Creato da vanille_noire il 27/06/2014

Venti da Nord Est

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Riverbero

Post n°52 pubblicato il 17 Maggio 2016 da vanille_noire

Sorrido

quando Ti sottrai poco convintamente al riverbero:

socchiudi

per pochi attimi gli occhi

e un leggero piacere affiora dall'espressione delle tue labbra,

per quella luce insolente,

per quel calore accattivante,

e vorrei essere quel raggio,

come astro che seduce un Sole distante.

 

 
 
 

Il piano inclinato

Post n°51 pubblicato il 12 Aprile 2016 da vanille_noire

Ogni tanto capitava, ritornava.

Era come trovarsi alla fine di un piano inclinato, il pensiero rotolava prima piano per prendere a poco a poco velocità e arrivare puntuale, dirompente a destinazione.

Me lo ricordo, la prima volta. Era successo sulle scale mobili nel centro commerciale. Era arrivato così, "il pensiero", senza chiedere il permesso e "zac!" un pugno allo stomaco ben assestato, sufficiente per ritrovarmi persa, con gli occhi lucidi e in equilibrio su gradini ai quali piaceva cambiare.

Ma anche stamattina.

Sono la prima in attesa che la saracinesca dell'ufficio postale si alzi. Pochi istanti e non mi accorgo che si può entrare: la testa altrove, rapita, ma il posto dove mi trovo in quei momenti non lo saprei spiegare.

Un'ottantenne alle mie spalle, che evidentemente ha molta più fretta e lucidità di me, mi "spiega" che hanno aperto.

Mi scuso, ringrazio e mi avvio allo sportello, ma non prima di essermi sfiorata con i polpastrelli gli angoli degli occhi. Faccio finta di soffiarmi il naso e mi chiedo il motivo di come e perchè certe presenze non avvisino il loro arrivo con almeno qualche minuto di anticipo. Mi ricompongo, penso di avere anche un aspetto normale e una voce ferma.

 

La sensazione che può provocare una mascherina sul viso: le gambe leggere e la vista che a poco a poco si perde nella nebbia, a raccontarsi, potrebbe sembrare anche una bella esperienza. Ma c'è che, un battito, forse sincrono con il mio, da giorni non c'è più.

Ora rimane un angelo accanto a me, in carne ed ossa. Proprio come devono essere gli angeli, per nulla eterei, ma terreni, reali che stringono mani estranee e accarezzano esistenze sconosciute. Non la conosco e nemmeno lei conosce me. Le vedo confusamente gli occhi, anche lei una mascherina, diversa dalla mia. Mi dice di non preoccuparmi, che andrà tutto bene.

Mi piace la sicurezza, il calore, la gratuità di quella vicinanza.

Eppure non penso di aver manifestato paura: sono nella foschia più totale, anche le paure e i pensieri lì fan presto a confondersi.

Da allora, quando me ne ricordo adotto anch'io quel comportamento.

Ho la tendenza ad usare spesso il "non preoccuparti" e a lungo andare uno ci prende mano, diventa esperto, ci crede e si rende credibile.

Quanto a quel piccolo dolore di molti anni fa, come già scritto, ogni tanto compare.

La sua forza sta nel fatto che non ne ho stemperato il ricordo condividendolo con alcuno, neanche con chi sarebbe stato giusto e doveroso farlo.

C'è una sorta di egoismo anche nel tenere per sè le cose che fanno male.

Questo, il mio piano inclinato.

 

 

 

 
 
 

Senza

Post n°50 pubblicato il 09 Aprile 2016 da vanille_noire

Non trovavo parole,

e pensare che le parole mi piacevano e tanto.

 

Solo pensieri nudi.

E come l'avrei rubata alla sera quella dolcezza, giusto per coprirmi un po'.

 
 
 

Fermo immagine

Post n°49 pubblicato il 24 Marzo 2016 da vanille_noire

Per quanto cercassi, sapevo bene che non era rimasto niente, nessuna traccia, nessuna briciola, nessun messaggio, nessun numero, neanche il sentore leggero del profumo. 

Nessun brandello di stoffa, nemmeno un bottone mal saldato, uno scontrino sbiadito.

Nulla, cancellato tutto.

Trovavo sempre quel fotogramma inceppato, un fermo immagine in bianco e nero, come puntina che indugiava nel solco.

Era solo un abbraccio, sì, un comune abbraccio, ostaggio del tempo.

 
 
 

SMS

Post n°48 pubblicato il 12 Marzo 2016 da vanille_noire

Quella sera me ne andai a dormire con in mente due domande.

Domanda numero uno: "fino a che età una donna può essere"chiamata" ragazza?"

Domanda numero due: "c'è un antidoto alla timidezza?"

In realtà le risposte già le avevo.

Non che sappia tutto, ma su questo mi sentivo preparata.

Era più un sondaggio d'opinione che ipoteticamente avrei rivolto ad un campione di persone, scelte così a caso, tra le mie conoscenze.

Tutto è cominciato dal quel foglietto di pochi centimetri bianco che sporgeva dalla fessura della portiera dell'auto, lato guidatore e che spiccava, o meglio per me era più che evidente, mentre con due sacchetti della spesa uscivo dal supermercato.

Il foglietto non poteva essere un depliant pubblicitario: troppo piccolo, mi dicevo, avvicinandomi con un po' di preoccupazione.

Fugai ogni dubbio, aprii l'auto, appoggiai i sacchetti della spesa e soddisfai la mia curiosità.

Si trattava di una piccola striscia di carta e un numero di cellullare, caratteri tondeggianti, immaginai una scrittura femminile o di persona giovane, azzardai: anche un po' naive.  A chiudere la serie numerica due punti esclamativi, che più che paletti con puntino alla base, sembravano coni gelato con pallina.

Imprecai in silenzio dentro di me.

Erano quasi le 19, poche idee per cena, nonostante due sacchetti della spesa sul sedile. Era buio se non fosse stato per le luci del supermercato e della vicina edicola.

Ispezionai per quello che potei la carrozzeria dell'auto. Riconobbi i soliti strisci, che poi sono abbastanza impercettibili, ma io sapevo dove guardare, qualche piccolo schizzo di fango sui passaruota, ma niente di più.

Dentro di me mi rincuorai e apprezzai l'onestà e la sollecitudine della persona che aveva lasciato il biglietto. Avrà aperto troppo la portiera della sua auto contro la mia, oppure nella manova di retromarcia si sarà appoggiata al mio paraurti.

Fatto trenta volevo fare trentuno.

Quella sera, ma in generale sempre quando sono interessata, ero come San Tommaso, mi decisi e composi il numero.

Squillo uno,

squillo due e squillo tre,

ma anche quattro, cinque...

Non insistetti: "Sei una codarda o forse un codardo; dopo il danno, il biglietto e forse un numero inventato, ora te la squagli!".

Pensai alla mia cena e mi avviai verso casa.

Sentii il suono che avvisava l'arrivo di un SMS... ero sul vialetto.

Testo del messaggio: "Ciao, sei la ragazza bionda con l'auto rossa?"

Salvai il numero prima di rispondere, in ordine alfabetico prese posto nella mia rubrica telefonica tra Daniela prima ed Elisa poi: "Ti battezzo con il come di Danno".

Sperai di avere la tecnologia dalla mia parte. Cambiai rapidamente rubrica e andai a vedermi se nei contatti whatsapp era comparsa la faccia di Danno, ma invano: niente!, la mia lista contatti non aveva subito variazioni.

Mi chiesi: "Ma perchè sei così veloce a mandare SMS e non ti degni di rispondere al telefono?".

E subito dopo pensai: "Sì c'ha preso con i colori, ma non sono ragazza da almeno vent'anni... pazienza che ora si è adolescenti fino a trenta".

Risposi:" Sì, sono io".

Abbastanza laconica, lo so, ma partivo da una posizione svantaggiata. Danno aveva la mia faccia associata al mio numero.

Dopo qualche secondo, altro SMS, mittente sempre Danno. Testo: "Scusami, sono stato uno stupido, volevo dirti che sei molto carina, ma non ne avevo il coraggio e così ti ho lasciato il mio numero".

Ho più di quarant'anni e penso non siano stati totalmente sprecati ed un passato da ex timida, potevo capire, ma quella sera sentivo forse per stanchezza che il mio grado di comprensione era molto limitato.

Quindi nella mente di Danno il primo passo lo dovevo fare io.

Ripescai il mio primo pensiero, l'urto, il danno e decisi di giocarmi la carta "gnorri".

Testo del mio messaggio: "Pensavo avessi danneggiato la mia auto, ma visto che non è così, ti auguro buona serata".

Decisi di chiudere la questione con questo augurio: laconica, riservata, ciò nonostante molto educata.

Dopo qualche secondo, altro SMS di Danno. Testo: "Sono alto, moro e ho gli occhi verdi".

Decisi di non ribattere: "Sarai anche alto, moro con gli occhi verdi, ma di rompere il ghiaccio e aprire il portafogli con la scusa di un aperitivo o semplicemente  con una battuta vis à vis... questo ti costava tanto".

Non ottendendo risposta, dopo qualche secondo comparve un altro SMS, mittente Danno. Testo: "Sarai anche bella, ma sei tanto stronza".

Entrai in casa mi venne per qualche secondo la curiosità di chiedere a Jack, nascosto dietro il dizionario di greco a smaddonare su una versione, se considerasse sua madre ancora una ragazza.

Mi piace il giudizio degli adolescenti: sono taglienti, obiettivi a volte drastici e  non te la mandano mai a dire.

Ebbi paura della risposta e mi misi a preparare cena.

Per quanto riguardava la timidezza pensai che come tutte le cose che si desiderano, in qualunque ambito, valga sempre il motto "volere è potere".

 

 

 

 

 

 
 
 

Mani

Post n°47 pubblicato il 10 Settembre 2015 da vanille_noire

Percorro la strada principale del paese.

Si affacciano le stesse case, impresse nella mia memoria da sempre: cortili disegnati e aiuole curate.

Dentro a quei civici sono rimasti in pochi e quei pochi avanti nell’età.

Occhi incollati al tg delle venti, tovaglie già scrollate da briciole e accuratamente ripiegate, piatti riposti meccanicamente nelle credenze.

Sono in sella alla bicicletta che poco prima mi è stata sporta corredata da una domanda ironica: “Ti ricordi ancora come si corre?”; per niente scontata se guardo al vestitino in voile ed ai sandali col tacco che indosso.

Poche pedalate e arrivo a destinazione. Come immaginavo non incrocio nessuno lungo il tragitto.

Numero 92, premo in modo rispettoso ed educato il campanello.

Conseguenza completamente contrapposta al mio gesto, ne esce un suono imperioso, uno squillo degno di un cantiere.

Si affaccia Ludmilla, evidentemente sorpresa nel vedermi dopo tanto tempo.

Ci salutiamo calorosamente. Lei mi è simpatica da sempre e penso sia reciproca la cosa: dice che le ricordo sua figlia lontana.

E’ un ciclone di donna: forte, caparbia e allo stesso tempo dolce, come le parole cantilenanti con inflessione slava che pronuncia, un cinguettio triste, musica di balalaika.

Entro e cerco Ester. La trovo seduta al centro del divano.

Non so se si accorga della mia presenza nella stanza.

Mi avvicino e l’abbraccio. Un bacio per guancia e sento il suo profumo, quello di sempre: pulito, rassicurante,  discreto.

Lei mi guarda e io le sorrido; nel farlo spero sia felice perché dai suoi occhi non riesco a percepire nulla.

Le chiedo come sta. Mi risponde che sta bene, “da vecchi” – aggiunge-, “sempre qui, ma bene”.

Mi siedo accanto e mi viene spontaneo prenderle le mani tra le mie ed accarezzarle. Capisco che il contatto è l’unico alfabeto che abbiamo a disposizione.

Il numero delle sue parole si riduce di giorno in giorno.

Le sue sono mani tozze e robuste, rigate da vene evidenti. Sembrano radici.

Pensandoci, poeticamente, per me lo sono, anche: per quello che hanno fatto, per quello che mi hanno dato.

Poco dopo, in modo del tutto spontaneo, è lei a prendere le mie di mani. Comincia ad accarezzarle. Non mi aspetto quel gesto.

E mi commuovo. Mi sento gli occhi riempirsi, come oblò di barchetta sopraffatta dal mare grosso.

Penso che lo avrà fatto per imitazione, e riesco da sola a farmi innervosire: in quel momento non c’è necessità di dare spiegazioni alle cose.

Imparo qualcosa. Qualcosa di semplice e allo stesso tempo grande, che mette a tacere la mia superficialità, relega in un angolo la mia supponenza.

Chi se ne frega dei neuroni che muoiono e delle sinapsi, dei cassetti della memoria con i loro sprazzi di ricordi:  lei accarezza le mie mani e soprattutto, finalmente, una luce diversa nei suoi occhi.

So che non mi riconosce, ma non ha importanza.

Il regalo più grande è in quelle carezze “di radice” e nell’improvvisa e inattesa richiesta: “Torna a trovarmi.”

 

 

 

 
 
 

Crème

Post n°46 pubblicato il 24 Giugno 2015 da vanille_noire

Le carezze non avevano bisogno di decodifica ed io avevo fatto tutto il possibile per non essere fraintesa.

Ero rimasta lì, in piedi, tra l’indefinito e l’ebete con i miei occhi stralunati, ipotizzando quell’espressione riflessa in uno specchio immaginario, ad aspettare il temporale; e dal vento che lo anticipava doveva essere solenne come giudizio divino. Era quello che ci voleva quel pomeriggio: doveva sfaldare, seppure momentaneamente, la cappa di afa che avvolgeva la campagna e assecondare il mio desiderio di correre sotto la pioggia allontanando le mie braccia dal corpo per guadagnare più superficie da offrire agli elementi, impassibile al giudizio umano.

Nonostante le buone maniere che strada facendo avevo carpito e gli insegnamenti delle persone che si erano prese cura di me, rimanevo una ex bambina nata e cresciuta in campagna, mutevole,  a volte schiva, sicuramente selvatica.

Mentre controllavo l’avanzata delle nubi, tendendo l’orecchio verso il fragore sempre più nitido dei tuoni,  non avevo trovato di meglio che affondare ripetutamente il cucchiaino nel vasetto di crema al gianduia.  Era una leccornia fatta con tutti i crismi, priva di porcherie consentite.

L’avevo pagata abbondantemente e per maggior conferma controllavo che quanto speso corrispondesse con la qualità e le percentuali degli ingredienti contenuti.

Continuavo la mia opera con zelo, incurante di chi si sarebbe dovuto servire dopo di me, stando bene attenta a lisciare con i bordi del cucchiaio le pareti ed il fondo per raccogliere il più possibile. Mi rammentavo  che ero una donna tutt’altro che golosa, che quello che stavo facendo non era segnale di mancanza di attenzioni, ma solo il sintomo di un attacco di noia.

Avevo rimosso ogni traccia di crema come un assassino che deve ripulire doviziosamente la scena del crimine. Nessuna paura di essere scoperta, per carità!, nessun problema di linea o interruzione di regime alimentare salutare, solo uno scrupolo igienico per chi fosse stato attirato dalla crème dopo di me.

Constatavo che gli anni che passavano lasciavano doni inattesi. L’abbinata sostantivo-aggettivo non è casuale. Mi vedevo cambiare, ma non ero triste o malinconica soltanto curiosa, di come sarebbe continuato il mutamento.

Riconoscevo che le spalle erano sempre larghe e forti, le gambe lunghe e veloci. Avevo pure una criniera che curavo vanitosamente.

Mi interrogavo sulla natura della corazza che talvolta indossavo, difficilmente riconducibile all’eredità dei miei avi.

 

 
 
 

Nei

Post n°45 pubblicato il 14 Maggio 2015 da vanille_noire

Cercavo corrispondenze, simmetrie quel pomeriggio,

guardandoti, distesa accanto,

mentre dormivi.

Sommavo le cifre della data in cui c'eravamo conosciuti,

fino a ridurla in un numero primo.

Speravo,

che da quella semplice operazione,

uscisse il tre,

quasi fossi il premio in palio

di una riffa capricciosa,

che conducevo a mio piacimento.

Notavo,

che almeno un paio dei nostri nei erano del tutto speculari,

ma potevo trovarne tanti altri,

se non mi fossi resa conto

che tutta questa mia mania di

enumerare,

classificare

dettagli e particolari di noi

stava trascendendo in una

bislacca arte divinatoria di mia invenzione.

Rituale e gioco,

per dissipare

incertezze,

denudare paure.

 

 

 

 
 
 

Ritratto color seppia

Post n°44 pubblicato il 27 Aprile 2015 da vanille_noire

Io amo le donne.

Le ammiro e mi affascianano.

Ora preciso.

Non sto facendo outing, a quarantadueanni. No, dei miei gusti sono certa, sicura e contenta.

Gli uomini sono necessari, intimamente necessari e insostituibili. Ho detto intimamente, non logisticamente.

L'ho provato, sperimentato.

Il campionario delle donne è estremamente vario ed interessante. C'è un mondo a cui ispirarsi: caratteri, pazzie, paturnie (patire le saturnie, patire le influenze di saturno), slanci, difetti, pregi, l'aspetto fisico, il loro modo in cui indossano la vita.

Io non sono una femminista. Forse perchè non sono una battagliera di natura. Sono pigra da questo punto di vista, quindi non mi sono mai interessata molto alle lotte di rivendicazione dei diritti.

Sta di fatto che tanti anni di lotta (altrui) a poco sono serviti. Dove lavoro i colleghi maschi guadagnano di più, a parità di fatica e responsabilità e spesso hanno il coraggio di fare pure le principesse. Quindi mi adeguo, cerco di non fare io la principessa, in fondo un lavoro ce l'ho.

Tornando a "femminista" (niente da criticare sull'ideale), il suffisso -sta non mi piace, in nessuna parola, ha qualcosa di settoriale, limitante. Ed io non mi sento specializzata in nulla, quindi non fa per me.

Io amo le donne della mia vita, per cominciare.

Capitolo a parte: mia madre. Mi spiego. E' amore indiscutibile, ma da sempre ho fatto di tutto per essere diversa da lei. Quindi non è un'immagine a cui io mi sia ispirata.

Voleva che giocassi alla mamma. Il mio gioco preferito, per contro, era Barbie: chioma bionda, forme da pin up e vestiti di paillettes.

Non approvava che frequentassi Daniela: ebbene Daniela è la mia migliore amica, da più di trent'anni.

Passando per i gusti in fatto di vestiti. E poi: io mi trucco sempre, poco, ma sempre, lei no. Ho sempre i tacchi, mentre non ho mai visto lei indossarli.

Il suo aut aut era: "Fai quello che vuoi..." Che detto così non ha niente di minaccioso, ma da una scrupolosa analisi risulta come un autentico ricatto: se non lo facevo avrebbe vinto lei. Se lo facevo avrei vinto io, ma in cambio il suo sguardo di disappunto mi avrebbe perseguitato per giorni.

Il mio mito era Maria.

Chi era Maria? Maria era la trisavola, madre del nonno paterno. Dell'ava in questione si tramandano poche cose.

Perchè?

Perchè della sua vita non parlava, non si confidava con nessuno. Quindi per me (ma immagino anche per gran parte della gente) quando si hanno poche informazioni è allora che c'è molto materiale per favoleggiare. S'ipotizza, s'immagina a volte s'inventa, anche. Ed io l'ho vista sì come un modello, strampalato quanto si vuole, privo forse d'importanza per le mie di radici, ma un'icona, comunque.

Classe 1875. Ho una sua carta d'identità, del ventennio fascista. Com'era la donna? Bellezza algida. Sguardo snob. Capelli raccolti. La foto, ovviamente è color seppia.

Il color seppia non fa rumore, tace e bisogna saperlo ascoltare.

Come la sua esistenza. Era orfana Maria, ma in quella foto di donna adulta si è persa ogni traccia di chi ha avuto un'infanzia senza affetti. Mi viene in mente Oliver Twist, orfano famoso: aria timida e impaurita, almeno in quello scelto da Polanski.

C'è uno sguardo fiero in lei, invece. Sarà una sfida all'obiettivo? Un attimo di narcisismo?

Chissà qual era lo spirito di chi si faceva fotografare cento anni  fa? Quale emozione si sarà provata? Penso lontana e diversa a quello che viviamo noi ora, navigati del selfie.

Maria cresce in orfanotrofio e impara il mestiere di sarta. Al compimento della maggiore età esce e ...

Salto tutto il resto, tanto non lo conosco.

Maria in sostanza ha quattro figli, dei quali non si conosce il padre o i padri.

Si è data alla pazza gioia, ho pensato, dopo anni in un orfanotrofio gestito da religiose. Sì. Può essere.

Questi figli comunque ci sono, rimangono e sono quattro. E lei li cresce, da sola, facendo la sarta. Questo è certo: che facesse la sarta per le famiglie nobili della città. Avrà sedotto o sarà stata sedotta?

Avrà chiesto, ricattato o fiera, come in quella foto che conservo, avrà allevato da sola i suoi quattro figli? Qui la realtà sbaraglia la fantasia. Altro che "Beautiful", "Incantesimo", "Il segreto", vado a ripescare "Anche i ricchi piangono".

Mi ripiglio dal vagheggio e riporto l'attenzione sulla persona e ignoro il contesto.

Mi piace pensarla forte. Sufficientemente sfrontata, allenata ad affrontare le difficoltà.

In fondo chi non ha avuto niente non matura fortemente la paura di perdere qualcosa.

All'epoca non c'era prova del DNA e immagino fosse tutto molto più complicato.

Conservo quel documento, la carta è un po' sgualcita; i dati anagrafici, le generalità sono in corsivo, la foto.

Mi soffermo sul cognome, il mio. Mi ha lasciato il suo ritratto in seppia e un cognome asburgico. E la cosa mi piace.







 

 
 
 

Primavera

Post n°43 pubblicato il 14 Febbraio 2015 da vanille_noire

Dopo il mio compleanno sento già che arriva prepotente la Primavera.

La sento nei raggi a mezzogiorno, nelle piccole corolle impavide in deserti di prati spogli, nel duello mattutino tra Luna e Sole, a spartirsi un arco di cielo sgombro di velature.

Arriva nella brezza di mare che si spinge a chilometri dalla costa fino alla pianura: aria salmastra, lontana, selvaggia, a lenire ferite d'inverno.

Arriva nella mia smania di colore, mentre accarezzo stoffe, mentre sfioro la mia pelle ad aspettare tepore nuovo. Arriva nella mia voglia di donna che alterna consapevolezza e falsa ingenuità.

Arriva nel ricordo di quello che non hai saputo trattenere, trincee fanno quadrato intorno al tuo Io, diversamente abile, nell'incapacità di dire, nell'incapacità di tornare indietro, di rivedere le cose, di rivedere te stesso.

Arriva questa Primavera anche nelle mie tasche, dove trovo sempre mille ragioni per mettermi il cuore in pace.

Da quelle tasche, nel gesto di estrarre le mani, lascio cadere qualche spicciolo di quel po' di bello che è stato, ormai desolatamente fuori corso.

Ma ormai è Primavera... Ho scelto un abito leggero, anche se sta sotto il cappotto.

Ho laccato di rosso le unghie, i capelli adornano le spalle...

Sono pronta ad uscire.

 
 
 

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