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tana!

Post n°60 pubblicato il 27 Novembre 2008 da cicuta4
 
Foto di cicuta4

no, non è la parolina magica di un nascondino per bambini. di tenero e allegro nella vicenda che vado a narrare c'è ben poco.
la storia la sapete ormai tutti. qualche giorno fa, dalle mie parti, una persona, un uomo - questo prima ancora che un 'barbone', come definiamo i reietti della società e della vita - è stato aggredito e bruciato vivo su una panchina. solo l'intervento tempestivo di una persona che ha avvertito immediatamente chi di dovere gli ha potuto salvare la vita.
è notizia di questi ultimi giorni l'arresto dei responsabili, o presunti tali. o meglio, presunti solo per poche ore, perchè alla fine hanno confessato tutti.
si tratta di quattro ragazzi di 'buona famiglia'.
in una sorta di discorso che ci porterebbe un pò troppo lontano, nei meandri oscuri della convivenza civile, in analisi che sembrerebbero proporre modelli in cui solo da 'certi' ambienti e da 'certe' situazioni può venire il peggio, ci si dovrebbe chiedere se quei modelli hanno poi una qualche validità. solo per rimanere ai casi più eclatanti degli ultimi anni, la franzoni, erica e omar, pietro maso, i ragazzi che lanciavano i sassi dal cavalcavia, erano tutti di 'buona famiglia'. lo era giuseppe valerio fioravanti. sappiamo com'è andata a finire.
certo, si potrebbero citare decine di casi inversi, i coniugi di erba solo per dirne uno, casi in cui effettivamente da situazioni di degrado sono poi scaturite persone non proprio irreprensibili.
ma non è questo il punto. il punto è che, in realtà, non esiste una regola universale, che cesare lombroso era un pirla dalle idee strampalate, ma anche no, e che l'unica certezza è che aveva ragione hobbes (ma prima di lui plauto), "homo homini lupus". ma anche no.
no, no, torniamo indietro. non è di sociologia che voglio parlare, un bel chissenefrega di regole, teorie e parolai, quando si parla di un uomo arso vivo.
li hanno presi. quattro deficienti, perchè non so come altro definirli, dire che sono criminali significherebbe erigerli ad una qualche dignità ed importanza che non voglio riconoscere loro. jack lo squartatore, il mostro di milwakee, il mostro di firenze, bilancia, riina, una bomber. quelli son criminali.
ora sono lì, in carcere, e cominciano a darsi le colpe l'un l'altro, e cominciano a dare giustificazioni del cazzo. l'ultima che ho sentito, avrebbero reagito ad uno schiaffo. c'è davvero da rimanere senza parole.
ho già ribadito più volte qual è la mia posizione sulla pena, non starò a ripetermi.
per questi quattro cagoni di buona famiglia, che in quanto tali si potranno permettere anche buoni avvocati e se la caveranno sicuramente a buon mercato, avevo espresso l'augurio, giorni fa, prima che li prendessero, che li condannassero non alla galera - perchè tanto con la testa di cazzo che hanno non serve a niente e comporta solo un costo per la collettività - bensì a pulire le fogne cittadine per cinque anni ciascuno, a mani nude e senza l'ausilio di alcun mezzo meccanico.
insomma, sono merde, e nella merda devono stare.
ho anche accolto il suggerimento di qualcuno che proponeva di far provare anche a loro quello che loro hanno fatto provare a quell'uomo. senza arrivare alle ustioni di terzo grado. diciamo una scottatina. perchè no.
mi dispiace per l'uomo arso vivo. non dirò cazzate come si fa in questi casi, "lo conoscevo bene", "ci parlavo", ecc.... non è così. ma negli ultimi dieci anni ha fatto parte del mio quotidiano, lo vedevo spesso su quella panchina e prima ancora su altre panchine, e qualche volta sotto casa. è scappato qualche timido sorriso, perchè cosa vuoi, ti vedi da così tanto tempo che quasi ti conosci. niente più. ma mi dispiace davvero.
è già arrivata la rai e mediaset, forse c'è spazio perchè diventi un altro caso mediatico. "figli di papà che danno fuoco a un barbone", fa notizia come il mitico (e abusato) "uomo morde cane".
e dove c'è la tv ci sarà ressa, immagini di gente che si metterà in fila per assistere allo spettacolo: sono scene che abbiamo già visto, e che diventano più frequenti.
aggiungeremo grottesco e nausea a ciò che già è uno schifo immondo.
se dovesse essere, mi auguro che qualcuno 'sbrocchi' e gli sputi in faccia, ad uno ad uno. magari potrebbe servirgli più degli schiaffi che, ahimè, credo che non abbiano mai preso da piccoli.


 
 
 

penombra

Post n°59 pubblicato il 15 Novembre 2008 da cicuta4
 
Foto di cicuta4

marcelo mi ha accompagnato a casa anche stasera, in silenzio, quel silenzio che sta mettendo una barriera quasi impenetrabile tra lui e il mondo. ho provato a rubare un suo sguardo, un'alzata di ciglia, una scintilla negli occhi. non un sorriso, per carità, in questa solida penombra della sera australe non c'è spazio per un raggio di luce.
ci saranno momenti migliori, adesso sappiamo che ci saranno davvero. è l'unica speranza di consolazione, e il resto è solo attesa.
non ce l'ho fatta a rientrare, per far cosa, poi.
ho continuato verso la locanda di azùl, folla, fumo, vociare di astanti, racconti di continui esorcismi. la tentazione di mischiarmi a loro, a questa che è la mia gente, da sempre o forse da prima ancora,  una malattia che ti porti nel sangue e che dal sangue ti cava tutte le malattie.
azùl che dimentica che c'è un mondo che ha inventato il mondo, azùl che non ha mai voluto fili nella sua locanda, e allora niente telefono, niente tv, niente luce. da qui a puerto montt, solo i bifolchi nell'immensa pianura spazzata dai venti gelidi del sud riescono a vivere con la spiritualità di un lume a petrolio. i bifolchi e azùl.
sì, è stata forte la tentazione di entrare in quel calore, di farsi coccolare dagli amici, di aspettare dentro che il buio fuori diventi più buio - per quanto può diventare nera una notte di inizio primavera alla fin del mundo. forte il desiderio di aspettare che vadano tutti a casa e fermarsi a fissare quel lume, nell'illusione che il petrolio si consumi prima che il sonno consumi me.
e invece ho passeggiato fino al porto. una sigaretta e poi un'altra, il bavero del giaccone alzato e la faccia rugosa di marcelo nella testa.
dieci giorni fa una telefonata, era il tempo giusto, la aspettavo con trepidazione, ma anche con serenità.
- allora, vieni?
tutto normale, tutto scontato, non erano previste altre parole - siamo pratici, non è una questione di riservatezza, il telefono, per chi ce l'ha, costa molto da queste parti - e non era previsto il mio rifiuto. ma non era previsto neanche quel tono di voce, quella sollecitudine.
lusita ha fatto il possibile, il primo treno, il primo volo, lo scalo a roma per raccogliere la marinaia, la coincidenza a buenos aires.
andava tutto bene, ma all'areoporto c'era rafael, il fratello di marcelo. a mia memoria, qualcosa che non era mai accaduto in passato.
mentre ci portava in ospedale ci ha raccontato dei problemi di martina, le difficoltà del parto, l'emorragia, julio catatonico, l'impossibilità di respirare. julio grave, martina in coma. per essere un momento di gioia, marcelo stava perdendo moglie e figlio.
nei libri - nella pessima letteratura - i pessimi scrittori abusano di espressioni ridondanti per raccontare momenti critici, o tragici. nella realtà la vita ti fa fare una bella altalena tra risate, ricordi, speranze e disperazioni.
non ho visto piangere marcelo in tutti questi giorni. ma neanche bere, fumare. dormire. il suo viso non era una maschera impietrita, e non ha smesso di volermi bene così come non mi ha impedito di volergliene. solo per un momento, quando mi ha visto, i suoi occhi mi hanno chiesto di non dargli ciò che sapeva non gli avrei dato, di non trattarlo con pietà. credo che mi avrebbe ricacciato sull'aereo nello stesso istante in cui l'avessi fatto.
l'ho visto però mangiare, come sempre. quanto basta per riempire lo stomaco, e per tranquillizzarci un pò, me e la marinaia.
come dice la bibbia, e fu sera e fu mattina: primo giorno. e il secondo. e poi e poi, fino all'ottavo, ieri, oltre le fatiche del creatore che smise il travaglio al sesto.
julio è andato progressivamente migliorando, la crisi superata agevolmente, e finalmente ha deciso di fare quello che fanno tutti i suoi coetanei: poppa, dorme e va di corpo.
martina è uscita dal coma, è ancora molto sofferente, il volto cinereo, smagrito, gli occhi infossati, i capelli sciolti sul cuscino, le labbra schiuse in un continuo sussurro che sa di grazie alla vita che ha deciso di tenerla con sè. si è svegliata sorridendo, e da ieri non ha mai smesso di farlo.
passeggio con questi pensieri, illudendomi di aver convinto marcelo ad andare a dormire a casa, stasera. me l'ha promesso, ma non glielo rinfaccerò quando domattina lo andrò a svegliare con una carezza, addormentato a bocca aperta sulla poltrona di fianco al letto di martina.
arrivo sul molo, un sasso cade in acqua.
guardo meglio, non è un sasso, è la mia sigaretta. mi chiedo cosa ci facesse una sigaretta tra le mie mani, ho smesso tre anni fa.
butto il pacchetto pieno e chiudo la cerniera del giaccone fino al mento. mentre cammino verso la penombra scarto una caramella alla liquerizia. laggiù, dove troverò la luce, non voglio che la mia marinaia senta puzza di fumo.

 
 
 

hai rotto il cazzo

Post n°58 pubblicato il 03 Ottobre 2008 da cicuta4
 
Foto di cicuta4

non è chiaro cosa abbia detto esattamente henry II al momento di esortare i suoi cavalieri ad uccidere l'arcivescovo di canterbury thomas becket. su wikipedia troverete varie versioni. thomas stern eliot, nel suo "murder in the cathedral", fa dire al re will noone rid me of this troublesome priest?, cioè c'è qualcuno che mi liberi da questo prete fastidioso?
la storia, nel suo divenire di rapporti umani e homo homini lupus, racconta di secolari giochi di potere, di spazi rubati di volta in volta dal temporale o dallo spirituale. giochi meschini, quotidiani, di animali in lotta con animali. nessuna meraviglia, se siamo esseri umani.
niente di tutto questo. non sono un uomo di potere e siccome sono in tutto e per tutto un animale predatore che ha a cuore esclusivamente se stesso, la propria vita e la propria libertà (al limite, ma questi sono cazzi miei, le stesse cose le cerco per le persone che stimo e amo), non faccio giochini di potere con il signore della foto (presa dal blog odierno), con l'istituzione che rappresenta e con i vari esseri spregevoli che, a scendere nel livello gerarchico, sono presenti dalle curie alle parrocchie.
oggi l'ultima sparata, l'ultima di tutta una serie, ad essere precisi.
ancora sulla contraccezione.
che dio (il mio dio, quello buono) maledica in eterno il seme che l'ha messo al mondo, questo essere odioso, lui e tutti gli estremisti moralisti integralisti talebani di tutte le religioni e fedi, per convinzione o per convenienza.
la prova provata che un preservativo, usato al momento giusto, può evitare disastri.
l'avesse usato suo padre, oggi avremmo un pezzo di merda in meno.
non auguro a nessuno di crepare, mai.
ma quel giorno tanto arriva anche se non glielo auguro.
e sicuramente sarà per me un giorno di festa.

 
 
 

appunti di viaggio- fotografie -

Post n°57 pubblicato il 24 Settembre 2008 da cicuta4
 
Foto di cicuta4

"... you will see light in the darkness, you will make some sense of this, you will see joy in this sadness, you will find this love you miss, and when you've made your secret journey you will be a holy man..."
(the police, secret journey)

26 agosto
- la colazione è squisita, siamo a tavola con due ragazze di philadelphia e un signore di miami con una bimba bellissima. la nostra ospite ci serve con un sorriso che scioglie il cuore, il figlio è di là in cucina che mette un pò di ordine.
sarebbe proprio un quadretto sereno, alla fine abbiamo anche dormito bene in quel letto così morbido, caldo mentre fuori la temperatura è calata molto.
eppure non vedo l'ora di andare via. no, non è esatto, ho proprio bisogno di fuggire da questo posto. so che non c'è niente di razionale, di intelligente, di sensato in quello che sto provando, non c'è niente di reale in un sogno che si trasforma in un incubo e in una voce che ti urla "vattene via" - adesso sento pure le voci -, ma il fatto è che è esattamente quello che voglio fare, al più presto: andarmene da questa casa, il più lontano possibile. dietro tutta questa serenità sento qualcosa di cattivo, di veramente malvagio.

- l'aria fuori è davvero fresca, almeno una decina di gradi meno di ieri, e anche la camicia a maniche lunghe protegge ben poco. ma quest'aria frizzante, mentre andiamo a prendere la macchina al parcheggio, sa di buono, di sano.
prima di partire, memori di quanto è successo nei giorni scorsi, prenotiamo la nostra camera a montreal, così non avremo la preoccupazione di arrivare troppo tardi.

- andando verso sud la temperatura sale un pò. continuiamo a costeggiare il san lorenzo, ormai questo tratto di costa l'abbiamo consumato a furia di percorrerlo. lungo la strada troviamo un piccolo bar, sembra quasi di quei locali sperduti in qualche deserto americano, solo che qui c'è la strada, c'è il fiume, il verde delle colline. ci sediamo in questa veranda profumata di fiori e di essenze, la barista, dopo averci servito, si accomoda al tavolino di fianco e mangia un sandwich mentre sfoglia una rivista. tanto il locale è vuoto, anzi, sarebbe pure chiuso.
tutti e tre, noi e lei, sembriamo tre piccole lucertole in cerca di un raggio di sole e di tepore.

- a donnacona non resisto, sono così grato, in cuor mio, a quella donna che qualche giorno fa ci ha aiutato a trovare il motel, che ho voglia di tornare da lei per ringraziarla ancora. non è in casa, certo, è mattino e anche qui in qualche modo a lavorare ci vanno; le lasciamo un bigliettino nella buca della posta.

- giochiamo una sorta di nascondino con montreal.
varie volte, in questi giorni, ci siamo arrivati e ce ne siamo allontanati subito.
anche adesso, ad inizio pomeriggio, decidiamo di non fermarci subito in città, ma di proseguire lungo questa sorta di tangenziale/autostrada e dirigerci verso oka, una cinquantina di km a sud-ovest, dove c'è un monastero che, assicura la nostra lonely planet, è assolutamente imperdibile.
lungo la strada - piccolo il mondo! - chiediamo informazioni ad un ragazzo. parlando, viene fuori che sua moglie è italiana, di un paesino vicino a quello dove sono nato!

- il monastero di oka è davvero molto bello. frati trappisti, monaci di clausura, qui il silenzio è d'oro, anche se vi è annesso un collegio e i ragazzini, all'esterno, sono abbastanza chiassosi. ci addentriamo nella piccola chiesetta, forse avremmo la curiosità di parlare un pò con questo frate in portineria, ma ci torna fuori la timidezza e poi lui non alza gli occhi dal giornale, e ce ne stiamo zitti. poco dopo, è il momento di andare.

- e finalmente montreal.
nonostante sia una metropoli abbastanza notevole, ci appare subito molto ordinata.
certo, essere in autostrada nell'ora di punta dell'uscita dal lavoro non è il massimo, eppure non ci sono code interminabili.
in città, poi, il traffico è del tutto tranquillo, le strade sono belle larghe.
una cosa la notiamo subito: montreal, per quanto sia anch'essa piena di grattacieli, che comunque non reggono il paragone con quelli di new york, nonostante sia affollata di gente mediamente indaffarata, con le sue luci, le sue insegne, ciclisti col caschetto e pedoni e taxi e studenti all'uscita dall'università mc-gill, nonostante tutto questo montreal ci appare, da subito, una città 'ariosa', aperta, luminosa.

- rue berri, il b&b si chiama shezelles.
non riuscirò mai a descrivere cos'è shezelles, colore, etnicità, allegria, calore, ma che dico, gioia di vivere, semplicità.
entri in casa, in questa casa immersa nel verde dei suoi rampicanti, e ti togli le scarpe, lyne ha troppo da fare, in questo momento, per prestarti un pò di attenzione, è lì che sta tentando di fare due chiacchiere con quest'amica che è venuta a trovarla, e mica ha tempo per i due nuovi ospiti, andate in camera e mettetevi a posto, tra poco arrivo.
siamo letteralmente 'sequestrati, consegnati' in stanza, ma la cosa ci fa sorridere, mette gioia, appunto, solo che la macchina, fuori, è parcheggiata col disco orario, e vabbè che deve parlare con l'amica, ma a noi fanno la multa.
dopo qualche minuto è con noi, ci mostra il bagno, faremo colazione alle otto, rigorosamente alle otto e rigorosamente tutti insieme, ospiti e padrona di casa, anzi, dovrebbero essere in due perchè ci sarà anche lucie, l'altra proprietaria, alla parete le loro foto di qualche viaggio in tibet o india o comunque da quelle parti; per la registrazione facciamo in tempo, anche il pagamento, rimanete due notti? bene, adesso andate chè devo finire di parlare, ecco le chiavi, ciao ciao...
energia allo stato puro, ecco cos'è. ma anche tanta grazia, e i pochi convenevoli sono il modo migliore per metterti a tuo agio.

- sono all'avis, è chiuso.
devo parcheggiare l'auto in questo parcheggio interno, che non è esclusivo dell'avis, e buttare le chiavi nell'apposita buchetta. per sicurezza, chiedo conferma al custode.
ma io non lavoro mica all'avis...
... sì, ho capito, ma saprai come funziona, lavori qui, ti sarà capitato che qualcuno ti chieda se va bene così...
... ma sì, credo che vada bene..
vorrei dargli un cazzotto in faccia a questo coglione, interviene il collega che ha capito che c'è un pò di tensione, e mi conferma che posso tranquillamente lasciare la macchina e la chiave.

- rue sainte catherine è la vera anima di questa zona della città, una sorta di 5th avenue, ovviamente con le dovute proporzioni.
negozi alla moda, banche, ristorantini carini; ma poi cambia scenario e diventa il cuore della chinatown di montreal, comunque ordinata; e poi ti trovi immerso nella zona a luci rosse, senza soluzione di continuità: cioè, non è che all'improvviso diventa degradata, no, solo che attaccato al bel negozio magari trovi il peep-show o il sexy shop.

- quella che a noi sembra una mostra del cinema è in realtà una sorta di festival d'essai, anzi, è una rassegna estiva di film, alcuni anche molto vecchi. stasera non ci interessa, e siamo pure affamati, ci infiliamo in un bel ristorante francese, molto moderno, salvo poi scoprire che è inserito all'interno di un teatro e i bagni, nel sotterraneo, sono delle vere e proprie esposizioni di opere d'arte contemporanea.

- tornando al b&b, lungo rue saint denis, proprio come a quebec city quando tornavamo da mr. albània, scopriamo un mondo fatto di ragazzi, piccoli locali, ristoranti di ogni tipo, dal vietnamita allo spagnolo, alla birreria, e poi musica, tanta, anche se il tutto vissuto in una penombra che sa anche di buio fisico, di oscurità silente.

27 agosto
- ore 8. tutti a tavola, e tutti insieme.
io e la marinaia, italiani. una dottoressa tedesca che vive da qualche anno in australia. una coppia di ragazzi, lui inglese, lei spagnola. un'altra coppia, francesi. e lyne. il bello è che si parla di tutto e in tutte le nostre lingue, francese/italiano/spagnolo/inglese/tedesco, tutti in uno sforzo comune di parlare con l'altro nella lingua dell'altro per condividere le proprie esperienze.
in poche parole, una babele che funziona.

- scopriamo, ce lo dicono i due ragazzi, che a poca distanza dal nostro b&b c'è un posto informazioni dove si possono prendere in prestito, gratis, delle biciclette per tutto il giorno. siccome il numero di bici disponibile è limitato, dopo colazione andiamo subito a metterci in fila.

- la cosa incredibile, mentre ci spostiamo verso il centro, è ritrovarsi in una metropoli, in mezzo al traffico, girando tranquillamente in bicicletta come lo faremmo al nostro paese. montreal, da questo punto di vista, è estremamente organizzata, anzi, risulta essere la città del nord america con la più vasta rete di piste ciclabili.
caschetto in testa, bici seminuova, zainetto in spalla e cartina aperta nel cestino, tra un grattacielo e una banca e una macchina che ti lascia il passaggio e un'altra che non ti urla perchè sei passato col rosso - e noi, io e la marinaia, lo facciamo continuamente...

- entriamo alla basilica di notre dame, ma ciò che ci colpisce non è la facciata nè l'interno, tutto in stile gotico, bensì...
c'è questo ragazzo che entra e sbatte un pò troppo i piedi per essere in chiesa. va verso il fondo della navata centrale, c'è un catafalco in marmo, siamo lontani e non vediamo, forse una qualche tomba di qualche santo. si avvicina, si inginocchia, all'inizio è solo un mormorio inudibile dal fondo della chiesa, poi si alza, comincia a parlare ad alta voce, urla, ride in faccia al santo o beato o quel che è, probabilmente gli sta rinfacciando un qualche torto subìto, e tiene il suo sermone, nel suo monologo deve avere una qualche razionalità, e il custode che accorre deve essere abituato a questo tipo di scene, perchè non è che lo caccia, gli dice qualcosa, con calma, l'altro sbraita un altro minuto, finisce la sua reprimenda e se ne va.

- è uscito dalla chiesa, a far gruppo, solo in mezzo a tante altre solitudini, con altri barboni. ecco cos'era, un homeless.
è questa un'altra cosa incredibile. ogni piazza, ogni strada, giardino, parco, tutti i sagrati delle chiese, fuori dai teatri, davanti a fontane ricchissime come davanti ai sexy shop o sui gradini di un qualche palazzo vetusto... è tutto un pullulare di barboni, di persone che vagano con un bicchiere di carta in mano a riempirlo di spiccioli.
li guardo e mi chiedo dove vadano a morire, queste persone, spariscono con una sorta di gioco di prestigio, così come non sai mai se e quando e dove un cinese muore. i barboni, pessima parola, rappresentazione umana del randagismo animale, quasi simbolo di una natura che non si adegua al conformismo consociativistico. mi chiedo se sia una scelta necessariamente perdente...

- montreal ha quest'aria, un vecchio signore pieno di dignità e con un vestito e un cappotto da signore, solo che è tutto liso e stinto, e probabilmente la pelle e la carne sotto quel cappotto e quel vestito sono lacere e piagate. avverti, ma è solo una sensazione, il degrado, ma non senti odore di marcio, di muffa; sembra tutto solo un pò old-fashion, demodè, una sofferenza esibita ma non sbattuta in faccia volgarmente. e questo fa ancora più male.

- la cathedrale marie-reine-du-monde è la ricostruzione esatta, in scala 1 a 4, della basilica di san pietro di roma. anche il baldacchino del bernini è riprodotto quasi fedelmente, ed è forse la parte meno grottesca di un edificio che, per il resto, sa di poco.

- approfittiamo delle biciclette per andare verso la petite italie, fatta di case basse e piccoli edifici, come peraltro anche il resto della città al di fuori del centro commerciale.
il pranzo in un altro ristorantino francese, una brodaglia travestita da pollo in salsa di non so che cosa, e poi, a metà pomeriggio, stanchi di pedalare consegnamo le biciclette e torniamo verso rue sainte catherine a piedi.

- sarà perchè per comprare ci metto sempre tre anni, o perchè la carta di credito urla pietà, o perchè tanto faccio in tempo anche domattina - ma so che domattina non tornerò - insomma, il tizio del negozio ha in mano un paio di scarpe molto belle, ha un modo di fare convincente ed è simpatico, quando capisce che non le comprerò... si ferma a fare due chiacchiere con noi... fatto sta che le scarpe rimangono lì...

- è buio, il film, che stasera abbiamo visto, è appena finito. rientriamo in camera, qualcuno ci segue, no, è solo un'impressione.
la nostra stanza da lyne e lucie, bambù e moquette, "l'asiatique" il suo nome.
è l'ultima sera in canada, buonanotte.

28 agosto
- c'è un sapore di saluti.
stamattina a colazione non c'erano i francesi e la tedesca, e i due ragazzi partiranno stasera, come noi. anche lyne è un pò più trafelata, aspetta nuovi ospiti più tardi, e comincia ad organizzarsi la giornata.

- riprendiamo le biciclette e ce ne andiamo verso lo stadio olimpico.
il velodromo è stato trasformato in una biosfera, dentro sono riprodotti quattro ecosistemi diversi, c'è la foresta tropicale, la foresta dei monti laurenziani, la foresta tipica del san lorenzo, e l'artico/antartico. è un percorso emozionante, tra bambini estasiati e curiosi, animali di ogni tipo, insetti, serpenti, pinguini, coccodrilli, castori, e alberi d'alto fusto, muschi, licheni, liane, palme... si fa fatica solo a ricordarli tutti, dal caldo dei tropici al temperato delle foreste canadesi, al gelo - rigorosamente 'ingabbiato' dietro ampie vetrine - dei poli.
uscendo, saliamo alla torre dello stadio, la più alta torre inclinata del mondo. facciamo prove di decollo, il panorama mozza il fiato, la giornata limpida aiuta a vedere per molti chilometri verso l'orizzonte.

- si è fatta quell'ora.
restituiamo le biciclette e chiamiamo angelo, il tassista con cui ieri avevamo quasi concordato il passaggio all'aeroporto, per dirgli di non venire a prenderci. il costo sarebbe stato 38 dollari; metrò e autobus ci mettono pochi minuti in più e, per due, costano 5,50 dollari.
a fine vacanza son finiti pure i soldi, meglio risparmare.

- quell'aereo della spain air continua ad andar su e venir giù, nella mia testa. mi consola molto sapere che il ritorno, fino a parigi, è su un bel 747, un meraviglioso, spazioso e grande jumbo.
scoprirò più tardi, sulla cartina elettronica dell'aereo, che anche su un jumbo drummondville non è solo un paesino...

- per il momento...
"l'aeroporto è pieno delle solite facce da aeroporto. l'atmosfera è di tranquilla attesa, ma ho sempre pensato che.... e si vede, in cuor loro si dicono che è l'ultima volta..."
... si vede che è l'ultima volta prima della prossima...

 
 
 

appunti di viaggio- fotografie -

Post n°56 pubblicato il 19 Settembre 2008 da cicuta4
 
Foto di cicuta4

"...I went out there in search of experience, to taste and to touch, and to feel as much as a man can, before he repents..."
(U2, the wanderer)

23 agosto
- siamo piuttosto neri, io e la marinaia, a colazione qualche grugnito e qualche comunicazione di servizio, niente più. cominciamo bene la giornata, per fortuna che c'è un sole meraviglioso...

- a metà mattina siamo a quebec city.
siamo passati davanti al parco dove celine dion ha tenuto il concerto ieri sera, stanno ancora sbaraccando. a guardare il posto viene da chiedersi dove cacchio l'hanno messa tutta quella gente.
ora siamo davanti a questo b&b. abbiamo provato un paio di altri posti, ma è sabato, è ancora tutto pieno. il palazzo che abbiamo di fronte sembra un pò fatiscente, ma l'atmosfera è quella dei vecchi palazzi ottocenteschi francesi, insomma è affascinante, e suoniamo.
ci apre 'sto tizio che in un'altra vita, sicuramente, doveva fare il parcheggiatore.
cappellino in testa, stuzzicadenti in bocca, tenuta da parcheggio, viscido quanto basta. è albanese, arrivato qui, indovina un pò?, via italia qualche anno fa.
e fa il parcheggiatore! solo che in più gestisce questo b&b.
ci mostra la camera, vista così, con drappi di un'altra epoca, il camino, due belle poltrone, un tavolo di legno, il morbido letto su cui è poggiata una bella coperta, beh, vista così la camera non ci dispiace.
la prendiamo, anche se ci frega subito. prezzi da albergo, altro che b&b, non vuole la carta di credito, quando gli dico che per dargli i contanti devo andare a cambiare, pur di non lasciarmi andar via - e magari accorgermi subito che fuori ci sarebbe molto di meglio a prezzi inferiori - mi dice che vanno benissimo gli euro, anche se così prende meno di quanto ci ha chiesto.

- cinque minuti dopo che è andato via ci rendiamo conto che la parte più pulita di tutto questo posto è il bagno, in comune con un'altra stanza.
la camera rivela il suo odore di stantio, di chiuso - e le finestre, effettivamente, non si aprono. la cucina è lorda, insetti di ogni genere albergano sui davanzali, a terra; non ci arrischiamo ad aprire il frigorifero, anche se l'occhiata che gli ho buttato dentro quando prima me l'ha fatto vedere mi ha rivelato un interno piuttosto desolato, per essere un frigo 'tutto a nostra disposizione' come ci ha detto il tizio.

- cominciamo le nostre passeggiate per il centro cittadino.
quebec city è davvero bella, la guida dice che è la più europea tra tutte le città del canada, e non si fa fatica a capirne il perchè. entrando nelle mura che cingono la città vecchia, piccola come può esserlo un qualsiasi quartiere di una nostra città di medie dimensioni, si respira aria di antico, il tempo sembra essersi fermato alla fine dell'800, i palazzi, bassi, sono ordinati, graziosi, strade strette e abbastanza pulite, nonostante il passaggio delle innumerevoli carrozze a cavallo per turisti; lampioni in stile, insegne dei negozi anche, tutto ricorda un'atmosfera di tempi passati.

- non abbiamo una mèta precisa, anzi, per un pò gironzoliamo per il puro piacere di passeggiare in mezzo a queste strade, alla gente tranquilla.
decidiamo di pranzare in un ristorante italiano, la pizza squisita ci riporta anche un pò di buon umore.
mentre stiamo pagando, si sente arrivare una banda militare, seguita da un'altra e ancora e ancora. c'è il festival delle bande militari del mondo, giappone, belgio, stati uniti, polonia, e quanti altri paesi ancora hanno inviato i loro bravissimi e, in alcuni casi, coloratissimi musicisti. è una bella festa, i rappresentanti dei paesi asiatici sono un'esplosione di colori e di danze, i più ganzi sono quelli della banda della polizia di new york. giocano tra loro e giocano con noi del pubblico che assistiamo a questa sfilata.
un pizzico di dispiacere solo nel fatto che nessuna delle nostre bande militari partecipa a questa festa.

- il resto del pomeriggio e della sera è passato tra negozi, artisti di strada, un giro alla vecchia cittadella fortificata, vera chicca che consente anche a quebec city di entrare, a pieno diritto, nei siti patrimonio dell'umanità.
saltiamo la cena, ancora sazi dal pranzo, ma ci lasciamo tentare dai dolci di una piccola caffetteria. luci soffuse, come peraltro in tutta la città, a ricreare, direi in una ricerca continua, quell'atmosfera che già t'accoglie appena entri in questa città. se chiudi gli occhi ed elimini mentalmente le poche auto che circolano qui, tra le mura, non si fa alcuna fatica a sentirsi in un'altra epoca, antica, forse un pò antiquata, ma comunque gradevole. il mercatino vicino alla cattedrale, i pittori e incisori che espongono i loro lavori in un vicolo, i piccoli negozietti, sembra di essere a spasso per mont-martre.

- mentre torniamo alla stanza, che per fortuna è appena fuori le mura, passiamo accanto a locali di ben altro genere, bar, discopub, caffetterie, luoghi vivaci pieni di giovani, di vita. stringe il cuore vedere che in mezzo a tutta questa folla l'unico locale che sembra passarsela davvero male è un minuscolo take away arabo, incassato in una sorta di scantinato, quasi un 'basso' napoletano, vuoto mentre fuori c'è il mondo, spaurito nelle sue luci al neon, affogato in un mare di luci strobostropiche e vociare di gente.

- al semibuio, in camera, non osiamo guardarci troppo intorno. non si sentono squittii o rumori strani, e questo ci basta.

24 agosto
- ci svegliamo presto, oggi ci attende altra strada. destinazione tadoussac, circa 200 km a nord da quebec city.
man mano che ci spingiamo a nord, soprattutto dopo sainte anne de beauprè, dove la strada sale, e anche di molto, fino ad arrivare quasi ai mille metri, lo scenario che ci si presenta davanti cambia radicalmente.
immaginando il canada prima di partire, non mi figuravo le distese piatte che ho visto fino ad oggi, questa vegetazione da pianura padana ed il sole tanto forte.
no, mi immaginavo esattamente quello che ora si presenta ai miei occhi. cielo cupo, foreste di un bel colore verde intenso, scuro, temperatura che scende sensibilmente, corsi d'acqua più piccoli e violenti.

- a baie sainte catherine c'è una sorta di draga che fa la spola, continuamente, con tadoussac, dall'altra parte del fiordo saguenay. un cartello stradale, pochi km prima, nell'invitare a non correre, recita più o meno "perchè affrettarsi (a 90 all'ora, sic!)? un altro traghetto ti aspetta", ed effettivamente il trasporto è continuo, non solo per i turisti che dovono recarsi sull'altra sponda, ma anche e soprattutto perchè il fiordo saguenay, sprovvisto di ponti, costituisce un vero e proprio ostacolo per i trasporti e i collegamenti con il nord, soprattutto per le merci. il viavai di camion è continuo, soprattutto la notte, e ciò rende indispensabile un collegamento continuo.

- prenotiamo il nostro gommone per l'escursione sul fiume e andiamo a colazione.
quando stiamo per imbarcarci ci danno pantaloni e giaccone cerati; sarebbe meglio avere anche un cappellino, perchè è previsto che prenderemo tanta acqua, ma non ce l'abbiamo e il nostro giaccone non ha il cappuccio.
due coppie di italiani se la tirano un pò, soprattutto i due signori, esitano a mettersi le cerate, quasi vogliono ostentare di essere lupi di mare, cosa sarà mai un'escursione sul fiume?
sul gommone siamo i primi, io e la marinaia, così abbiamo modo di sederci davanti, nei posti più riparati. gli altri sono disposti lungo le ringhiere esterne, c'è un ragazzo proprio al centro della barca e i nostri quattro laggiù, proprio in fondo.

- partiamo. tempo due minuti e la pilota, una ragazza simpatica e allegra, spara la manetta del gas. tempo un altro minuto e tutti, a parte io, la marinaia e la mia dirimpettaia, sono bagnati. il ragazzo a centro barca è mollo. i nostri quattro sono fradici. siamo appena partiti, l'escursione durerà tre ore. auguri.

- dopo circa mezz'ora arriviamo ad uno dei punti di avvistamento, e la vediamo subito. il san lorenzo, nel punto in cui ci troviamo, non è più un semplice fiume. siamo all'inizio della foce, ci son dei punti dove è largo più di cento km, e subisce fortemente le maree dell'oceano atlantico, che rendono l'acqua salata e particolarmente ricca di cibo per il più grande mammifero vivente.
una balena, bella, maestosa, fa capolino prima con lo spuzzo, poi con il muso, poi si inarca per rituffarsi, qualche secondo e riappare, danza di nuovo, si rituffa, poi sparisce. per circa due ore godremo di questo spettacolo continuo, vediamo circa una dozzina di balene, ma anche delfini e tante, tante foche. uno spettacolo meraviglioso, reso ancor più gradevole per questa sorta di 'caccia' continua fatta a bordo di questo gommone, le balene giocano con noi qualche secondo, poi scompaiono, si avvicinano, riemergono da qualche altra parte. finito di osservarne una via, si corre in un altro punto del fiume, un altro zampillo, un'altra balena. dopo poco anche le foche - e chi le ha mai viste se non allo zoo - diventano quasi insignificanti. una spalanca la bocca proprio davanti a noi, ingurgita qualche decina di litri d'acqua e qualche chilo di krill, poi va giù.

- torniamo verso il porto, sono quasi le quattro del pomeriggio e comincia davvero ad essere freddo. in tutto questo, io e la marinaia non ci saremmo bagnati per niente, se solo non avesse piovuto per qualhe minuto in uno dei momenti in cui la barca era ferma per un avvistamento. tutti gli altri sono davvero zuppi, il ragazzo che era a centro barca non ce l'ha fatta più e ha chiesto pietà alla sua compagna, i quattro italiani, laggiù in fondo, sarebbero meno bagnati se si buttassero direttamente in acqua. sono così molli che, a terra, spogliandosi delle cerate avranno anche i vestiti bagnati. guardo la pilota, che ci da giù con la manetta del gas e sorride sorniona. al porto le sussurro un "ti sei divertita, eh?" al quale risponde con un sorriso e un "anche tu"...

- è tardi quando arriviamo a quebec city, neanche il tempo di fare una doccia prima di cena, se non vogliamo rischiare di trovare tutto chiuso.
torniamo alla pizzeria di ieri. parliamo col proprietario, un sardo che vive qui da 17 anni, ci racconta un pò com'è la gente, com'è l'inverno. ci racconta di nevicate di quattro metri, la veranda dove ci troviamo sommersa di neve, in cui si diverte a scavare un tunnel per arrivare alla staccionata. ha nostalgia dell'italia, dove torna spesso, ogni anno, ma non ha nessun dubbio nel sostenere che qui è molto più vivibile.

- andiamo a letto con l'idea di fermarci un altro giorno; ma dobbiamo assolutamente cambiare sistemazione.

25 agosto
- vodafone mi restituisce la linea a tratti, a seconda di come diavolo gli pare.
per esempio, so per certo che l'ho avuta tra le tre e le quattro di stanotte, quando mi è arrivato un messaggio e due telefonate (in italia il fuso è +6 ore). in compenso, ora che sono ben sveglio la linea non ce l'ho!

- usciamo per andare a cercare un'altra stanza.
ieri sera, tornando al b&b, ho visto un posto che mi sembrava carino, e andiamo a bussare. è un altro b&b, i proprietari sono madre e figlio algerini. ci accolgono subito con calore, ci fanno accomodare in sala mentre gli ultimi clienti fanno colazione, la camera c'è e costa molto meno di quella da cui vogliamo fuggire, non c'è il posto auto - ma questi non fanno i parcheggiatori - ma ci daranno una scheda per il parcheggio pubblico. ci chiede, la mamma, se vogliamo far colazione subito, decliniamo l'invito con gentilezza e con gentilezza lei non insiste.
ci dice di andare a prendere i nostri bagagli, nel frattempo ci sistemerà la stanza, che abbiamo già visto e che ci piace.

- torniamo da mr. albània, come lo chiama la marinaia. chiudiamo le valigie e scendiamo alla macchina. lo incontriamo lì.
allora andate?
sì, andiamo via..
montreal?
no -
dice la marinaia - montreal domani...
e non aggiunge altro, nè altro aggiungo io.
mentre faccio manovra faccio un cenno, l'albanese risponde al saluto ma è il viso che mi colpisce. quell'espressione che in una frazione di secondo mi racconta molto. quell'espressione dice che sa che ci ha fregato, ma alla fine ci ha dato un letto in un momento in cui non era così scontato che lo trovassimo a breve; ha capito che abbiamo capito e andiamo via per questo, sa che saremmo pari, lui i soldi, e tanti, per questo cesso di stanza, noi la rivincita perchè andiamo via e neanche nascondiamo che stiamo trasferendoci in un altro albergo, non in un'altra città; quell'espressione sa di vittoria e di sconfitta, di mille fregature date al prossimo e di mille abbandoni ricevuti dal prossimo, tutti lo cercano un albanese che ti leva dalle pesche, nessuno ci rimane con un albanese che puzza di sporco e di parcheggiatore e di viscido. quello sguardo, quell'attimo, mi regala la sua consapevolezza della sua triste solitudine, una vittoria di pirro o una sconfitta indorata dal soldo.

- anche oggi decidiamo di passeggiare senza troppe mète precise. a metà mattinata facciamo un giro fuori città per andare a vedere una piccola cascata - quasi un must, dicono qui, in realtà niente di così impressionante - poi ci diamo ad un pò di shopping.
la marinaia compra una 'berretta' - come la chiama lei - per l'inverno (sarà la duecentesima...) in un negozio gestito da un puttanone biondo... poi entriamo in un atelier d'arte inhuit, la commessa ci racconta di questi artisti indigeni che tentano di preservare la loro arte e cultura, e gli oggetti che abbiamo davanti ci raccontano delle loro tradizioni.
compriamo la miniatura di un inukshuk, che significa "simile ad un uomo" o qualcosa del genere. gli inukshuk sono figure di pietra ricostruite dai cacciatori per depistare i caribù. venivano sistemati in una sorta di tragitto ad imbuto, l'animale scambiava l'inukshuk per un vero essere umano, cosicchè per sfuggirgli si spostava in una direzione resa obbligata proprio dal posizionamento degli uomini di pietra. al termine del percorso, i caribù non trovavano la sospirata salvezza, ma uomini in carne ed ossa, i cacciatori che avevano teso la trappola.
un racconto quasi da epopea per un metodo di caccia che potrebbe sembrare subdolo e cruento, ma che in realtà è in linea con la natura e niente ha a che vedere con le moderne tecniche di caccia e di allevamento.

- finiamo la serata e i nostri giorni a quebec city di nuovo alla stessa pizzeria e finalmente in un letto accogliente.

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: cicuta4
Data di creazione: 24/10/2007
 

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