UNA VOCE

Questo blog, un mondo un cuore ... UNA VOCE, nasce per dare voce a Karl. Un innocente ingiustamente condannato e rinchiuso in carcere da 20 anni. Sopravvissuto a 14 anni di isolamento, senza nessun contatto umano, senza un abbraccio o una semplice stretta di mano. Sopravvissuto in un mondo crudele in cui la morte, la tortura, la violenza, il grido dei pazzi sono il pane quotidiano … Un uomo che desidera comunicare al mondo la conoscenza appresa dalla sofferenza, dalla profonda introspezione, dal contatto con lo spirito universale, il Creatore, gli Angeli…

Creato da Lakota13 il 03/02/2010

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DA UNA LETTERA DI Karl L. Guillen - Florence Maggio 2000

Post n°14 pubblicato il 10 Giugno 2010 da GayusElenMoyam
 

Io sono sette-sette-sei-uno-quattro. Mia designazione attuale: detenuto. Mi sono ritrovato inavvertitamente prigioniero nel sistema giudiziario Americano e in quanto tale sono a carico di chi paga le tasse. Su grande scala gravo il mondo con la mia stagnazione forzata.

La mia casa è una cella quadrata di otto piedi, e i miei vicini sono una mescolanza di folli, o ci stanno per diventare. Non lasciando mai questa recinzione di cemento e acciaio il mio corpo si è evoluto. Vedo le mie ossa avvolte in viticci verdi e sono accecato dal sole, per quanto ho avuto solo due occasioni in sette anni su cui basare questa teoria. Il mio sistema interno rifiuta l'acqua, la base della vita, ma i miei carcerieri medicano e consolano, garantendo il mio benessere.


Sono un prodotto da un trilione di dollari l'anno e il vergognoso catalizzatore di milioni di lavoratori: avvocati, giudici, poliziotti, pubblici ministeri, polizia, amministratori carcerari, senatori, legislatori, industrie edilizie, industrie di computers, dottori, industrie farmaceutiche e tutto lo staff di supporto intrecciato con i complessi lavorativi della crescente industria carceraria Americana. La loro vita deriva dalla mia cattività ma non dalle mie azioni, perché le mie sentenze di 26 e 18,75 anni non si basano su nessun crimine esistente.


E non è una sorpresa da poco che gli abusi prosperino nell'ambito del trattamento, del controllo di polizia e dello sfruttamento del prodotto umano. Sicuro, crimini vengono commessi, ci sono vittime, ci sono innocenti e ci sono dei colpevoli. Ma ci ritroviamo bloccati dalla nostra stessa creatività legislativa e giuridica, costretti a rinchiudere i nostri concittadini, a piantare altri semi per la messe di spartizione dei contribuenti delle prossime annate fiscali.

Molti di coloro che approdano dietro i cancelli di acciaio e cemento sono quelli finiti per caso dentro la pianta carnivora dell'opulenta industria giuridica Americana, dove invece di porte scolastiche ci sono nuove scintillanti porte di celle, e dove invece che apprendimento e riabilitazione immagazziniamo e alleviamo l'istituzionalizzazione.


Non è difficile ritrovarsi negli ingranaggi del tritacarne perché, come per qualsiasi merce di valore, il governo trova vari mezzi per acquisire il prodotto. C'è un interesse nazionale nel tenermi in prigione che permea e corrompe la giustizia reale che ci rifiutiamo di servire. La dicotomia è complessa. Senza l'industria delle prigioni il monopolio da un trilione di dollari andrebbe perso, ma per far cadere questa bestia sarebbe necessario affrontare le sue zanne per raggiungere la gola e afferrare il cuore del mostro. Crimine e punizione, riabilitazione o istituzionalizzazione, controllo poliziesco o insegnamento, vendetta o perdono.

Le scelte in genere sono chiare, anche se a volte infangate dalle dispute politiche o dalle lacrime delle vittime. Ma la maggior parte delle voci sono mute davanti alle menzogne e all'ingiustizia che trascendono gli occhi bendati dei processi e degli appelli, perché si fermano allo stadio iniziale. All'arresto, dove nei verbali non ci sono così tante bugie quante quelle su cui si basano. All'accusa, dove il pubblico ministero porta imputazioni di gran lunga più severe dell'effettivo crimine fisico o dell'intento.

Al momento in cui l'imputato di un crimine arriva alle fasi preliminari del processo può trovarsi ad affrontare decine o centinaia di anni di carcere. Questa minaccia è il maglio usato in America da ogni pubblica accusa per spingere pesantemente il non-così-colpevole e persino il cittadino innocente fra le grinfie del patteggiamento. E allora tutti questi "crimini" spariscono, svanendo nel nulla una volta che il patto è fatto, come se non fossero mai esistiti. E a volte non sono mai esistiti.

 
Sia maledetto colui o colei che rifiuta il patteggiamento perché non c'è coscienza in questo gioco, dove giovani pubblici ministeri della classe media controllano la vita delle classi inferiori o sfortunate, e dove i giudici sono spesso tenuti fuori dal giro fino al processo, o hanno le mani talmente legate da bandiere elettorali o da favori che le loro decisioni raramente riflettono la giustizia che hanno servito.


In carcere abbiamo scordato cosa sia veramente il giorno e la notte, e in questa ineluttabile ignoranza i giudici elargiscono anni come giorni, decenni come anni e la morte come ai Cristiani nella Roma del primo secolo. Questi stessi giudici sono stati forzati a diventare politicanti per essere rieletti e si sono perciò corrotti in queste acque, essendo debitori di favori ai donatori del fondo campagna elettorale, sopratutto associazioni di pubblici ministeri e altri squali con i loro personali ordini del giorno.


Eppure io sono su un'altra strada, in via di costruzione, dove uno vive ma non parte mai, esiste ma non respira mai. Ma la strada percorsa non è la strada presa.
Io ero un viaggiatore esausto, perseguitato, in fuga dall'incubo della morte, in fuga dagli occhi castano scuro di mio padre che li ha fissati su di me in uno scuro mattino estivo nel 1988. Ho toccato la sua guancia, troppo tardi per fermare la morfina che aveva usato per volare via dal suo corpo tormentato dal cancro. E questo volo io l'ho osservato svolgersi ma mi ha lasciato l'anima scavata, lo spirito pesante. Quel conforto che posso aver dato mi ha lasciato esausto, mi fa procedere a fatica, vagando alla cieca, guidato da destini crudeli fin dentro la trappola del sistema giudiziario Americano.


La mia carne è stata lacerata e il mio cervello danneggiato in questi ultimi anni e anni di isolamento. La mia pelle non sa cosa sia un contatto e la mia memoria ha scordato quell'unione con gli esseri umani miei compagni, sia fisicamente che spiritualmente. Il mio futuro è una vasta landa desolata, un futuro che si fa più vago ogni anno che passa.

Le mie mani sono state spezzate per meno parole di queste, mentre la giustizia fa finta di non vedere, ma io continuerò a combattere finché la follia o la morte mi prenderanno per la gola e e mi chiuderanno la bocca. Porto le cicatrici di centinaia di battaglie e ogni giorno mi sveglio al suono della morte che affila la sua falce. Animali vagano intorno, le loro urla e i loro gemiti pieni di dolore infettano la mente più resistente. Ogni momento che passa mi stuzzica una crudele speranza, un fantasma che non appare né parla ma esiste in forma di appelli e ricorsi post processuali.

 Ma anche ora lo stato e il governo federale cercano di ridurre queste sicurezze in nome dell'economia. La giustizia sia dannata per quel 5-15 % di esseri umani innocenti che sono diventati il prodotto della vera industria carceraria che tira le fila dei politicanti marionette.
Non voglio scoprire un termitaio, non getto un sasso nello stagno senza ragione. Io chiedo semplicemente: che vorrebbero avere quelli fuori da queste celle di acciaio e roccia? Per loro è così caro l'assegno settimanale e la pace è talmente dolce da essere comprata al prezzo di catene e requisizioni, carceri e politici folli di potere, ubriachi del frutto dell'assolutismo?
Mi chiamo Karl Louis Guillen, ma nessuno mi ha chiamato col mio vero nome in dodici anni.

Sono un detenuto per crimini dei quali non esiste prova alcuna che siano accaduti. E nemmeno potrebb esistere. Un giorno, dicono, sarò rilasciato nuovamente in mezzo a voi e nonostante le mie cicatrici e i miei lividi invisibili possano sembrarvi ripugnanti, vi chiedo pazienza perché non saprò se questa follia sarà fermata o sarà momentanea. Se rinascerò di nuovo da queste tombe di roccia, sarò stato purificato dalle fiamme dell'inferno che devo attraversare, e non avrò paura perché le mie ali avranno già affrontato il pù spaventoso degli uragani, e ho già sentito le fitte di migliaia di fruste sul mio spirito ad ogni comando.


Mi chiamano "il peggio del peggio", "mostro", "stupido", "frivolo" e una "minaccia per la società", nonostante non abbia mai fatto loro del male o li abbia mai minacciati. anche se non ho li mai combattuti o minacciati. Ma questo atteggiamento tiene su di giri coloro che servono il padrone e l'industria carceraia, con uno scopo e un nemico, nonostante noi siamo uno e lo stesso. Esseri umani.


Sono stato emarginato insieme a milioni di altri che non sono riusciti a vedere le lance preparate dal sistema giudiziario Americano. La libertà non è libera, né facile da mantenere perché l'errore dell'uomo sta nella sua usurpante natura che domina e cerca altro potere. Comunque una tale evoluzione deve essere monitorata con attenzione prima che raggiunga il punto nel quale le distinzioni cambiano: da giustizia a ingiustizia, da legittimo controllo da parte della polizia a stato poliziesco, da libertà a fascismo.

 
tratto dal sito http://www.umanisti.it/karl/Kscrive.htm

 
 
 
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