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« Parla potabile!Parla potabile! »

Parla potabile!

Post n°31 pubblicato il 09 Novembre 2008 da annamariacorallofdc
 
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Manuale semiserio
di annuncio biblico popolare /7

IL SUCCESSO DEGLI INSUCCESSI

Palermo non mi ha regalato solo esperimenti di apprendimento improbabile [vedi post 28], ma anche una delle occasioni più intense di vivere la dimensione di fraternità con la mia gente.

Quando sbarcai a Palermo per la prima volta, rimasi estasiata dalla città. La trovavo strepitosa!
Le strade, i profumi, i colori, i palazzi, l’accento della gente, i modi di dire… Tutto fantastico!

Lì ho imparato che “Ogni fegatino di mosca è sostanza” e mi sono confermata che, davanti a scelte da compiere, “Questa è la zita: chi la vuole se la marita!”.
Che, detti in palermitano, vi assicuro, sono tutto un altro cantico sapienziale.

Appresi ben presto che, nella nostra scuola, la mia esperienza di insegnate non si sarebbe limitata all’aspetto didattico nelle classi superiori e -ahimé!- elementari, bensì anche nell’essere educatrice a tutto campo.
Ero infatti responsabile dell’aggiornamento educativo dei professori e maestri, animatrice spirituale dei ragazzi e bambini e, per giunta, formatrice dei genitori.
Ero insomma la garante del carisma vincenziano della scuola!
(Non vi impressionate: la storia non durò a lungo. Nel giro di un paio d’anni mi liquidarono. Fu così che tornai alle prese con i vivaci scugnizzi napoletani e i loro degni imprevedibili genitori).

In ogni caso, dovevo approntare piani formativi a destra e a manca.
Invece di crollare psicologicamente sotto il peso della responsabilità, mi lasciai trasportare dall’incosciente ottimismo che solitamente accompagna tutti i pivelli.

Compresi quasi subito che lo zoccolo duro era la formazione dei genitori degli alunni: mentre per il resto una certa tradizione era già avviata, quello delle competenze educative dei genitori era terreno pressoché inesplorato.
Così, alla stregua dei pionieri del Klondike, le cui movimentate vicende avevo scoperto leggendo le peripezie di Paperon de’ Paperoni, anche io, armata di attrezzi rudimentali, partii alla ricerca della pepita “uovo d’anatra” e, intemerariamente, mi lanciai nell’avventura.

Dunque: gli alunni della scuola elementare erano una cinquantina.
Considerata la presenza di coppie di fratellini o sorelline, ipotizzando un paio di genitori a testa -merce piuttosto rara di questi tempi- il numero approssimativo di fruitori doveva aggirarsi sulla novantina.
Quanta gente aderì alla proposta formativa?
Ma che domande fate?
Sempre questa smania di quantificare tutto, di conteggiare i successi sulle dita delle mani, di schedare i cammini come fossero clandestini rinvenuti sottocoperta!
Due persone.
Bè, una volta ne vennero tre, ma non vorrei falsare le statistiche.
Due, sì. Due impavidi genitori, due mamme, per l’esattezza, che immancabili seguivano il cammino da me proposto sulla comunicazione educativa coi loro figli.
Se si potesse rilasciare una coppa campioni per queste vicissitudini educative, vi assicuro, avrei fatto carte false per garantirne una a testa alle due eroine.
Ma, se permettete, una coppetta di riserva, magari pure una coppa del Nonno, l’avrei poi passata sottobanco anche alla sottoscritta.
Non so se mi spiego!

Il primo anno finì, come Dio volle. E le due “madri coraggio” completarono il cammino, tra commoventi ringraziamenti e accalorati saluti.
L’anno successivo non proposi il percorso.
Ma solo per impegni improrogabili sopraggiunti (avevo fatto l’abbonamento alla Settimana enigmistica e non potevo restare indietro con i cruciverba…).
Eppure fu in quell’anno che raccolsi i frutti della semina precedente.
Come d’altronde ogni buon senso contadino avrebbe suggerito.
Li raccolsi, purtroppo, in un frangente drammatico: quello di una morte improvvisa.

Desidero raccontare questa vicenda, anche per dare a quei giorni una scia visibile, oltre a quella indelebile che lasciò nel mio cuore.

Il marito di una delle due donne che aveva seguito il cammino formativo dell’anno precedente, fu stroncato da un infarto all’età di 38 anni.
Lasciava la moglie e il bambino di terza elementare.

La chiamai al telefono appena lo seppi. Ossia il giorno dopo la morte.
«Ho saputo… Ti sono vicina… Come ha reagito il bambino?»
Il bambino non sapeva. E non avrebbe saputo. Non subito. Forse dopo qualche mese. Doveva ancora pensarci.
Mi parve impossibile. Un bambino privato di un evento così determinante!
Non sono una psicologa, ma avvertivo tutti i rischi di una simile scelta. In un’epoca di esperienze virtuali come è la nostra, privare della prova del vedere e toccare, poteva significare lasciare nel limbo dell’incertezza la reale morte del genitore.
«Io ti suggerirei di dirglielo!»
«Solo se tu sarai accanto a me.»

E voi che avreste fatto?
Il tempo di cercare la giacca ed ero a casa sua.
Per strada sentii al telefono un’amica psichiatra.
Mi incoraggiò e mi sostenne nella scelta.
La mia incoscienza non trovava dunque argini. Arrivai.

L’appartamento della coppia era pieno di gente. Entrando in casa si accedeva al corridoio, il quale si allargava sulla destra, formando una saletta priva di porta o parete.
Lì la bara.

Mi condussero sulla sinistra, verso la stanza da letto del bambino.
Lì mi attendeva la mamma, smagrita, col volto segnato da quel pianto che solo il dolore lancinante procura.
Con un sorriso lieve, di sollievo, mi accolse.
Il bambino era dai nonni. Dal giorno prima.
Lo avrebbe fatto arrivare in casa solo quando io l’avessi aiutata a capire cosa doveva dirgli.
Io.

La esortai alla chiarezza del messaggio unita ad una calda vicinanza.
La realtà è tremenda. Ma è la realtà.
Lui la affronterà con te. Sarà il tuo grande rimpianto e la forza assoluta che ti sosterrà.

Quando il bambino arrivò al portone, un amico corse ad avvisarci.
Chiesi alla gente convenuta di creare un muro umano, che accogliesse il bambino e gli impedisse di vedere subito la bara del padre, posizionata nella saletta sulla destra.

Come da un abbraccio ininterrotto, al suo arrivo fu condotto nella sua camera.
La madre lo attendeva lì. Con me.
Non aveva voluto che la lasciassi.

Rivivo ancora con intensità quell’ora, quegli sguardi, quelle parole.
Quei silenzi.
E poi il calmo incamminarci verso la bara, mano nella mano.
Quella preghiera proferita lentamente, per il pianto da domare.

Non ero che comparsa, accanto a quella donna forte e madre intensa alla quale va ancora oggi tutta la mia ammirazione e il mio sostegno.
Ero una comparsa autorizzata alla presenza solo dalle parole e dall’ascolto vissuti nel cammino formativo dell’anno prima, insieme.

Da allora, ogni Natale ed ogni Pasqua ricevo un suo sms.
“Auguri da chi non ti scorda mai”.
E, mentre cullo nella preghiera quei volti e quel ricordo, mi ripeto lieve che non esiste formazione che non sia per costruire una relazione autentica, non ve ne è che non sia finalizzata alla vita di chi hai dinanzi.
Il resto è pula che il vento disperde.

Annamaria Corallo FdC

 
 
 
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