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Uscita scolastica

Post n°69 pubblicato il 01 Febbraio 2011 da ventus68

“Primavera d’intorno brilla nell’aria e per li campi esulta” dice il poeta. Certo è il 31 gennaio, ma comunque oggi è apparso, si è materializzato, come nel Faust Mefistofele, il primo rappresentante di libri scolastici. Va bene lo so che, come dice il proverbio, un rappresentante non fa primavera, eppure, nonostante il tremendo picco influenzale che ci aspetta, (ma februarius da mo’ che è il mese delle febbri, dal tempo di Giulio Cesare e prima)  mi sento, mi sentirei, meglio allegro se non dovessi accompagnare la mia classe fuori.

Fuori dove? Ovunque sia, uno spettacolo teatrale, un museo, poco importa, fuori noi professori perdiamo quel minimo di superpoteri che ci consente il registro. Lo sappiamo tutti e ci ostiniamo in questa prova disperata, stile Anabasi di Senofonte.

La collega di Religione, in un momento di disattenzione, mi ha strappato un mio sì per uno spettacolo sulle discriminazioni razziali. Non che io sia favorevole, per carità, alle discriminazioni, ma le uscite, oramai da lunga pezza, so benissimo cosa significano nella mente di un adolescente. No, non significano elevazione culturale, approfondimento didattico ed amenità simili. Significano assalto all’arma bianca di qualsiasi bar o caffetteria da qui al teatro, significano versi ed urli disumani dai finestrini dall’autobus di linea che, disgraziatamente, finirà nelle nostre grinfie, significa colonizzazione selvaggia di tutte le macchinette distributrici di schifezze presenti nel teatro. Significa, soprattutto, la trasformazione di un misero dipendente statale in una specie di caricatura di guardia carceraria texana.

Eppure ormai ho detto sì, potevo fare una tranquilla lezione su Pascoli, sull’enjambement, sull’allitterazione, sull’onomatopea o scempiaggini retoriche varie, ma  niente, mi vado a ficcare ancora, come un novellino, in queste missioni disperate stile Rambo.

Lo spettacolo, in sé, certo non vi è Gassman, ma delle signore molto carine e simpatiche, non sarebbe neanche male, fa molto metateatro, come ho cercato di spiegare ai ragazzi i quali, mi hanno subito guardato male, impegnati come erano a fare la corte alle macchinette degli snack e delle bibite. No dicevo le signore sono molto simpatiche ma hanno delle vocine che, onestamente, non arrivano all’ultima fila della platea dove, ovviamente, si sono piazzati i peggiori elementi non solo della mia classe ma di tutte le scuole fiorentine: “Prof . ma lei ci capisce qualcosa?” “Certo si capisce benissimo tutto”, mento spudoratamente io che, in realtà, colgo solo una parola su dodici, “basta solo stare attenti e in silenzio!”

Quello che penso, in realtà, è che ci vorrebbe un feroce energumeno alla Gassman con un solido vocione ottocentesco capace, non dico di spaventare, ma almeno chetare per due minuti questa masnada stile Brancaleone trascinata volente o nolente in queste scomodissime poltrone di un teatrino di periferia.

Lo spettacolo, comunque, tra alti e bassi, tra citazioni, assolutamente sfuggite ai miei allievi, di Ionescu, Artaud ed avanguardie in genere scivola verso la fine. Gli attori, poverini, non si rendono conto che i miei studenti, non sono un pubblico,  sono studenti, appunto, qualcosa di simile al pubblico, forse, descritto da Fellini in Roma nei teatrini di varietà. Gatti morti in palcoscenico non ne tirano ma solo perché: a) non vi è un vero palcoscenico, b) probabilmente preferiscono animali più esotici come iguane, rettili o pokemon.

Spossato riaccompagno i miei studenti in classe, dove, ovviamente ho l’ultima mezzora di lezione della giornata. L’urlo corale che si innalza è sempre il solito: “ma prof. non abbiamo i libri, pensavamo che lo spettacolo durasse tutte e tre le ore!!!” Ovviamente mentono, sapendo di mentire, dato che sapevano benissimo che sarebbero rientrati in classe, ma d’altro canto con mezzora scarsa di lezione, dell’ultima ora, nella quale, appunto, gli ultimi dieci minuti se ne vanno nella preparazione delle cartelle, anzi zaini, le cartelle, come tutti sanno, si sono estinte milioni di anni fa come i dinosauri, tutti i torti non li hanno neanche loro.

Improvviso, quindi, una lezione sul teatro, spiegando, appunto, che uno dei primi esempi di metateatro, appunto, compare in Plauto, nell’Anfitrione, dove Mercurio si rivolge direttamente al pubblico, cito anche Totò, la commedia dell’arte, etc. etc., ma gli occhi si fanno sempre più smorti e assenti,  la finisco lì e chiedo, infine, un riassunto, dello spettacolo, con critica articolata dello di ciò che hanno visto, minacciando che, quindi, un “prof. ma faceva proprio schifo!” non basta e che anche una critica negativa deve essere articolatamente costruttiva e, finalmente, gli concedo di fare le cartelle, notizia che riesce, persino, a sospendere, definitivamente, le articolatissime, queste sì, richieste di andare in bagno.

Suona la campanella, mi avvio a casa con dieci e passa volumi di grammatica che mi ha lasciato in visione il rappresentante cercando di ricordare che forma avesse la grammatica che avevo io da ragazzo, possibile che fosse così “articolata”? Non credo, credo che fosse un normalissimo volumaccio di grammatica, da me, definitivamente rimosso dalla memoria. Mi ricordo il libro di latino, il Tantucci, mi ricordo la grammatica di greco, un volumetto verde e tristissimo, che si chiamava polis o qualcosa di simile, ma del mio volume di grammatica italiana delle medie non ho più alcuna memoria. E pensare che, per ben tre anni, in teoria devo averla portata a scuola tutte le mattine!

 
 
 
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