche se sempre strani, erano chiari e coerenti nella narrazione. E non lo sorprendevano più, solo ricordarli ancora al suo risveglio lo rincuoravano. C’erano mattine, molte fino a qualche giorno fa, che sentiva il sapore amaro di un sonno nero fine a se stesso. I sogni da sveglio invece, a stento gli riuscivano. Come se avesse perso delle fantasia. Come se avesse perso delle speranze. Portava tutto all’estremo e all’assurdo per far credere a se stesso di essere ancora capace a sognare. Ma veniva poi tutto dimenticato, il sonno cancellava i pensieri inutili annidati giorno per giorno nella sua testa.

Voleva sperare e credere ancora. Ma continuava a rimandare, come sempre aveva fatto nella sua vita. Sente in realtà che è già troppo tardi. Ancora quest’ultimo giorno e poi un altro anno è pronto a cominciare. Il meccanismo non si inceppa.

Gli occhi cominciano ad irritarsi. E pian piano tra le parole di quel libro, si fa spazio il sonno, che prepotente lo trascina in un altro mondo. E con il libro ancora aperto sul suo petto, chiude gli occhi senza opporre resistenza. Ed è tutto nero, come fuori, lo è il cielo.

 
 
 

costume

Post n°686 pubblicato il 30 Dicembre 2008 da tonny88

picasso - arlecchino pensoso

 
 
 

Post N° 685

Post n°685 pubblicato il 29 Dicembre 2008 da tonny88

marc chagall - le quai de bercy

 
 
 

AREA PERSONALE

 

CONTATTA L'AUTORE

Nickname: tonny88
Se copi, violi le regole della Community Sesso: M
Età: 35
Prov: TV
 

NESSUNO

Sono nel buio un’ombra,
sono nel nulla un’orma,
sono il vuoto,
sono un malato.
Sono la foglia che cade,
Il deserto e il mare,
sono l’errore,
sono odio e amore.
Sono la tela bianca,
il libro strappato,
sono il vetro rotto,
un panno consumato.
Sono l’attesa, la speranza.

L’indecisione e la tristezza.
Sono l’infinito senza arrivo.
sono morto e vivo.
Sono un fantasma,
lo spirito errante,
sono l’animale estinto,
l’escluso, sono il vinto,
sono un uomo solo,
io sono nessuno.

 

LETTURA DEL MOMENTO:

 
Citazioni nei Blog Amici: 26
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963